Non si era mai visto uno stormo così numeroso.
Centinaia di gabbiani erano lì, sulla grande spiaggia del Grande Sasso, intorno alla gigantesca roccia, con gli occhi puntanti al cielo: la notizia del ritorno di J.L. si era propagata velocemente.
Il passaparola fra i gabbiani era sempre stato efficace, ma in questo frangente aveva dato il meglio di sé: solo poche ore prima, proprio intorno al masso ai piedi del quale ora tutti si trovavano, il gabbiano Markus aveva fatto appena in tempo a leggere un messaggio scritto con impronte di zampe palmate, prima che le onde lo cancellassero: Ci vediamo qui alle 17. J.L..
Se si trattava di uno scherzo, era sicuramente di pessimo gusto. Ma nessuno aveva visto niente, e solo Lui avrebbe potuto farlo rendendosi invisibile. Jonathan Livingston mancava ormai da tanti anni, eppure il suo dissolvimento luminoso era rimasto impresso nella memoria collettiva ed era diventato oggetto di racconti e leggende tramandate con enfasi e ammirazione. Parlarne li faceva sentire orgogliosi di essere gabbiani.
Ed ora erano tutti lì, puntuali, in una solenne attesa. Solenne per quanto un folto gruppo di gabbiani ringalluzziti e schiamazzanti possa essere.
«Ma è vero quel che si dice? J.L. vuole creare un suo stormo?», chiese il gabbiano Luis al gabbiano Ciro.
«Stormo? Non credo che lui usasse quella parola così da basso borgo. Lui non parla alle masse, lui si rivolge agli spiriti eletti».
«Devi essere sempre così stizzoso, Ciro? Perché sei qui, allora, se ritieni J.L. così altezzoso?».
Ciro fece alucce: «Sono solo curioso, che tanto mangiare ho mangiato, bere ho bevuto, e volare ho volato. Per procacciarmi il cibo, mica per elevarmi chissà dove. E poi voglio vedere se è ancora vivo o se a furia di illuminarsi s’è bruciato, come Icaro. Ma non le ali, il cervello!» disse, scuotendo la testa.
«Beh, se voleva un’élite, perché un messaggio per tutti?» ribatté Luis.
Ciro lo guardò con sufficienza: «Lui fa finta di essere liberale. Fa quello che “ve lo dico a tutti perché so’ generoso, ma tanto in pochi capite”». Lo disse come se se lo fosse tenuto dentro da tanto tempo e non vedesse l’ora di farlo uscire, con invidiosa e malcelata ammirazione.
Per fortuna arrivò Jessica a togliere Luis dall’imbarazzo di farglielo notare: «Ehi, Ciro, Luis, anche voi qui! Quindi è vero, il mio omonimo sta per arrivare! Sono così eccitata!». E così dicendo la gabbiana agitò le penne del sedere imitando un balletto.
«Omonimo?! – fece Ciro – Tu d’omonimo hai solo le iniziali, Jessica Lobecco! A te questo nome t’ha dato un po’ alla testa. Fino a ieri imitavi Jennifer Lopez facendoti chiamare J Lo, e mi pare che il tuo sedere è rimasto a ieri. E oggi ti sei ringalluzzita per l’arrivo di quel fanatico di sé stesso. Sì, in fondo pensandoci bene vi somigliate un po’. Solo che tu sei rimasta terra terra e lui aria aria».
«Comunque, – continuò il gabbiano rivolgendosi a entrambi – bisogna vedere se è vero: il grande ritorno del maestro illuminato. Tanto illuminato che è sparito nel nulla!».
Ciro era di umili origini e si era fatto da sé e aveva sempre provveduto alla sua numerosa famiglia, senza chiedere mai aiuto a nessuno. Per lo studio, suo malgrado, non aveva avuto tempo. L’ironia era l’unica arma che aveva trovato per sconfiggere il rimpianto per questa sua lacuna.
«Gabbiani, silenzio! Sono quasi le 17: LUI sta per arrivare!». Così la voce roca dell’anziano aveva interrotto i chiacchiericci e tutto lo stormo, all’unisono, aveva chiuso i becchi e li aveva alzati al cielo. Quello era il modo in cui esprimevano il loro rispetto.
Ed eccolo lì, puntuale, prima un puntino in cielo e poi sempre più vicino. Volteggiò disegnando in aria un grosso cerchio per poter salutare tutti i presenti e con un volo plastico si impennò di nuovo verso l’alto per poi planare, con eleganza e sicurezza, andandosi a posare sulla cima del grosso masso.
Un ‘ohhhh’ di stupore, meraviglia e ammirazione si levò dallo stormo: J.L. era tornato.
«Ma non vi sembra un po’ ingrassato?» sussurrò Ciro a Luis e Jessica.
