Ascolta l’audio-racconto interpretato da Andrea Di Vincenzo:
CONTROLLI
Dopo il secondo gradino il corridoio svoltava a destra, quindi proseguiva per una cinquantina di metri fino alla scala mobile che portava in superficie, fuori dal buco nero della metropolitana.
Fu lì che due uomini si fecero incontro a Marco e lo fermarono con un cenno.
Obbedì con un sospiro. Era vero che non sarebbe arrivato in ritardo, che il tempo perso nel controllo sarebbe stato automaticamente giustificato in ditta, ma era sempre un fastidio…
…E poi c’era anche quella sottile inquietudine che…
L’edificio era imponente, inquietante, la facciata interamente ricoperta di vetri scuri sembrava essere quella di uno dei romanzi di Kafka. Quella che avrebbe immaginato Kafka se avesse scritto nel XXI secolo, si corresse mentalmente.
Entrò, superò la doppia porta girevole e subito sentì sul viso il fresco dell’aria condizionata. Superarono il bancone degli uscieri senza che nessuno li fermasse per chiedergli dove stessero andando. Che bisogno c’era? Andavano tutti nello stesso posto.
I dottori erano in borghese come sempre, ma erano chiaramente riconoscibili per il modo di fare autoritario e un po’ annoiato. Il più anziano si portò due dita alla fronte in un saluto convenzionale.
«Permette?» chiese, e senza aspettare la risposta avvicinò un piccolo strumento all’occhio di Marco. Uno scanner retinico.
Un beep e l’identità venne confermata.
«Dunque, Marco Barbieri, 47 anni, residente a…, sposato con…, figli … ok. Vuole darmi la mano?»
Senza parlare Marco infilò la mano sinistra nel guanto che gli veniva offerto, sentì l’usuale sensazione di freddo dell’anestetico e un istante dopo poté ritirarla. La piccola puntura che indicava il punto da cui gli era stata estratta una goccia di sangue era già coperta da un minuscolo cerotto liquido. Ora si trattava di aspettare i pochi minuti in cui la macchina elaborava le analisi.
«Giornata calda, eh?» fece l’agente che l’aveva accompagnato, asciugandosi la fronte con un fazzoletto spiegazzato che tirò fuori da una tasca dei pantaloni.
«Già, sta cominciando l’estate».
«Si… Un minuto di pazienza e la lasciamo andare» disse il dottore giovane. «Sa, c’è un po’ di traffico in rete…».
Non era vero: la procedura delle analisi durava sempre lo stesso tempo, ma evidentemente nessuno sapeva cosa dire. Finalmente sul video apparvero i risultati.
«Bene, vediamo. Ovviamente lei non fuma…».
«Certo che no!» rispose Marco irritato, «a parte che è vietato sarei proprio stupido a rovinarmi la salute con quella roba!».
«Ha ragione, ma sono le domande che dobbiamo fare, mi scusi. Però non si creda: ogni tanto troviamo qualcuno che lo fa».
«Incredibile!»
«Cosa vuole che le dica… La gente è strana. Pensi che costi per il Servizio Sanitario se non intervenissimo subito!»
Marco annuì:
«Certo, sarebbe assurdo se uno fosse libero di avere comportamenti del genere.»
«Si,» il dottore guardò la sua tabella, «E naturalmente lei non beve… lo vedo dai dati… me lo può confermare? Bene!».
«Tutto a posto, quindi?»
«Si, direi di si, anche la glicemia è nei limiti… Ma lo sa come è stato difficile nei primi tempi in cui si faceva il controllo del diabete? La gente non voleva saperne di accettare di essere colta in fragrante!»
«Me lo ricordo» assentì Marco, «eppure il diabete è una malattia con costi sociali altissimi.»
«Si, ma continuano a mangiare zucchero, dolci, gelati con dolcificanti illegali…»
«Però non riesco a capire perché questi prodotti, alcool, sigarette, zucchero sono ancora in commercio!»
Il poliziotto più anziano, fino allora silenzioso, intervenne.
«Per lo stesso motivo per cui ci sono persone che si ostinano a voler avere rapporti sessuali prima di essere sposati o al di fuori del matrimonio, col rischio che c’è di prendersi delle malattie: sono pulsioni radicate nell’essere umano, e ci vuole molto più di un paio di generazioni a sradicarle. Ma lo Stato non ha pregiudizi morali, solo economici!»
«Già» convenne Marco, «per questo sarebbe ingiusto proibirli ai terminali».
«Si,» rispose il poliziotto, non riuscendo a nascondere il brivido che l’aveva percorso, «chi ha una prognosi con meno di sei mesi di vita può fare quello che gli pare, purché sospenda le cure».
«Speriamo di non trovarci mai in una situazione del genere!» disse l’altro poliziotto.
«Speriamo!».
Terminato il controllo, l’agente anziano passò ancora l’apparecchio identificatore davanti all’occhio di Marco, per concludere la neutralizzazione del tempo del controllo.
«Buon giorno e buon lavoro!» disse.
«Buon lavoro a voi!» rispose lui.
Arrivato in strada, fece per rimettersi a camminare verso l’ufficio, ma un pensiero continuava a girargli in mente. Ebbe un momento di esitazione, poi ritornò sui suoi passi, verso la coppia di poliziotti che l’aveva accompagnato e che stava per fermare un’altra persona.
«Scusate, posso chiedervi una cosa?»
Lo guardarono sorpresi.
«Prego».
«Ma non vi sembra assurda questa situazione, per cui solo chi sta morendo può fare quello che tutti desiderano?»
I due non risposero.
«Grazie», disse Marco, e se ne andò.