Danny alzò il bavero del cappotto per riparasi dal freddo – non avrei dovuto accettare l’appuntamento in una sera come questa –  pensò con rabbia.

Infatti pioveva a dirotto e un vento gelido gli sferzava il viso, ma la voce del suo amico Frank gli era sembrata così impaurita al telefono – si sarà messo sicuramente in qualche pasticcio – disse fra sé mentre giungeva davanti al portone.

Stava per suonare il citofono quando si accorse che era già aperto.  Entrò con una certa riluttanza e  cominciò a salire le scale.

Arrivato davanti alla porta dell’appartamento di Frank, bussò delicatamente una prima volta, non ottenendo risposta bussò più forte e finalmente sentì dei passi all’interno.

Il viso di Frank gli apparve dietro lo spiraglio aperto.

«Santo cielo Frank, fammi entrare sto morendo di freddo» ringhiò Danny.

A quel punto la porta si aprì del tutto e finalmente poté vedere in faccia il suo amico.

«Frank, che diavolo ti è successo?»

«Entra, presto!»

«Frank, la tua faccia… chi ti ha ridotto così?»

«Dan, è successa una cosa terribile! Devi aiutarmi, sei il mio solo amico fidato»

«Certo, ma prima calmati, e cerca di farmi capire qualcosa!»

«D’accordo. Verso le 18.30, sono andato al solito locale a bere un aperitivo. Attraverso lo specchio del bancone mi sono accorto che un uomo mi guardava con insistenza, aveva uno sguardo lugubre, e non smetteva di fissarmi.

Io non l’avevo mai visto in vita mia, quindi ho distolto lo sguardo da lui e non ci ho più pensato.

Dopo una mezz’ora sono uscito dal locale e mi sono incamminato verso casa. Dando uno sguardo ad una vetrina, ho visto che quell’uomo era fermo dall’altra parte della strada, e mi fissava esattamente come poco prima al bar. A questo punto, ho iniziato ad avere un senso di inquietudine, quindi ho allungato il passo e sono arrivato in fretta a casa mia. Ero così agitato che prima di entrare nel portone mi sono guardato alle spalle, ma non ho visto nessuno.

Appena aperta la porta di casa, sono stato spinto violentemente alle spalle, un braccio mi è passato intorno al collo immobilizzandomi»

«Ma è una cosa terribile» disse Danny visibilmente scosso.

«Il peggio viene adesso – continuò Frank – quel pazzo furioso ha cominciato a tempestarmi di pugni, aveva una forza spaventosa, e io ero troppo terrorizzato per reagire. A un certo punto, mi ha afferrato per il bavero del cappotto e mi ha voltato verso di sé. Era lui Dan, proprio lui, quel tizio del bar che, con gli occhi iniettati di sangue, mi diceva di consegnargli subito la lettera»

«Quale lettera?»

«Non ne ho idea amico, io non ho mai visto quell’energumeno in vita mia!»

«Dobbiamo andare subito alla polizia Frank, e al pronto soccorso, hai il viso tumefatto!»

«No, no Danny ti prego, ho paura! Se quell’uomo si accorge che voglio denunciarlo, potrebbe tornare e…»

«Ok amico mio, ok, proveremo a capirci qualcosa da soli per il momento, poi decideremo il da farsi».

 Dall’altra parte della città, due uomini discorrevano a bassa voce al tavolino di un bar.

«Allora, cos’è successo?»

«Il portiere è intervenuto proprio quando stavo per farlo confessare, sono riuscito a fuggire in tempo prima che mi vedesse in faccia quel ficcanaso!»

«La prossima volta dovrai essere più prudente, devi trovare assolutamente quella maledetta lettera, altrimenti addio ricompensa»

«Entrerò in casa quando lui non ci sarà, e cercherò dappertutto».

L’uomo strinse gli occhi fino a farli diventare due fessure, erano occhi cattivi, che mettevano i brividi.

La mattina dopo, Danny accompagnò Frank all’ospedale, dove inventarono una banale caduta per giustificare quelle contusioni.

Non si accorsero uscendo di casa, dell’uomo che li osservava con attenzione.

– Bene bene, quello è il suo amico, dovrò tenere d’occhio anche lui, potrebbe sapere qualcosa –

Usciti dall’ospedale, Danny  non se la sentì di lasciare Frank da solo, quindi gli propose di fare colazione insieme nel proprio appartamento. Dopo aver mangiato pane tostato, uova, pancetta e un abbondante caffè, si misero a parlare della loro lunga amicizia.