«Ingrassato e anche un po’ invecchiato mi sa. Per carità, bella planata, ma Jonathan Livingston era capace di ben altro» dovette ammettere Luis.
«A me sembra bellissimo lo stesso!» ribatté estasiata Jessica.
«Signore e signori, madame e messeri, popolo tutto, eletto e non eletto, grazie di aver risposto così numerosi al mio appello e di esservi riuniti qui, per me. Mi presento: sono Joshua Livingston, fratello di Jonathan».
l’’ohhhh’ iniziale si tramutò in un brusio. «Sì, hai ragione, è chiatto e non sa volare. E non ha carisma. E io che pensavo che il vero Gei Ell fosse tornato. Impostore!». Jessica era delusa, ma non si immaginava che la sua lamentela venisse sentita. Aveva sottovalutato la capacità dei gabbiani di dare il peggio quando sono riuniti insieme in spazi angusti, lasciandosi influenzare dall’ultima parola percepita.
Non aveva neanche terminato la frase che sentì alzarsi un vocio intorno. «Impostore! Ci hai riunito qui con una scusa! Come osi usare le iniziali di tuo fratello illudendoci di un suo ritorno?». E visto che gli insulti e i commenti crescevano, aizzandosi reciprocamente, e visto che comunque anche nella protesta è necessario essere chiari e comprensibili, e visto che il barrito comune non sincronizzato cominciava a infastidire tutti, si passò velocemente da elucubrazioni più o meno elaborate a una sintesi che metteva d’accordo tutti: «Im-po-sto-re! Im-po-sto-re! Im-po-sto-re!».
Joshua non si scompose. In fondo, se l’aspettava. Sapeva che poteva riunire una folla così numerosa solo usando un piccolo stratagemma e lo aveva fatto. «Sono Joshua Livingston – riprese austero – e sono qui per arruolarvi».
Arruolarvi? Una parola che sa di guerra, di combattimenti, ma che inconsciamente richiama al coraggio. E ogni gabbiano venuto lì era pronto a dimostrare a Jonathan e a sé stesso che sotto quelle piume batteva un cuore temerario, a cui la routine giornaliera volta solo all’approvvigionamento stava stretta. E se non potevano dimostrarlo a Jonathan, tanto valeva ascoltare la proposta alternativa del fratello sconosciuto.
Joshua aveva ottenuto il loro silenzio e la loro attenzione.
«So come ci si sente ad essere considerati la pecora nera della famiglia: sono il fratello di una leggenda. Beh, forse ve lo siete dimenticati, ma prima che diventasse l’eletto era lui la pecora nera della famiglia. Quello che si autoescludeva per allenarsi a volare. Quello che venne esiliato per “incoscienza e condotta irresponsabile”. Colui che voleva solo insegnarci ad essere liberi e a usare questa nostra libertà per far fare quello che più ci piace e non per quello che gli altri si aspettano da noi, e farlo bene. Farlo al meglio. Migliorandoci sempre».
Fece una pausa, Joshua. Lo ascoltavano tutti, e lo osservavano. Doveva dosare parole e silenzi, toni e movimenti. Doveva coinvolgerli con tutti i sensi. Solo così li avrebbe scrollati dalla loro abulia. «Ebbene – continuò poi – sappiate che anche quello che vi chiederò di fare insieme a me sarà tacciato di incoscienza e condotta irresponsabile. Ma combatteremo per un bene comune. Comune anche ai nostri nemici, benché loro stessi lo ignorino. E lo ignorano perché è più facile ignorarlo. La conoscenza, su questo aveva ragione Jonathan, solo la conoscenza rende liberi. Ed io conosco il modo per liberarci dei nostri nemici!»
«Sììììì!» urlò per prima Jessica, alzando in aria un’ala con entusiastica energia.
«Sììììì!» si affrettarono a seguirla tutti.
«Ma di quali nemici stai parlando?» chiese scettico Ciro.
«Sììììì!, …quali nemici?» chiese esultante Jessica, che non sapeva più a chi dar retta.
«Jonathan non aveva nemici. Lui mirava alla perfezione del proprio essere senza trovare scuse negli altri. Tantomeno nemici. La sua ricerca della libertà non era minata né limitata dagli altri, perché ognuno è padrone di sé stesso», continuò Ciro.
«Lo conosci bene, per essere uno che lo deride sempre», commentò Luis.
«Voglio solo difendervi dai ciarlatani», rispose Ciro scontroso.
«Aspetta, prima di etichettarmi come ciarlatano. Lasciami parlare e vi spiegherò il mio piano per liberare il mondo dagli umani…» ma Joshua non poté terminare che il brusìo si fece ancora più rumoroso. Gli umani avevano semplificato la vita ai gabbiani: bastava seguirli, per trovare sempre qualcosa da mettere sotto il becco.
