Un vento freddo aleggiava sul villaggio, ne percorreva le strade e s’intrufolava nelle case attraverso ogni pertugio, minacciando di spegnere i già insufficienti camini e facendo gelare i poveri abitanti che non sapevano più come scaldarsi. Ogni straccio, ogni vecchio vestito, ogni oggetto che potesse fornire ostacolo al vento maligno veniva utilizzato per sbarrargli la strada sotto le porte o nelle fessure degli stipiti più malandati.

Anche nella casa in cui abitava Lucilla con le sue sorellastre la quotidiana battaglia contro il gelo veniva combattuta senza esclusione di colpi: persino lavarsi era diventata un’impresa quasi eroica e i continui raffreddori erano una buona scusa per passare sopra agli effluvi che una incerta igiene personale spandeva per l’aria.

Nonostante questo fervevano i preparativi per il gran ballo che veniva dato alla reggia e in cui -correva voce- il principe avrebbe scelto la sua consorte tra le più attraenti ragazze da marito del regno. Un vecchio detto recitava che «Parigi val bene una messa” e, a maggior ragione, diventare principessa poteva valere bene una infreddatura, per cui sia pure a malincuore le ragazze avevano accettato di lasciare per qualche minuto i pesanti abiti di feltro per spogliarsi ed esibire le loro nudità nella vasca da bagno. Il problema era che all’epoca non esistevano caldaie o scaldabagni…

«Anastasia! Anastaaasia! Maledizione a te, dove ti sei cacciata?».

La povera Anastasia quasi inciampò, spaventata dagli urli.

«Sono qui, Lucilla. La legna è umida e per scaldare l’acqua c’è voluto un po’ più di t…».

Non me ne frega niente, brutta idiota! Potevi metterla su prima! E non chiamarmi Lucilla, capito? Il mio nome è Cenerentola. Ce—ne-ren-to-la! Ci arrivi o devo scrivertelo sulla fronte, così te lo ricordi quando ti guardi allo specchio?».

«S-sì, scusa Luci… Cenerentola, me ne dimentico sempre. Posso versarti l’acqua?».
«Sì, ma fai piano, non voglio che se ne sprechi neanche una goccia!».
«Certo Cenerentola, ti serve altro?».
«Stai qui, che devi asciugarmi quando esco: non vorrai mica che mi prenda un’infreddatura? Già, tu e tua sorella mi odiate, lo diceva sempre la vostra povera mamma!».
«Ma cosa dici, Cenerentola? Nostra madre non diceva mai niente e…».
«Ah no? E allora perché mi ha nominata unica erede del suo patrimonio?».
«Veramente…» disse Genoveffa, che nel frattempo era salita con un altro pentolone di acqua calda «nessuno sapeva che nostra madre avesse fatto testamento prima che tu lo trovassi per caso…».
«E allora? I fatti sono quello che sono, e sbrigatevi! Anche nella vasca fa freddo!».

Le due sorelle versarono l’acqua con attenzione e Cenerentola mise un piede nella vasca per saggiare la temperatura. Fece una smorfia, ma poi decise che era meglio sbrigarsi a fare il bagno anziché continuare ad insultare le due sorellastre e si immerse.

«Ehm…. Lucilla…».
«Genoveffa! Anche tu? Lo volete capire, teste di gallina, che io mi chiamo Cenerentola? Io sono quella che è bistrattata, fa tutti i lavori di casa ed è disprezzata da tutti, chiaro?».
«Certo Cenerentola, sicuro!».
«E non fate le furbe andando a raccontarlo in giro, che la mia fata madrina vi controlla e se vi becca vi trasforma in topi».

Le due sorelle fecero un  passo indietro, tremanti.

«Mhm… tu no, Genoveffa, tu assomigli più ad uno scarafaggio: lo dirò alla fata!».
«No, ti prego, Cenerentola!».
«Allora piantatela di fare le cretine e andate a fare quello che dovete. No, Anastasia, tu prima mi asciughi e mi pettini i capelli».

L’atmosfera alla corte reale non era delle più tranquille: il re era esasperato e se la prendeva in privato con il giovane principe.

