DALIA NERA, DI JAMES ELLROY 
Quante storie oscure, quanti demoni accanto a noi… vicende di stupri, omicidi, morti ammazzati, le sentiamo ogni giorno, come un rumore di fondo, proiettato dai media… quasi non ci facciamo più caso. La verità è che ci si abitua a tutto, anche all’orrore. Solo alcune vicende – per qualche ragione, altrettanto oscura – ci restano impresse, come un graffio lasciato dall’incubo… lo stesso accade per certi scrittori, costretti tutta la vita a inseguire, cacciare le stesse storie, per riportarle a nuova vita, in un’altra luce. James Ellroy aveva perso la madre nel modo più orribile, quand’era un ragazzo. Qualcuno l’aveva uccisa. L’assassino non aveva solo spezzato una vita, ma aveva anche tracciato due destini. Il suo – per sempre M, come Murder – e quello di un sopravvissuto, di nome James. Da allora non avrebbe potuto essere nient’altro, niente se non un autore di noir, prigioniero di un mondo lontano – e di un’ossessione per una donna. Una femmina picchiata, tagliata, uccisa, proprio come la Dalia Nera, Elizabeth Short. Proprio come sua madre – Geneva Ellroy.

Chi era Elizabeth Short? E’ lo stesso Ellroy a dircelo. Non l’ho mai conosciuta. Eppure so qualcosa di lei. Per certi versi, è stata una fra le persone che la morte ha salvato da un’altra morte – quella dei ricordi. Milioni di creature se ne vanno, ma solo poche restano nella mente degli uomini. Un destino riservato in genere agli Artisti, ai Grandi Assassini (Hitler, Stalin, Mao…), ai Leader e ai Geni, ma anche – è questo l’assurdo – a certe vittime di omicidi efferati, che per qualche motivo hanno colpito la nostra fantasia. Ci ricorderemo sempre della povera JonBenét Ramsey, o di Chiara Poggi, o di Meredith Kercher. Elizabeth aveva condotto un’esistenza breve e oscura, ma alla fine era incappata in un duplice destino – di vittima, da un lato, e dall’altro di creatura sacrificale, degna di attenzione da tutta la società, per i decenni a venire. Quante ce n’erano come lei! Quante, in quegli anni, lasciavano un’esistenza inutile e misera, per saltare su un autobus, e scappare a Los Angeles in cerca di gloria. Erano gli anni del grande cinema, degli studios e delle star di Hollywood, in un’eterna girandola di soldi e gloria che si poteva soltanto inseguire, fino a esserne travolti. Anche lei ci provava. Tentava ogni giorno, anche se non aveva talento, e per campare era costretta a mille espedienti. Nessuno si accorgeva di lei. Un uomo l’aveva amata davvero, ma era morto in guerra. E ora, cosa le restava? Solo uno squallido appartamentino, qualche tresca, pochi dollari in tasca. Qualcuno era pronto a offrirle una vita migliore. Sì, Liz, anche tu puoi farcela… però è normale, bisogna fare dei compromessi… lo sai quante la vorrebbero, una particina? Sono pronte a dare tutto, per questo… tu non devi essere da meno. Se ti chiediamo di spogliarti, di recitare in quel modo, è soltanto per iniziare… l’ha fatto anche Joan… è così che si arriva a Hollywood, con certe cose squallide, che però piacciono agli uomini… e non c’è niente di male, in fondo, è solo sesso… amore carnale, davanti a una telecamera…

Avrebbe continuato su quella strada, nel buio, per giorni, mesi, anni persino, fino a quando non ci sarebbe riuscita. Vedeva una luce in fondo al tunnel, era tutto ciò che aveva. Ma il Destino aveva altri progetti. Un giorno l’aveva presa e strappata alla vita, per mezzo di un uomo. Il mostro l’aveva uccisa, tagliandole la faccia. Le aveva dipinto un ghigno, lì sopra, come quello di un clown. Ed ecco l’assurdo! Ora finalmente aveva la sua gloria, ora, da morta, tutti parlavano di lei, come della Dalia Nera, un’attrice di Hollywood… e più tardi sarebbe arrivato anche Ellroy. Soltanto lui avrebbe potuto misurarsi con quella storia, ricostruendo passo a passo le sue vicende. Lui solo ne avrebbe colto il fascino macabro, oscuro, intessuto nel mondo di una città malvagia – Los Angeles – piena di boss e sbirri corrotti, bastardi e prostitute, soldi e cocaina e una luce fortissima, gettata sul red carpet. Così ancora una volta la Dalia sarebbe tornata a nuova vita. C’era qualcosa che lo attirava verso di lei – qualcosa che veniva dall’inconscio, e aveva a che fare con certi luoghi oscuri, con dei ricordi malvagi, legati all’infanzia… ma questa è un’altra storia.

Ellroy non è come gli altri. Ci sono migliaia di autori noir, ma solo uno inconfondibile. Lo si riconosce principalmente per tre motivi. Il primo è nel suo stile espressionista – paratattico, veloce, sparato come un missile. A volte è difficile stargli dietro. Mostra gli elementi uno accanto all’altro, in una sequenza velocissima di dialoghi e azioni, pensieri e descrizioni. Sembra quasi un quadro di Pollock – pure spruzzate sulla tela, squarci violentissimi. Il Letterario non gli interessa, anzi – lo disprezza. Per lui il sole è il sole, la luna è luna. Non c’è spazio per altro, se non il nome giusto delle cose. E’ la verità di una storia. Il secondo elemento è nella sua ossessione per un mondo. Tutti i suoi libri sono su quella Los Angeles, su quel cosmo corrotto e vitale che cresceva laggiù, negli Anni Cinquanta. Praticamente ci vive dentro – stando a un’intervista, quattordici ore al giorno! – e questo si vede. Si sente, si tocca con mano. Il libro ti dà sempre la sensazione di esserci, senza troppi fronzoli. Un privilegio che è concesso a pochi, quando parlano del passato. Il terzo elemento è nella grandezza delle sue trame. Che io ricordi, solo Dostoevskij, fra gli autori che ho letto, si è spinto così in là. Ci sono decine di personaggi che si intrecciano fra loro, centinaia di scene e chiose, tutte funzionali a uno scioglimento finale, al massimo della tensione. Un numero irripetibile, anche qui riservato a pochi, pochissimi. Persino un regista geniale come De Palma, una volta chiamato al film sulla Dalia Nera, ha faticato non poco per restituircela, in tutta la sua geniale bellezza. Ricordo che ero stato uno dei pochi ad apprezzare il film. Tutti lo trovavano troppo intricato, troppo complicato. Per forza. Non avevano letto il libro. Mentre io sì. E dovreste farlo anche voi.