«Umani cattivi, volevo aggiungere, se mi aveste dato il tempo». I gabbiani abbassarono i becchi e lo sguardo: si vergognavano di aver dato fiato ai pensieri senza aver permesso a Joshua di terminare la frase.
«Sono stufo di vedere galleggiare la peggio immondizia nel nostro bel mare. Per non parlare della spiaggia, che diventa un ricettacolo di spazzatura! Ma non vi vergognate, voi, nobili pennuti amanti dei tramonti, grossi uccelli dalle ali eleganti, voi, così abili nella pesca, a dover razzolare tra una busta di plastica e un mozzicone di sigaretta? E questo quando vi va bene! Abbiamo perso il gusto del mangiare, ci siamo pigramente accontentati degli scarti degli umani, ci siamo ridotti a seguirli elemosinando un loro lascito, invece di ribellarci a tutto questo in nome del nostro patrimonio naturale».
Joshua fece di nuovo una pausa, lasciando allo stormo il tempo di elaborare quanto detto finora. Anche da lassù vedeva gli occhi scintillare: aveva acceso qualcosa. Adesso stava parlando ai loro cuori. Ora era il momento di andare dritti al punto: «Sciocchi, non coraggiosi!». Altra pausa: li aveva colpiti al cuore, usando lo spiraglio che aveva aperto. «Ma se siete qui, oggi, se siamo qui, oggi, è perché ancora un briciolo di coscienza alita e fomenta il vostro spirto guerrier. A quello sto parlando!».
«Cazzarola se parla aulico!» disse Ciro ammirato.
«Non sono qui per parlarvi di virtute e conoscenza, elevazioni spirituali, γνῶθι σαυτόν o ominia vincit amor.
«Non sarai qui per parlarci di virtute e conoscenza ma manco per parlarci come mangi. Qui siamo tutti uccelli di poco ingegno, non è che potresti essere più chiaro?». Ciro non gliele lasciava certo a dire.
«Ci stavo arrivando. – ribattè pacato JL – Io sono qui più concretamente per creare il più grande esercito di giustizieri della natura. Saremo il terrore degli inquinatori del mare, saremo i castigatori dei villani in libera uscita, saremo l’aeronautica militare in difesa del Mare Nostrum». Pausa. Respiro profondo. Li guardò tutti, ad uno ad uno, fino a dove la vista poteste scorgerli. Era orgoglioso di tanto silenzio e attenzione da parte loro. «Come?, sembrano chiedere i vostri occhi. Semplice! Avete presente quella tipetta con la pelle tutta unta di olio abbronzante che fuma la sua sigaretta sotto l’ombrellone e poi altezzosa e ammiccante la spegne e abbandona sulla sabbia e va immergersi nell’acqua lasciando intorno a sé un alone oleoso?». I gabbiani maschi annuirono richiamandosi le occhiatacce delle gabbiane femmine. «O quel fusto tutto muscoli e niente cervello che si fa la doccia con shampoo e bagnoschiuma nonostante ci sia un cartello che lo vieti?». Stavolta furono le gabbianelle a sentirsi colpite nel segno: impossibile non notarlo, quel diletto per gli occhi. «Oppure quel ragazzo che viene sempre a portare qui il cane al passeggio, facendosi selfie per diffondere la sua immagine di spirito libero, talmente libero da permettere anche al quadrupede di lasciare il suo sterco qua e là?». Questo mise d’accordo tutti senza far ingelosire nessuno. «Ebbene, a loro va non solo tutto il mio disprezzo ma anche il mio desiderio di vendetta. Non possiamo più permettere che agiscano indisturbati. Vi do la possibilità di non essere più spettatori remissivi. Loro meritano la nostra punizione. Che forse non sarà divina ma vi assicuro che lascia una sensazione interiore che al divino si avvicina. Ce lo chiede il pianeta. E ne trarremo giovamento tutti, umani compresi».
«E come fai a punirli, se mi si concede la domanda? Vai lì e fai loro un’inutile romanzina?» chiese il solito Ciro.
«Chi ha detto che voglio colloquiare? Non capirebbero manco se parlassimo la stessa lingua! Si passa all’azione! Occhio per occhio, dente per dente! O meglio: hai fatto una cagata? E io ti cago addosso per fartelo notare!»
«La legge del taglione… o del cagone!».
Chiunque lo avesse detto, provocò risate intorno e anche nello stesso Joshua: «Esattamente!».
«Bhè, è un concetto un po’ superato però. Il senso di giustizia non prevede di rispondere ad errori con i medesimi errori», ribatté Ciro.
