INSIDIE
A sua insaputa, e per tutto il tempo in cui Cristobal vi aveva soggiornato, un esercito invisibile, ma assolutamente motivato, si era disposto a rendere inaccessibile, e all’occorrenza fatale, il sentiero che conduceva al monastero di Nuestra Señora del Consuelo, i cui confini erano stati stabiliti da un rigagnolo di sangue, atto a far desistere chiunque dagli eccessi della curiosità, e i familiares dalle lusinghe della delazione.
Chi s’avvicinava al convento misteriosamente veniva inghiottito dal fitto della boscaglia, cosicché nacquero leggende di demoni ed arcangeli, di santi e di spettri che, nei secoli a venire, una romantica  mistificazione di quel mesto luogo dove vi trovavano solitario asilo gli uccelli pellegrini e programmata sepoltura gli animali più timidi, per cui tutta l’aria circoscritta odorava di putrefazione, anche se l’humus del disfacimento aveva reso oltremodo fertile quel territorio, sgargiante come una zolla amazzonica e lussureggiante come il giardino dell’Eden, ma inavvicinabile per i miasmi pestilenziali che l’avvolgevano in una velenosa cortina.
Ma se la boscaglia perimetrale del convento era destinata a mantenersi impenetrabile così non sarebbe stato nel destino di Angelica, consapevole che un eccesso di verità all’insidiosa domanda di Cristobal, “e per te chi sono?” (la risposta non era contemplata nei libri delle Sacre Scritture né in nessun altro che lei avesse letto, ma infine sovvenne che benissimo poteva celarsi tra i vocaboli peccaminosi che sua madre era avvezza a censurare, perché la parola amore, di certo, rientrava in questa specifica terminologia) sarebbe equivalsa ad un’apostasia.
Gli rispose col silenzio eloquente dei disperati, che Cristobal decifrò come la più appassionata delle ammissioni d’amore.

ANCORA INSIDIE
Duquesa – La vostra opera è compiuta e quindi vi consegno, come promesso, il salvacondotto che vi permetterà di arrivare a Palos de la Frontera dove siete atteso per imbarcarvi sulla Santa Maria, agli ordini del comandante Cristoforo Colombo. Non disdegnate il mio consiglio e lasciate la Spagna finché siete in tempo, Torquemada vi ha già condannato in contumacia e la vostra effige arderà presto sul rogo degli eretici, sulla collina più alta della penisola.
Cristobal – Dovreste pur prendere in considerazione l’ipotesi che io sia immune alle fiamme.
Duquesa –  Non siete un santo. Un santo non avrebbe mai sedotto una monaca. Siete solo un uomo molto abile ed insidioso. Forse perverso. Di sicuro meritate il rogo.
Cristobal – L’amore non è mai perverso, Duquesa, e questo il vostro Dio avrebbe dovuto predicarlo con più convincimento. Non apparteniamo alla stessa dottrina e me ne dolgo per voi.
Duquesa – In tutta la mia vita non ho mai disatteso la parola data. Per ottemperare alla sacralità di un impegno ho sacrificato le mie cose più preziose, perfino gli affetti, non ponetemi, vi prego, nella condizione di venir meno al mio obbligo nei vostri confronti. Per la salute della mia anima non ve lo potrei mai perdonare.

ANGELICA
Per te nacqui
per te ho la vita
per te morirò
e per te muoio
(Gabriel Garcia Marquez – Dell’amore e di altri demoni)

I fiori, smembrati dei petali e mutilati delle foglie, appassivano nell’agonia malinconica del ripudio.
Esiliata la colomba sul cornicione più inaccessibile del convento, seppur la sua ombra sarebbe ancora tornata furtiva a raccattar briciole nella stanza di Angelica.
Sfrattati gli scandalosi cardellini, la cui gabbia vuota penzolava desolata in balia di una metafisica tormenta di piume che mai sarebbe giunta, però, a toccar terra, in quanto nasceva dal nulla e nel nulla si dissolveva.
Così niente sarebbe stato più come prima.
Neppure Angelica, da quando orfana di Cristobal vagava smarrita nelle aride regioni dell’abbandono, incapace di valutare quei sentimenti ermetici, indefiniti e contraddittori, che la dilaniavano e l’attimo dopo la prostravano ed ancora, il successivo, la incollerivano.
Ed ecco che malediva Cristobal ed il suo miracolo fasullo, ma subito dopo pentita ne implorava il ritorno, e nel suo deliquio malinconico raccoglieva i suoi fiori ormai appassiti, deliziandosi del loro profumo putrescente per poi adornarsene la testa spelacchiata.
Aveva preteso, infine, anche la restituzione del meraviglioso abito di broccato ed ermellino della sua ultima festa, nel cui strascico imperiale, nella frenesia della demenza, penosamente inciampava.

