Caro Valentino,
oggi fa freddo e nevica. Sono piccoli fiocchi quasi impercettibili alla vista. Se non fosse per il vento che li smuove, bisognerebbe concentrarsi molto e strizzare gli occhi per vederli. In questo modo si arriccerebbe il naso e questa contrazione dei muscoli, oltre ad avere negative conseguenze estetiche, stonerebbe con la rilassatezza del paesaggio. Un bianco quasi irreale, disturbato a stento dal colore delle pareti delle case e dai comignoli, che il cielo invece è tutt’uno con il manto. Tutto bianco, tutto candido.
E un venticello lieve, che agita fiocchi di neve e ricordi.
È quasi normale, in giornate così fredde, pensare ai posti più caldi nei quali si ha abitato. Salerno, poi, piomba nei miei ricordi spesso prepotentemente, ora con uno scorcio, ora con un suono, ora con una parola dialettale che si fa spazio tra le mille dette.
Solo lì, mi vien da pensare, si può amare con tutto il cuore. Ma proprio tutto tutto, non tanto per dire. Sono esagerati, anzi, esaggerati, ma lo sanno fare benissimo.
Ecco, vorrei raccontarti una storia esagerata, che forse non è del tutto vera, nata dal passaparola e dalle deduzioni e considerazioni con cui noi animi dediti al romanzare abbiamo voluto fortemente connotarla.
L’aedo che per primo l’ha tramandata, tra l’altro, è sì colei che l’ha vissuta in prima persona, ma è anche una più o meno consapevole manipolatrice della realtà. La riporta, di questo le va dato merito, senza omettere niente (di quello che non si ricorda): dunque, non la si può additare di essere di parte. Ma la condiziona alle sue necessità. Che possono essere, come in questo caso, anche dannatamente altruistiche: consolidare la stima di una persona agli occhi degli altri.
Perché raccontarla a te? La verità, Valentì (mi perdonerai la confidenza che mi prendo, è che fa un freddo becco, e parlare con i santi mi fa sentire meno pazza che immaginare volteggi fra fiocchi di neve innamorati), è che questa è una storia che ho sempre remore a raccontare a qualcuno che potrebbe metterne in dubbio l’autenticità. Liberamente tratta da una storia vera, dovrei dire. Ma tu, mio caro amico morto, non potrai ferire la mia fantasia con uno sguardo che trapela scetticismo.
In verità è che vorrei sapere cosa ne pensi.
Cosa ne pensi di un uomo, che ora è vecchio e acciaccato, ma che è stato giovane, e attraente, e ricco e in salute. Poteva avere tutte le ragazze che voleva ma, come da cliché, quella che lui desiderava, per la quale ardeva, che non aveva mai osato importunare per rispetto, lei aveva preferito un altro.
Si era chiesto se avesse sbagliato a tergiversare nel dichiararsi. (Ahi, che occasioni fa perdere la mancanza di fiducia in sé, il terrore del rifiuto!)
Tu che dici, cosa sarebbe successo se avesse osato corteggiarla con più decisione? Forse niente: del resto lei non aveva ceduto neanche al poeta che le componeva rime e sonetti, ma si era fatta incantare dal bulletto della compagnia. Cieca, come solo l’amore acceca.
«E ora io che cosa faccio?», pare avesse chiesto, più a sé stesso che all’amico fidato, quando era venuto a conoscenza del di lei fidanzamento.
«Niente – gli aveva risposto lui – ti fidanzi pure tu e fai dei figli». Pragmatico. Ma l’amico era bolognese trapiantato, mentre, come ho già avuto modo di spiegare, quest’uomo, allora un ragazzo, aveva in sé il seme dell’amore cortese, che desidera e sospira, sospira e desidera.