«Sai Frank – disse Danny – a volte penso che noi due abbiamo avuto un ben triste destino. Tu ricordi a malapena i tuoi genitori, morirono che eri un bambino, io addirittura non li ho mai conosciuti, mia madre morì di parto e mio padre mi abbandonò in un istituto»

«Già – rispose Frank – la nostra amicizia è iniziata in un istituto per orfani… che spasso, eh amico? Quando penso a queste cose mi viene la depressione, meglio dimenticare, non credi?».

«Io invece vorrei saperne di più – disse Dan – ma queste sono solo fantasie, via! Bando alla tristezza, ti riaccompagno a casa ok»?

«Sì Dan, grazie, voglio sdraiarmi e riposare un po’» .

Appena entrati nell’appartamento di Frank, i due amici restarono senza fiato: era completamente devastato, i cassetti aperti, il divano distrutto, tutti gli oggetti sparpagliati per terra.

«Dio mio, ma cosa sta succedendo, questo è un incubo! disse Frank, guardandosi intorno disperato, Danny ho paura, forse è meglio che andiamo alla polizia»

«Si andiamoci immediatamente! Avremmo dovuto farlo subito»

All’agente che li accolse nel piccolo ufficio, Frank raccontò tutto l’accaduto, ma ottennero solo la promessa che sarebbe stato fatto tutto il possibile, con tutti i ladri che c’erano in giro, le speranze di acciuffarli erano davvero poche.

«Comunque sporga denuncia contro ignoti, le faremo sapere qualcosa» disse l’agente con noncuranza.

Quella sera Danny, dopo aver aiutato l’amico a sistemare la casa, ed essersi assicurato che se la sentisse di stare da solo, tornò a casa sua. Mentre si rilassava sul divano, ricordi sfocati gli attraversavano la mente: un uomo gentile, un pacchetto, «Da parte della tua mamma piccolo… prima di morire»

Ma che cosa era? Non ricordava… era tutto così lontano!

Pensò che avrebbe ricordato meglio con una birra quindi aprì il frigorifero.

L’occhio gli cadde sul piccolo quadro appeso alla parete, raffigurava una barca con un bambino e un uomo di spalle che remava, in lontananza si vedeva un grande edificio un po’ sfocato dalla nebbia, con tante finestrelle illuminate fiocamente.

Prese in mano il quadretto e lo osservò attentamente.

Ciò che lo inquietava erano l’uomo e il bambino, simile al ricordo di poco prima, ma tutto finiva lì.

– E pensare che questo quadro è stato qui per tanti anni senza che lo guardassi veramente. Mi sarò fatto suggestionare dagli ultimi avvenimenti – pensò.

Fu una notte di sonno agitato.

Il giorno dopo telefonò a Frank per sapere come stava, ma l’amico non rispose, riprovò più tardi, niente, preoccupato, decise di andare a casa sua.

Davanti al palazzo c’era un’auto della polizia con i lampeggianti accesi e un gruppo di curiosi tenuti a bada da un agente.

Si precipitò verso il poliziotto, con un terribile presentimento «Cos’è successo?» domandò.

«Un omicidio – rispose l’agente seccato – largo, largo»

Proprio in quel momento dal portone uscirono due barellieri che trasportavano un corpo coperto da un lenzuolo, subito dietro altri due barellieri con un altro corpo.

Danny si fece largo a gomitate, si precipitò vicino alla prima barella e scostò velocemente il lenzuolo, era il viso di un uomo sconosciuto, per un istante si sentì sollevato, ma quando tolse il lenzuolo all’altra barella, il sangue gli si gelò nelle vene!

«FRANK! FRANK! NO! NO!!!»

Due poliziotti lo sorressero per le braccia e, dopo averlo calmato, lo condussero alla Centrale.

«Siamo spiacenti signore, ma abbiamo bisogno di farle qualche domanda»

Durante il colloquio con il commissario, Danny non rivelò nulla dei fatti accaduti nei giorni precedenti, voleva capire da solo cosa fosse accaduto.

Il commissario disse che il suo amico era stato aggredito nel proprio appartamento, probabilmente a scopo di rapina, che si era difeso strenuamente ma, l’aggressore l’aveva accoltellato.