«Romeo, quanto vuoi andare avanti con questa storia dei ricevimenti per scegliere la tua consorte? Ogni volta mi costano un botto e tu non ne scegli mai una!».
«Padre, cosa ci posso fare se sono tutte scorfane?» si lamentò il principe.
«Scorfane, scorfane, a me pare che ce ne siano di molto graziose!».
«Per te che hai sessant’anni magari sì, ma per me che ne ho la metà è diverso. Mi vuoi vedere infelice?».

Il re tirò un lungo sospiro:

«Infelice no, ma presto ci vedremo tutti poveri se andiamo avanti così. Devi darti una mossa, tanto poi ti puoi prendere tutte le amanti che vuoi».
«Ma padre, come decidere?».
«Mhm… per esempio potresti fissarti dei requisiti, così potrai chiarirti meglio le idee…».
«Cioè?».
«Be’, che sia di buona famiglia, graziosa, ricca…».
«Ecco, lo sapevo!».
«Va bene, allora dimmi tu!».

Il principe rifletté un attimo, poi si fece dare carta e penna e scrisse.

«Ecco» disse, porgendo il foglio al padre «perché tu non mi accusi di girare le carte in tavola l’ho messo anche nero su bianco! Posso andare? Devo prepararmi per il ballo».

E senza aspettare la risposta girò sui tacchi e lascio la sala del trono.

Le due guardie alzarono le lance e fecero il presentat’arm, mentre il re leggeva il foglio: «Piede numero 34?» esclamò infuriato «per un metro e ottanta di altezza? Ma chi crede di prendere in giro, Romeo?».

Ma era tutto inutile, perché il principe ormai stava scendendo le scale per rientrare nei suoi appartamenti.

«Davvero divertente, signore» disse il valletto quando il principe Romeo gli raccontò dello scherzo fatto al vecchio genitore.
«Capisci, capelli corvini, occhi verdi, altezza 1,80, piede numero 34…».
«Non esisterà una ragazza così in tutto il regno, signore».
«Lo spero bene! Non voglio deludere mio padre, ma non mi sento davvero pronto per sposarmi!».
«È vero, signore, finché non troverà il piede adatto alla sua scarpa…».

Il principe guardò bene il servo, per capire se ci fosse altro dietro alla battuta, poi decise di prenderla alla lettera.

«Se troverò una ragazza con quelle caratteristiche vorrà dire che la sposerò» disse «ma prima dovrà infilarsi quella scarpa».

Se l’atmosfera alla reggia non era delle più serene, non è che nella casa di Lucilla – pardon, Cenerentola – tirasse un’aria molto migliore: la Fata Madrina era a colloquio con la sua protetta ed era disperata.

«Ma Cenerentola, sarà la cinquantesima volta che il principe dà un ricevimento con la scusa di voler prendere moglie!».
«Questa sarà la volta buona, Madrina, lo so, stavolta il principe si è impegnato con il re».
«Lo so, le nostre spie ci hanno detto tutto della promessa che ha fatto…».
«E allora? Cosa ci vuole? Basta che tu mi faccia diventare i capelli neri e gli occhi verdi, mi allunghi fino ad un metro e ottanta e…».
«Ti faccia diventare un piedino del 34… ma me lo dici come farai a mettere le scarpe col tacco 12, con un piede così piccolo?».
«Mi arrangerò, basta che le scarpette siano fatate per tenermi in equilibrio. Ah, già che ci sei fammele di cristallo».
«Di cristallo? Ti faranno male!».
«No, perché tu le riempirai all’interno di morbido silicone o qualcosa del genere, e poi è solo per quella sera».
«Non so se…».

Cenerentola si rabbuiò:

«Farai molto meglio a riuscirci, altrimenti…».

La fata fece un passo indietro.

«Va bene, Cenerentola, ma devi capire che non posso fare tutto quello che voglio: anche io ho i miei limiti».
«E a me cosa me ne frega? È un problema tuo!».
«No, è un problema anche tuo, perché un incantesimo così complesso non potrà reggere a lungo, troppa energia mistica».
«Cosa intendi dire?».

La fata contò sulle dita:
«I capelli, gli occhi, l’altezza, i piedi, le scarpe… poi ci sarà la solita carrozza trainata da quattro cavalli, il cocchiere…».
«Va bene, quanto?».
«Mhm… direi fino alle dieci di sera…».
«Come sarebbe a dire? Alle dieci il ballo sarà appena cominciato!».