Nessun saggio discorso, nessuna lusinga e nessuna minaccia, sortivano l’effetto di riportarla alla ragione, distoglierla dalla sua peccaminosa ossessione e placare nel suo delirio d’apostata i vaneggiamenti e le ingiurie, ma soprattutto gli accessi di collera che, dopo giorni di calma fittizia, esplodevano improvvisi, blasfemi ed accusatori, quantunque confusi e puerili, che la relegavano nello stadio superiore, ed inaccessibile, della follia conclamata.
Le monache, anche quelle che l’avevano odiata ora ne avevano pietà, per quel suo dolore spudorato, immune alla vergogna e al disonore, per quei desideri inconfessabili che senza alcun ritegno andava implorando.
Indifferente agli irretimenti della Duquesa e alle minacciose predizioni del suo confessore, ad Angelica venne comunque risparmiato l’abominio degli esorcismi che avrebbero coinvolto nello scandalo la stessa sovrana, Isabella di Castiglia, che durante il suo regno, dei discernimenti e dei consigli della badessa ciecamente, e con pubblici riconoscimenti, se ne era avvalsa.
Questa volta la morte, memore dell’imbroglio della resurrezione, entrò nella cella di Angelica senza bussare e senza lasciare indizi della sua presenza, usando però l’accortezza, ad ogni buon conto, di rendersi amabile, portandole in regalo cesti di fiori dai colori di giungla, l’ombra prodigiosa di una colomba e i festosi gorgheggi dei canarini in amore.

CRISTOBAL 
Cristobal non s’era imbarcato su nessuna delle tre caravelle ormeggiate nel porto di Palos de la Frontera  ma, sfidando la sorte, aveva vagato come un ombra del purgatorio tra le nebbie putrescenti della boscaglia, braccato dagli spettri degli assassinati dal suo esercito invisibile, che reclamavano ora da lui la resurrezione, e non gli avrebbero dato perciò tregua, disorientandolo ad arte con miraggi fittizi e confondendolo con il baluginare di vela dei loro cenci puerili, ostacolando le sue esplorazioni alla ricerca di un varco attraverso cui penetrare nel convento per portarsi via Angelica.
Decise che non avrebbe più praticato le sue arti temerarie da stregone ma, piuttosto, avrebbe scritto un trattato dove avrebbe disvelato i segreti della scienza terapeutica applicata alla resurrezione, perchè ancora non sapeva che la morte si era ripresa la sua  rivincita finale usando i suoi stessi ingann,i e che Angelica, dal limbo da cui l’aveva resuscitata, era finita direttamente all’inferno, col suo amore peccaminoso, l’inciampo dello strascico nuziale e la corona di fiori appassiti.
Non poteva sapere Cristobal, pellegrino fuori le mura del convento, che Angelica irrimediabilmente corrotta dall’amore, di buon grado e senza opporre alcuna resistenza, s’era lasciata irretire dalle menzogne della nera signora che l’aveva persuasa a seguirla con gli stessi stratagemmi con i quali, lui, l’aveva invece resuscitata.
Non poteva sapere, Cristobal, che la buca di collegamento che pazientemente s’accingeva a scavare nei giorni restanti della sua vita, una volontaria ammenda espiativa, lo avrebbe condotto direttamente al catafalco di marmo dove lo attendeva Angelica, bellissima ed incompiuta, intatta nella sua innocenza distruttiva, che la morte, contravvenendo al destino dell’impermanenza, aveva voluto così preservare per lui, avversario indomito ma leale.