In un estremo tentativo di difesa, Frank era riuscito a colpire il ladro con un tagliacarte appoggiato sul tavolo.

Colpito al petto, l’uomo era morto in pochi secondi, purtroppo anche la ferita del suo amico si era rivelata mortale.

«Abbiamo bisogno del suo aiuto per capire qualcosa di più – disse il commissario – altrimenti dovremo archiviare il caso come omicidio per rapina»

Danny promise che gli avrebbe telefonato subito se avesse avuto qualche sospetto, quindi lo riaccompagnarono a casa.

Seduto sul divano, con la testa fra le mani, non riusciva a rendersi conto che Frank non c’era più, che era morto, che forse lui avrebbe potuto evitare tutto ciò se non gli avesse permesso di restare a casa da solo, ma ormai era troppo tardi, ed era tutta colpa sua.

Si addormentò con gli occhi bagnati di lacrime, spossato.

Il giorno seguente trovò nella casella della posta un biglietto che lo invitava a presentarsi all’Istituto di Igiene Mentale.

Lo avrebbe ricevuto un certo Dottor Wells per comunicazioni molto importanti che lo riguardavano.

Restò a guardare il biglietto un po’ perplesso, poi decise di fare una telefonata a questo Dottor Wells per qualche chiarimento.

Rispose la segretaria, che molto cortesemente gli disse che non poteva anticipare nulla per telefono.

«Il Dottor Wells sarà felice di chiarire tutto con lei personalmente, anche domani se è libero»

Si accordarono per le ore 14 del giorno dopo e si salutarono.

Gironzolò per la casa in stato confusionale, i pensieri si affollavano disordinatamente nella testa.

In cucina aprì il frigorifero per prendere da bere e di nuovo si ritrovò a guardare quel piccolo quadro.

Il ricordo riaffiorò, aveva vissuto una scena simile a quella del quadro e ancora sentì la voce gentile dell’uomo:

«Da parte della tua mamma… prima di morire…»

Agitato, staccò il quadretto dalla parete e lo guardò attentamente, lo girò e rigirò da tutte le parti, nulla!

Non gli diceva proprio nulla. Fece per riappenderlo al muro, ma fu maldestro, il quadro cadde a terra con il vetro in frantumi e la cornice spezzata.

Prendendo in mano i cocci, si accorse che il piccolo dipinto aveva sul retro un foglio di cartoncino incollato alla tela, quand’era incorniciato non si vedeva.

In preda a una strana eccitazione cominciò a staccare il cartoncino delicatamente e… quasi svenne.

Dalla parte distaccata spuntò una busta con scritto sul davanti “AL MIO FRANK”.

Teneva la busta tra le mani, la girava e rigirava, senza capire, poi ricordò le parole dell’amico, «Quell’uomo voleva la lettera…»

La lettera… era forse quella la lettera che voleva?

E perché si trovava nella sua casa, nascosta dietro un quadro?

Gli sembrava di impazzire, cosa doveva fare, aprirla? Ma era per Frank! Ma Frank era morto, forse a causa di questa lettera?

Si fermò cercando di riflettere, lasciò la busta sul tavolo e fumò una sigaretta, bevve un brandy, camminando avanti e indietro per la stanza. Finalmente decise; aprì la busta, chiedendo scusa in cuor suo all’amico. Dentro c’era una letterina scritta con caratteri minuscoli e incerti, quasi infantile.

Cominciò a leggere:

”Mio adorato Frank, ciò che scrivo oggi tu lo leggerai, chissà, fra molti anni oppure mai, deciderà il destino. Forse ti diranno che io ti ho abbandonato oppure che sono morta, o chissà quali altre cose orribili sul mio conto. Sappi che non è così. Mai mi sarei separata da te tesoro mio, ma una persona crudele ti ha strappato dalle mie braccia e ti ha consegnato a persone estranee in cambio di denaro, poi, senza nessuna pietà per il mio dolore, mi ha fatto rinchiudere in un istituto per malati di mente. Un inserviente caritatevole mi ha promesso che ti avrebbe fatto avere in qualche modo questa lettera, perché tu possa pensare a me, non come a una madre indegna, ma come la madre affettuosa che sarei stata se fossimo rimasti uniti. Addio bambino mio, ricordati di me nelle tue preghiere.  La tua mamma”

Sconvolto ed estremamente confuso, mise la lettera in tasca e uscì per non sentirsi soffocare. Decise di andare in fondo a quella storia, ma solo più tardi, a mente più serena.

