BEATRIZ E LEON
Entrata in casa, Beatriz, si tolse le scarpe e gettò la borsa sul divano, e dopo aver poggiato l’urna cineraria su un ripiano della libreria, si riempì il bicchiere di una generosa dose di “Tinto de verano” per un momentaneo ristoro dalla calura e dalla tristezza. In camera da letto si sfilò l’abito da lutto, sintonizzò la radio su una stazione di musica leggera perché il silenzio la deprimeva e lei non voleva più piangere, ed entrò in bagno per una doccia che la restituisse ai sensi e alla vita.
Leon era morto e a lei erano rimaste solo le sue ceneri. Niente altro.
Primai morire le aveva afferrato le mani e con un filo di voce aveva mormorato: «Beatriz, se credi di poterti finalmente liberare di me, ti sbagli!»
Questo il suo testamento e la sua tardiva dichiarazione d’amore.

Quando era spirato gli aveva chiuso gli occhi, raccolto le braccia sul petto, e scattato una foto.
Era una sua mania quella di fotografare Leon. E lo aveva fatto anche nel momento della sua morte. «Per ricordarmi che non tornerai mai più ma che neppure andrai più via» Aveva sussurrato dandogli l’ultimo bacio.
Alla commemorazione funebre c’erano solo lei e il prete che, in mancanza di un pubblico, si era limitato alla semplice benedizione della salma. Dopo due giorni le era arrivata la comunicazione dell’avvenuta cremazione e la convocazione per il ritiro dell’urna cineraria, quella stessa che aveva posto sul ripiano della libreria tra una raccolta di poesie di Jacques Prevert e un’antologia di racconti di Stephen King: i libri di Leon. Tutti gli altri, invece, erano suoi.
Inutilmente s’era sforzata di trovare la connessione tra quella raccolta di poesie e i racconti horror, perché alla sua richiesta di una spiegazione lui le aveva sorriso enigmatico, senza darle una risposta.
Ma le zone d’ombra erano insite nel suo modus vivendi.
Ve ne erano altre, e forse di più grande importanza, con le quali  lei aveva convissuto fingendo che non ve ne fossero. Che tutto avvenisse alla luce del sole.
Quel piccolo mistero, però, aveva solleticato per molto tempo la sua fantasia. Poi aveva smesso di pensarci fino al momento in cui, d’istinto, aveva messo l’urna e la foto di Leon scattata sul suo letto di morte, proprio fra quei due libri.
«Non voglio liberarmi di te» sussurrò con dolcezza all’uomo all’interno della cornice «se lo avessi voluto lo avrei fatto tanto tempo fa »

Quando s’erano conosciuti Beatriz aveva diciassette anni, sognava di fare la scrittrice ed era in fuga dal mondo borghese della sua famiglia. Vestiva come una hippy e fumava marijuana, graziosa, ma senza eccedere in bellezza, era dotata di una personalità prorompente che la poneva al centro degli sguardi. Viveva alla giornata senza però essere una sbandata.
Leon, occhi verdi screziati di azzurro e faccia d’angelo, era un teppista che a vent’anni era già detentore di un sostanzioso curriculum delinquenziale. Noto alla polizia locale per l’audacia dei suoi misfatti, s’era conquistato, presso gli emarginati delle periferie di Madrid, l’aura di bello e  maledetto: una rock star del crimine.
Di quel personaggio da romanzo Beatriz s’innamorò perdutamente.
Leon, abituato a suscitare passione nelle donne, benignamente s’era concesso al suo amore a patto che non ne reclamasse l’esclusiva, ma, soprattutto, che non cercasse di redimerlo, perché lui era quello che era e non intendeva cambiare.
Sarebbe stata comunque libera di andarsene quando la storia non fosse stata più di suo gradimento.
Erano trascorsi gli anni, Beatriz era rimasta e Leon non era cambiato
… così il romanzo che lei avrebbe voluto scrivere lo aveva invece vissuto nella trama quotidiana dei tradimenti e delle bugie e, quando lui era in galera o in fuga, nella solitudine delle attese.
Ma sempre da lei ritornava, se non per amore per attingerne dal suo.
E Beatriz lo sapeva.
Avrebbe potuto andarsene, ma invece era rimasta.

SULLE TRACCE DI LEON
Beatriz, dopo la morte di Leon, rispolverò i suoi vestiti da hippy, riprese a fumare marijuana e a frequentare la periferia di Madrid.
Le strade dei sobborghi erano da sempre il rifugio degli emarginati e dei disperati. Dei fuggitivi.

