Libertà è libertà di dire che due più due fa quattro. (Winston Smith)

Non vedo il cielo dalla mia finestra, ma è come se ci fosse. Non è difficile immaginarlo, almeno per me, e forse questa è la causa dei miei problemi. Mente troppo fervida, quello che scrivevano i miei Tutori sul mio profilo personale. Trasformare la stessa linea di mattoni rossicci in una fetta di cielo riempito di nuvole è un gioco da ragazzi. Ho sognato ben altre cose, ma in un mondo dove i pensieri si trasformano in parole che qualcun altro ha scritto per te, i sogni sono un lusso, un tesoro da tenere stretto. E che gli addetti alla Sorveglianza, forse, non riescono ancora a scrutare.

Suona la sirena come ogni mattina. Da qualche tempo, ormai, il rumore stridente di acciaio contro acciaio della sveglia mi trova sempre con gli occhi aperti. La mia tuta distesa sulla sedia aspetta, e sembra un uomo piatto. Sorrido. Forse mi assomiglia. La macchia sulla manica destra mi fa l’occhiolino. La donna abbondante che usualmente serve il reparto Vestiario mi aveva spocchiosamente assicurato che sarebbe stata – come sempre – trattata a dovere, e che dovevo prestare più attenzione all’utilizzo dei beni dell’Unione. Nonostante le sue pingui rassicurazioni, ormai la macchiolina mi fa compagnia, è diventata familiare: penso che sia femmina, con capelli scuri e la saluto con il suo nome ogni mattina. Buongiorno Vera, come va?

Nel corridoio incontro due colleghi dell’Assemblaggio. LUM 0575 storce la bocca in un sorrisetto, ma capisco che è stanco. LOS 1176 mi alza le spalle e non sorride, ma capisco che ha dormito almeno un po’, stanotte. Andiamo in Refettorio a far colazione, affrettando il passo, poi non si mangerà per altre 6 ore. Entriamo nell’androne, investiti dal solito odore di scodelle da lavare. In fila. Zuppa, caffè, due capsule rosse di Letracene. LOS sbuffa. LUM mi guarda, forse vuol dirmi qualcosa. Annoto mentalmente e lascio che gli occhi si abbassino sulla mia ciotola, innocui. C’è sempre qualcosa, o qualcuno, che ti guarda.

***

La via del ritorno sembra più breve, eppure costa più fatica. L’Assemblaggio ti costringe a rimanere fermo per ore, ordinando i pezzi che arrivano sui nastri e valutandoli per qualità di manifattura e funzione. Il calore dell’enorme sala alle volte è insopportabile, ed i nastri si macchiano delle gocce di sudore che stillano in continuazione. L’acqua è razionata, ed ogni goccia è un po’ di vita che se ne va. LUM non mi guarda, o non riesce, o forse mi sono sbagliato. LOS ha gli occhi rossi, le occhiaie sembrano essere più marcate. Parlotta, ma non credo dica nulla. Mi auguro riesca a dormire stanotte, forse dovrebbe chiedere una dose di NeoBuspirene. L’ho preso, qualche volta. Dormi poco e senza sogni, ma almeno dormi. Arrivo nel mio Cubo. Tolgo la tuta, saluto Vera, ed in rima le dico che la vedo pallida, stasera. Non mi faccio ridere. Chiudo gli occhi. Chissà se in questo momento mi stanno osservando.

***

Il clangore della sveglia interrompe i miei pensieri. Mi giro verso la sedia nel tentativo di salutare la mia amica macchiolina, che resiste nonostante i tentativi di eliminazione. Forse anche Vera sta per andarsene. Lascio che un velo di pensiero malinconico riempia la voragine del mio stomaco e mi alzo per eseguire i piegamenti mattutini davanti alla VideoPresenza. Non so c’è qualcuno che sta scrutando, ma cerco di comportarmi come se ci sia sempre qualcuno, e forse è così. I piegamenti mi ricordano che sono prossimo ai cinquant’anni, e capisco perché la dorsale si chiama spina.

Incontro LUM insieme a FIC 0376, un rosso smilzo con vestiti che sembrano troppo grandi per lui, ed alzo il sopracciglio destro a mo’ di mano che saluta, sforzandomi di sorridere. FIC mi guarda, e mentre cammina inciampa su di un’asperità del cemento e cade in terra senza un suono. Mi fermo, torno verso di lui e gli tendo una mano per farlo rialzare.
“Grazie, fratello.”
“Tutto bene?”
“Credo di si.”

***

Continuiamo a camminare verso l’Assemblaggio. Mentre raggiungiamo le postazioni davanti ai nastri, vedo LOS che continua a fissarmi con aria interrogativa e nello stesso momento mi accorgo di avere, nella mano destra, un piccolo foglio ripiegato. Capisco che me lo ha passato FIC mentre lo aiutavo a rialzarsi. LOS continua a guardarmi: sono convinto che sappia del piccolo triangolino di carta nella mia mano. Inizia ad osservarla casualmente, come per avvertirmi di far presto a leggere e di sbarazzarmi del messaggio, mentre i pezzi da assemblare iniziano ad arrivare come un’onda di piena. Poco prima della PausAlimentazione, guardo il bigliettino inzuppato di acqua e lavoro e prima di nasconderlo nella tuta vi trovo scritto “non sei solo“.

Tocco la mia macchiolina portafortuna sperando di darle vigore. Lo stesso vigore che provo quando penso alla frase scritta in un biglietto di carta che ho dovuto nascondere. Lo stesso vigore che provo quando penso che, anche in un mondo dove sono più importanti le cose meccaniche delle cose che crescono, l’amore e l’amicizia possono ancora aver ragione della fatica e del dolore. Lo stesso vigore che provo quando penso che se Vera svanirà, potrò – forse – ricevere un altro bigliettino, che mi farà andare avanti nonostante tutto. Non sarò solo.