L’indomani, puntuale, arrivò all’Istituto del dottor Wells.

Era su una collinetta immersa nel verde, alcuni infermieri coi camici bianchi, passeggiavano per i vialetti ben curati con i pazienti sottobraccio.

L’edificio però con tutte quelle finestre con le sbarre, sembrava una prigione.

Danny entrò nella reception e chiese del dottor Wells.

«Sono Danny Foster, ho un appuntamento alle 14» – disse all’impiegata.

Lei sorrise gentilmente, chiamò qualcuno al telefono, quindi lo indirizzò al primo piano, seconda porta a sinistra, il dottor Wells lo avrebbe ricevuto subito.

Appena entrato il dottore gli andò incontro sorridendo affabilmente. «Buongiorno Signor Foster, la ringrazio di avere accettato il mio invito, le assicuro che ciò che ho da raccontare la interesserà moltissimo».

«Bene dottor Wells, la ascolto. Le confesso che mi sento un po’ disorientato»

«Capirà tutto, vedrà – disse Wells – Le dirò innanzitutto, che per lungo tempo ho fatto fare ricerche per trovare un certo signor Frank Colbert, dovevo fargli sapere delle cose molto importanti per lui. Purtroppo ho letto sul giornale della sua tragica scomparsa, e avendo appreso, sempre dai giornali che lei era il suo migliore amico, mi sono permesso di contattarla. Deciderà lei stesso cosa fare dopo aver saputo come stanno le cose, d’accordo?»

Danny annuì, si sentiva molto agitato, ma anche  incuriosito.

«Oh, mi scusi Foster, non le ho neppure offerto da bere. Un brandy, va bene?»

«Si grazie va benissimo» rispose Danny.

«Allora, Danny Foster, la prima cosa che devo sapere prima di iniziare è: il suo amico Frank non le ha mai fatto cenno a una lettera ricevuta molto tempo fa da qualcuno?»

Danny si irrigidì, guardò il dottor Wells con stupore e rispose: «No che io ricordi, non mi ha mai parlato di nessuna lettera»

Improvvisamente si sentì diffidente verso Wells, istintivamente si toccò la tasca e si ricordò di avere la lettera con sé, ma si ricompose subito. «Mi dispiace non ne so nulla»

«Sa Danny, posso chiamarla così? Chissà perché non le credo, ma se avrà la bontà di ascoltare la storia che ho da raccontarle, forse poi mi dirà la verità»

Lo sguardo di Wells era meno cordiale ora, osservò Danny, la sua diffidenza aumentò, somigliava molto alla paura.

«Circa trent’anni fa – cominciò Wells – nel primo dopoguerra, la vita era veramente difficile, per sopravvivere si doveva essere disposti a fare di tutto, anche cose… diciamo così… poco ortodosse. Io ero un giovane medico e mi occupavo delle persone che a causa della guerra avevano forti problemi psicologici. Fra queste c’erano anche giovani donne incinte che, perché rimaste vedove, o perché violentate dai soldati, avevano quasi perso la ragione. Io le ricoveravo in questo istituto e le facevo partorire, poi però, e qui entra in ballo la sopravvivenza, portavo via loro i neonati e li “affidavo” a persone disposte a pagare pur di avere un figlio.

Danny sbarrò gli occhi inorridito.

«Dottore, disse, ma cosa sta dicendo? È una cosa terribile»

«Lo so, ma mi lasci continuare la prego. Dunque, una certa Mary Martin, accettò di rinunciare al bambino, ma pochi giorni prima di partorire cambiò idea, diceva che non voleva più rinunciare a suo figlio, mi supplicava di lasciarglielo tenere. Io ormai avevo già preso accordi per l’affidamento con una coppia molto agiata, che avrebbe pagato qualsiasi cifra per avere un bambino, per cui appena Mary partorì, io consegnai il neonato a loro.

Danny non riusciva più ad ascoltare, si agitava sulla sedia, bevve un sorso di brandy, poi un altro, quindi disse: «Ora basta Wells, lei ha fatto delle cose orribili e io non intendo ascoltare una parola di più!»