La Fata Madrina allargò le alucce:

«Guarda, posso arrivare al massimo fino a mezzanotte, ma non un minuto di più!».
«Mezzanotte non è granché, ma sempre meglio di niente».
«Ah, un’altra cosa…».
«Dimmi».
«Un incantesimo così stiracchiato sarà instabile e ti mollerà all’improvviso».
«Dopo mezzanotte, no?».
«A mezzanotte, forse qualche minuto dopo, ma di botto».

Cenerentola sospirò.

«E va bene: se non sai fare di meglio facciamo così. Però devo dirti che come fata madrina non sei granché e…»

La fata non rispose e si volatilizzò in uno sbuffo di fumo.

La carrozza di Cenerentola giunse alla festa in pompa magna. Il tiro a quattro di cavalli bianchi arrivò di gran carriera, facendo sbandare le più modeste carrozze degli altri invitati e rovesciando quasi quella delle sue sorellastre. Il cocchiere scese ad aprirle la porta, impedendo l’ingresso alle altre, mentre il maggiordomo della reggia si era fatto avanti per accompagnare all’interno quella che sembrava essere una gran signora.

Cenerentola fluttuò sulle scale e attraverso le sale come sopra un nuvola magica (e in effetti, era proprio così che incedeva) finché non giunse nei pressi del tavolo dove il principe stava parlando con alcune persone. La sua presenza attirò immediatamente l’attenzione dei presenti, tanto che il principe, che le voltava le spalle, si girò di scatto per vedere cosa fosse che tutti ammiravano estasiati, e il suo sguardo si perse immediatamente in due immensi occhi verdi che gli sorridevano dietro una mascherina nera di foggia veneziana.

Come incapace di proferire parola, il principe Romeo accennò con la testa al grazioso inchino che gli faceva la ragazza, e istintivamente le offrì la mano per invitarla a ballare.

Cenerentola non aveva mai imparato a ballare, non aveva la pazienza di seguire lezioni, ma le scarpette erano magiche e sapevano eseguire alla perfezione i passi di ogni tipo di danza, tanto che il principe più che guidarla si limitava a seguirne i movimenti incantato. Ballarono tutta la sera, e presto tutti si resero conto che quella sarebbe stata la prescelta, almeno per quella notte, perché questa era l’abitudine del figlio del re. Nessuna conosceva il contenuto di quel biglietto che aveva consegnato al padre a mo’ di beffa, nessuno fatta eccezione di Cenerentola.

Come recita il copione, a mezzanotte cominciarono a sentirsi i rintocchi del campanile della torre. Cenerentola sussultò, ricordandosi quello che le aveva detto la fata madrina, così in tutta fretta si congedò dal principe e fuggì verso la carrozza, che l’attendeva davanti all’ingresso della reggia.

Nonostante la concitazione, Cenerentola non dimenticò di far finta di perdere una delle sue scarpette di cristallo, si tolse anche l’altra e tenendola in mano saltò sulla carrozza, che partì all’istante, anche perché un conto sono quattro cavalli e un altro quattro topi che tirano una zucca: una evidente caduta di stile.

Il principe, rimasto solo come un mammalucco tra lo stupore generale, corse dietro a Cenerentola, ma tutto quello che trovò fu la scarpetta di cristallo abbandonata sulla scala. Ritornò con quella in mano nel salone del ballo.

«Fai un po’ vedere» disse il re, prendendo la scarpa. La esaminò con attenzione, poi la passò ad un suo consigliere e confabulò con lui, quindi la restituì al figlio:
«È una 34. Domani andrai alla ricerca della tua principessa» annunciò.

Il giorno dopo tutto il villaggio parlava della misteriosa dama che sembrava aver conquistato il cuore del principe Romeo, e dietro ai cinguettii romantici delle donne si intravedeva benissimo l’invidia per non essere state loro le prescelte. D’altra parte nessuna conosceva l’identità della magica ballerina, perché tutta la sera aveva ballato con un mascherina che le nascondeva la parte superiore del viso, e d’altra parte tra le tante migliorie estetiche la fata madrina aveva pensato bene di togliere una decina d’anni a Cenerentola, che proprio di primo pelo non era, quindi la speranza che la prescelta fosse scomparsa per sempre aveva ancora un  posticino in fondo all’animo delle invidiose. Solo Cenerentola aspettava la visita degli inviati del re con tranquilla sicurezza.