Eppur aveva seguito il consiglio: si era fidanzato, sposato e aveva messo su famiglia. E, complice il trasferimento della dama amata in alta Italia, non l’aveva mai più rivista. Lei ogni tanto tornava nella città natale a trovare la madre e la sorella, a trascorrere le vacanze, ma non si sono mai più incontrati.
Entrambi poi sono invecchiati e forse lei non ha mai più pensato a lui: questo, ahimè, non ci è stato tramandato. Di lei sappiamo solo che è rimasta fedele a una promessa, con tutta la dignità che solo una dama d’altri tempi sa fare.
Ma torniamo a questo signore, il vero protagonista della nostra storia, che, ormai vecchio e acciaccato, invece, un giorno di circa cinquanta anni dopo (cinquanta, capisci?!), si è fatto aiutare dalla moglie a vestirsi di tutto punto per recarsi in chiesa per il trigesimo della morte del genero dell’amata (mamma mia, questo intreccio parentale è complicato anche per te, forse. Ma a Salerno no, è tutto semplice, perché sono tutti parenti, chi di sangue, chi di cuore).
Ma tu te lo immagini che amore era, quello, che smuove un malato dal suo letto, che costringe la moglie a sistemargli la bombola per l’ossigeno, e raccogliere tutta la dignità possibile per l’unica occasione che forse gli era ancora data, in vita, per rivedere la sua domina dopo quasi mezzo secolo?
Ti chiederai: perché non direttamente al funerale del genero? Perché aspettare il trigesimo? Ci sarebbe voluto andare eccome, che quell’uomo era appunto il bolognese trapiantato, e nella sua città di accoglienza aveva piantato non pochi semi, il Professore. Ma il fatto è che, ahimè, stava troppo male, non poteva muoversi dal letto. Coincidenza o concomitanza di fattori? Quante ragioni portano un cuore a dolere così tanto da trattenere il corpo a letto?
Eppure lui, ancora una volta, ha sperato fino in fondo che lei fosse di nuovo là un mese dopo, e con quella speranza ha messo insieme tutte le sue forze e si è presentato in chiesa.
Valentino, mo’ tu lo sai, la vita è spesso così ingiusta. Soprattutto con chi ama. Soprattutto con chi ama ancora di un amore così aulico.
Non l’ha vista.
L’ha cercata con lo sguardo ovunque e ha atteso che la chiesa si sfollasse, ma niente.
Immaginati, ora, colui che non aveva trovato il coraggio per dichiararsi allora, quanto se ne sia fatto per farsi spazio tra le lacrime della vedova e domandarle:
«Angela, ma Mena perché non è venuta?».
«Ma come, non lo sai? Mena è venuta a mancare quattro anni fa…».
A quelle parole, mi raccontava l’aedo, pare che l’uomo coraggioso abbia avuto un mancamento. Irrispettoso, di certo, verso il morto che era andato a onorare, ma necessario, quando il cuore fa crack.
«Mena, la mia Mena» continuava a ripetere.
La sua Mena, capisci? Di fatto non lo era mai stata. Ma, forse converrai con me, una parte di noi appartiene sicuramente alle persone che ci amano, e non sempre a quelle che amiamo…
Come la archivierebbe, l’Alto tribunale dell’amore parigino, questa storia? Quale poesia chiamerebbe a declamare quest’amor cortese che forse avrebbe avuto bisogno di qualche scortesia in più, per prendere un’altra piega in vita?
E con quale consolerebbe la moglie di lui, dall’aver sempre saputo di essere stata una seconda scelta, ma di aver realizzato che cinquant’anni non erano bastati a non farla più essere un secondo pensiero?
Ecco, Valentino, le tante domande a cui non avrò risposta, neanche da te.
Intanto ha smesso di nevicare e la pioggerella sta riportando i colori dove prima era tutto bianco. Questo ricordo aveva ovattato anche la mia malinconia.
Grazie per il tuo ascolto, Valentino. Del resto, che altro potevi fare? Sei sempre stato uno di buon cuore, tu.