A nessuna di queste categorie lei poteva più ascriversi, che la vita con Leon, paradossalmente l’aveva imborghesita: a lui l’avventura e a lei la routine, con un lavoro stabile e uno stipendio con cui pagare l’affitto di una casa e la proprietà  di una macchina, al solo fine di garantire a Leon un rifugio sicuro dove riposarsi dalle sue fughe. E forse da se stesso.
Lui tornava e lei lo accoglieva. Nessuna messa in scena. Nessuna forzatura.
Se qualcuno avesse insinuato di una violenza psicologica ai suoi danni, Beatriz di cuore ne avrebbe riso. Ma aveva smesso di dar spiegazioni su quella sua ostinazione ad amare un uomo che non la ricambiava, perché nessuno empatizzava con quel suo sentimento
… e forse, da quella visuale esterna, neppure a lei sarebbe riuscito.

Non era più tentata dalla vita di strada come lo era stata a diciassette anni, allora fuggiva da un destino borghese di agi e certezze, con un presente già previsto e un  futuro prevedibile, mentre lei che sognava di scrivere, aveva bisogno, invece, di materia prima, grezza ed inesplorata, e nell’audacia del giovane criminale ne aveva intravisto il nucleo fiammeggiante.

Strutturalmente la periferia di Madrid era rimasta immutata ma di Leon, però, aveva smarrito la memoria. Nessuno si ricordava più di lui, di quello che lei immaginava fosse continuato ad essere, perché davanti a tutti quei non so chi sia, non lo conosco, mai visto, si rese conto d’averne perso le tracce lei per prima e già da lungo tempo.
Chi era davvero Leon?

CONSUELO E JORGE
Il pallone era rotolato sulla strada dove le macchine sfrecciavano veloci, Beatriz lo raccolse e fece cenno al bambino che s’apprestava ad attraversarla, di non muoversi che glielo avrebbe riportato lei. Era giunta nel frattempo una donna che lo aveva preso per mano ed ora, insieme, attendevano che Beatriz li raggiungesse.
Quando lei fu alla loro portata, la donna, capelli  corti corvini, jeans strappati e t-shirt nera, esordì cordiale: «Grazie, è stata davvero gentile, Jorge sa che non deve attraversare  e neppure…   »

«…e neppure dovrebbe essergli permesso di giocare a pallone vicino ad una strada così pericolosa»
Beatriz puntualizzò in tono accusatorio.

A quell’accusa la donna si tolse gli occhiali da sole e guardandola in faccia seccamente rispose: «ma vaffanculo!»
Prima che lei potesse ribattere per le rime Jorge s’intromise: «La mamma mi porta a giocare ai giardinetti, era lì che stavamo andando, ma il pallone mi è scivolato dalle mani.»

Il tono sereno del ragazzino le fece considerare di aver giudicato frettolosamente e solo sulla base di una sua supposizione, per giunta errata. Non aveva giustificazioni per quella sua aggressione verbale. Poteva solo scusarsi.

« Soddisfatta della spiegazione? » Chiese sarcastica l’altra  «Oppure intende segnalarmi ai servizi sociali?»

«Le faccio le mie scuse. Sono stata impulsiva ed inopportuna. Chiedo scusa anche a te»
Beatriz s’era chinata verso il ragazzino ed era stato allora che aveva notato che il colore dei suoi occhi era della stessa tonalità di verde screziato di quelli di Leon. Un colore raro. Ma la rassomiglianza era anche nella fossetta sul mento e nel ciuffo ribelle che gli ricadeva sulla fronte: Leon in miniatura. Leon da bambino.
Doveva essere visibilmente impallidita tanto che l’altra le chiese se stesse male.
Nonostante fosse sconvolta riuscì a ricomporsi e porgendo la mano si presentò: «Beatriz Flores»

«Consuelo e Jorge Soler» Disse la donna accomunando il suo nome, e quello del figlio, sotto lo stesso cognome. Con un sospiro di sollievo, Beatriz, prese nota che il bambino non si chiamava Molina come Leon. Jorge poteva essere il figlio di un parente. Poteva essere …no, non  poteva essere altro che suo figlio, perché la somiglianza tra i due era di quelle che non lasciano dubbi.

«Ora dobbiamo proprio andare» Disse la donna distogliendola dalla sua riflessione.
«Possiamo rivederci?» Beatriz chiese d’impulso.
«Perché» Domandò sorpresa Consuelo
«Sono arrivata da poco in città e non conosco nessuno.» Mentì «Tu e Jorge siete i primi coi quali ho avuto un’interessante, seppur vivace, scambio d’opinioni.»
Alla battuta Consuelo scoppiò a ridere: «Certo. Ci farà molto piacere, vero Jorge? Quando c’è bel tempo andiamo sempre a giocare ai giardinetti.» Con la mano indicò la direzione «Ci trovi lì.»
Al semaforo si voltò per un ultimo saluto: «Benvenuta a Madrid.» Disse strizzandole l’occhio, mentre Jorge le faceva ciao con la mano.