Quando la delegazione cominciò a girare per il villaggio si sparse subito la voce che alla sua guida c’era il principe in persona. Questo rischiò di mandare in fumo i piani di Cenerentola, che osservando allo specchio i suoi capelli, castani come i suoi occhi, e la non eccelsa statura, si rese conto che non sarebbe bastata la prova della scarpetta per ingannare il principe.

Subito si diede da fare per convocare la Fata Madrina, ma questa sembrava irreperibile, così, quando la commissione regale bussò alla porta la ragazza era in preda del panico più assoluto.

«Anastasia, Genoveffa» urlò «fatevi provare la scarpetta, intanto che io mi metto in ordine».
«Ma noi non abbiamo il piede così piccolo!» protestarono le sorellastre.
«E allora? Impegnate il principe, o vi giuro che infilerò i vostri piedi in uno stivaletto cinese e vedrete che diventeranno della misura giusta!».

Terrorizzate, le due sorellastre andarono ad aprire al principe e chiesero di essere sottoposte alla prova, nonostante l’evidente scetticismo di questi.

Intanto Cenerentola non sapeva dove sbattere la testa.

Finalmente il valletto del principe terminò i tentativi infruttuosi di far calzare la scarpetta alle due ragazze e la delegazione fece per andarsene,

«Aspettate» disse Anastasia «c’è ancora nostra sorella».
«Vostra sorella» si stupì il principe «e perché non è qui con voi?».
«È molto timida» intervenne Genoveffa, si chiama Luc… Cenerentola».
«Cenerentola? Che strano nome! Be’, fatela scendere».

Le due sorelle si guardarono, terrorizzate all’idea di affrontare l’ira di Cenerentola.

«Ehm… credo che sia indisposta» azzardò Anastasia.
«Va bene, non ho voglia di perdere tempo e sono curioso di vedere questa… Cenerentola. Saliamo noi!» disse, facendo un cenno alla sua scorta.

Sentendo i passi sulle scale Cenerentola avrebbe voluto mettersi a piangere, ma proprio in quel momento si materializzò la Fata Madrina.

«Fata Madrina! Ma dove diavolo eri finita?» proruppe la ragazza.
«Ho voluto darti una lezione per punirti della tua superbia» disse la fata.
«Vabbé, vabbé, poi ne parliamo. Devi aiutarmi, che il principe sta arrivando e io sono nella cacca!».
«È colpa tua: non avresti dovuto spingere così in là l’imbroglio!».
«E perché avrei dovuto farlo, allora? Sbrigati, trasformami di nuovo!».

La fata assunse un’espressione contrita.

«Mi dispiace Cenerentola, ma non posso fare un incantesimo di trasformazione più di una volta alla settimana».
«Inventati qualcosa, allora! O devo ricordarti che sarà peggio per te?».
Gli occhi di Cenerentola sembravano braci ardenti, dalla furia, e la fata madrina arretrò spaventata.
«Forse, con un altro tipo di incantesimo…» balbettò, mentre il principe apriva la porta.

Il resto è storia, o favola, come preferite: il principe e il suo seguito entrarono nella stanza e si trovarono davanti una donna già un po’ in là negli anni, non bellissima e con insignificanti capelli arruffati, ma quello che videro fu una splendida ragazza con i capelli neri e gli occhi verde smeraldo, alta uno e ottanta e, indovinate un po’, con un piedino che calzava perfettamente la scarpina numero 34.

Le nozze furono celebrate al più presto, tra lo stupore del re e dei dignitari, che non capivano come mai il principe avesse scelto proprio quella ragazza, che non era certamente la più bella né la più ricca del regno, e che inoltre sembrava possedere un pessimo carattere. Ma si sa, ogni promessa è debito, specie se sono il re o il principe a farle.

La morale di questa controfavola non è difficile da trovare ed è comune ai giorni nostri: non importa essere belli, o bravi, di modeste origini e simpatici a tutti: per avere successo basta essere prepotenti, avidi, cattivi e soprattutto sapere imbrogliare bene.