«Calma amico mio, calma. Le conviene ascoltare fino alla fine. Dopo alcuni giorni Mary sembrava rassegnata alla perdita del bambino ma, una mattina si presentò nel mio ufficio con gli occhi spiritati, urlando che me l’avrebbe fatta pagare, che aveva consegnato una lettera a una persona fidata, e che sarei finito in galera»

«È quello che si merita! – gridò Danny –  farabutto!»

Bevve un altro sorso di brandy, cominciava a girargli la testa, avrebbe voluto fuggire.

Noncurante del suo stato d’animo, Wells continuò.

«Mary morì dopo un anno circa, quasi completamente pazza, e io vissi gli anni seguenti nella paura che qualcuno avrebbe usato quella lettera contro di me. Pochi anni dopo i signori Colbert morirono in un incidente, così feci in modo che Frank venisse ospitato nel mio istituto che, nel frattempo, avevo trasformato in orfanotrofio. Il bambino non fece mai cenno ad alcuna lettera della madre, e gli anni passarono tranquillamente.

Frank uscì da questo istituto e andò per la sua strada.

Un giorno mi arrivò un biglietto anonimo che minacciava di denunciarmi per “tu sai cosa” e mi chiedeva una forte somma per il suo silenzio. Quindi incaricai due persone di cercare quella maledetta lettera in casa di Frank Colbert»

«Cosa??? Allora… lei… ha fatto uccidere il mio amico… lei è un assassino… Basta! Vado alla polizia!»

«Un momento! Non ho ancora finito! È vero che io sapevo dell’esistenza della lettera e mi ero informato su dove vivesse Colbert ma… quello che non potevo sapere – Wells smise di parlare, aveva gli occhi fissi sulla parete, come se la rabbia gli impedisse di continuare –  quello che non potevo sapere era che Mary Martin aveva scambiato le targhette col nome del bambino!»

«Oh mio Dio – disse Danny – povera donna, forse sperava di tenerlo ancora con sé, ma… perché mi racconta tutto questo? Cosa vuole da me?»

«Non hai ancora capito ragazzo? FRANK SEI TU!!!»

 «COSA??? Lei è pazzo dottore, non è possibile, mia madre morì di parto!»

 «No! Ho fatto controlli accurati, Frank sei tu! Allora, dov’è la lettera? Ti darò tutto ciò che vuoi per il tuo silenzio»

«Vada all’inferno dottore – gridò Danny – vado subito alla polizia. Anche se avessi la lettera non verrei mai a patti con un mostro come lei. Me ne vado»

«Non puoi!»

«Cosa?»

«Non puoi andartene, non arriveresti da nessuna parte. Il tuo brandy è avvelenato!»

Danny era in piedi in un bagno di sudore, col terrore negli occhi osservò il dottor Wells prendere il suo bicchiere, sciacquarlo accuratamente, asciugarlo e rimetterlo al suo posto.

«Nessuna prova!» disse soddisfatto.

Danny in un balzo raggiunse la porta, scese a precipizio le scale e uscì da quell’orribile istituto.

Il dottor Wells ridendo pensò «Povero illuso, si schianterà, e con lui finiranno anche le mie preoccupazioni»

Danny guidava senza correre troppo, stava cominciando a ritrovare un po’ di calma.

Quando fu abbastanza lontano, si fermò e rilesse la lettera di sua madre… “ti hanno strappato dalle mie braccia… non ti avrei mai abbandonato”…

Povera mamma – pensò con tristezza – nella sua innocenza ha cercato di salvarmi, ma non ha neppure scritto il nome di quel criminale. Ma ora giustizia è fatta, mamma, forse sei stata proprio tu a suggerirmi di scambiare i bicchieri del brandy nell’ufficio di Wells. Ora la sua anima marcirà all’inferno!

Diede un bacio alla lettera della madre ritrovata, e la rimise in tasca. Con le lacrime agli occhi tornò in città, diede un’ultima occhiata alla casa del suo caro amico morto al posto suo, quindi tornò a casa con la sensazione che non si sarebbe più sentito solo.

All’Istituto di Igiene Mentale, un anziano inserviente stava guardando il cadavere del dottor Wells con disprezzo, si avvicinò alla scrivania, aprì un cassetto, e ne estrasse un biglietto.

Lo rilesse un’ultima volta:

…se non pagherai ti denuncerò per ”tu sai cosa”…

Lo strappò in mille pezzi e, sorridendo, mandò un bacio a Mary.

Tratto da “Il giallo e il nero” di Graziella Dimilito