«Errori? Cagare è la cosa più naturala dell’universo. Ma mirare bene, beh, per quello ci vuole allenamento! L’arte del trattenersela per sganciarla al momento opportuno, l’osservazione prima dell’azione, per poter cogliere il nemico sul fatto, in modo che possa comprendere la correlazione causa-effetto. La percezione del dosaggio, poi, non è da sottovalutare: siamo abituati a “svuotarci”, non a centellinare le munizioni. E non sappiamo mai quanti e quali nemici attaccheranno il nostro habitat. Il livello successivo sarà il colore: su ciò che è scuro, cacheremo chiaro e viceversa. Non ci avrebbero dotato di escrementi bicromatici, se non avessero previsto una nostra evoluzione militare. E più ci eserciteremo, più saremo bravi a colpirli esattamente dove fa loro più schifo: braccia, capelli, viso, ad esempio».
I gabbiani non sapevano se applaudire e iniziare a candidarsi per l’arruolamento o aspettare ancora, con la speranza che Joshua avesse altri argomenti da sciorinare. In fondo un corso di cagata non li faceva sentire molto illuminati, però era alla loro portata. Sembrava più facile che superare i loro limiti in volo o addirittura scomparire e riapparire. Certo, le maledizioni che gli umani avrebbero sicuramente indirizzato contro, se le sarebbero evitate molto volentieri, anche se alcune erano così colorite che il gioco valeva la candela, ma sapevano anche che alcuni non si limitavano alle parole e passavano ai fatti. Ma, dopotutto, che esercito sarebbe stato senza rischi?
Joshua ruppe gli indugi: «Forza, avanti, chi è con me esca dal gruppo e vada a mettersi in riga lì sulla destra». Nessuno si mosse. Anche fra i gabbiani ci vuole quello che fa la prima mossa. Fu Markus: aver visto la scritta col messaggio poteva essere un segno. E poi se non avesse portato a niente se la sarebbero presa con lui che aveva fatto perdere allo stormo tempo prezioso. Il tempo è sempre prezioso, anche se scandito dalla solita routine e anche se chiunque era accorso, lo aveva fatto per trovare un modo per dare più senso alla propria esistenza.
Pian piano il gruppo si divise equamente fra convinti e scettici. L’esercito era stato formato. Ciro non disse niente, si limitò solo ad allontanarsi e tornare ai suoi obblighi di capo famiglia. Se qualcuno credeva che cagare mirando lo facesse sentire meglio, che lo facessero. In fondo non è che fino ad ora si erano serviti di bagni. Ma non era quello che lui intendeva per elevazione a stadio successivo. Educare i propri figli al rispetto e all’indipendenza, questo lo aveva fatto sempre sentire in pace e con loro la routine non era mai così noiosa. Luis lo seguì, senza domandare molto. Si fidava dell’istinto dell’amico, quando il suo vacillava.
Jessica invece si arruolò: Joshua sembrava averla notata e un punto di vista femminile non nuoceva alla causa. Solo una gabbianella vanitosa poteva insegnare agli altri a distinguere tra una borsa di marca e una da bancarella e cagare su una borsa di marca avrebbe avuto più effetto che su qualcosa da quattro soldi.

Joshua cominciò a impartire lezioni. E come spesso accade, alle prime si era ritrovato con un folto gruppo di alunni attenti e diligenti. Aveva sapientemente alternato teoria a pratica, che la teoria da sola annoia anche i più convinti. I primi voli erano stati anche esaltanti. Avevano imparato a puntare, mirare, sparare defecare con stile e facevano a gara a chi accumulava più punti. Markus aveva proposto la tecnica della mitragliatrice per i più indisciplinati e la cagata di gruppo per soggetti particolarmente recidivi.
Eppure, all’entusiasmo iniziale era seguito un disinteressamento generale. Allenarsi non era più divertente e Joshua non li riteneva ancora pronti per l’azione. La novità aveva perso il suo sapore e quella sensazione divina di sentirsi giustizieri non li appagava più, anzi.
Joshua era deluso ma non deviò dai suoi propositi. «Sono il fratello di Jonathan Livingston, e non mi importa del vostro scetticismo. Credevate che questa fosse una missione facile solo perché apparentemente facile da realizzare. Ma la perseveranza non vi è propria e io non posso obbligarvi» disse nel suo discorso di commiato, a cui presero parte un gruppo sparuto di gabbiani più per dovere e educazione che per piacere. Fra loro anche Ciro, che in fondo provava stima per tanta determinazione. «Vi saluto: altri lidi mi chiamano. È stato comunque un onore, avervi al mio fianco, seppur per così breve tempo. Chissà, forse un giorno…- e dicendo così si alzò in volo – un giorno, forse, ci rivedremo e vi troverò più pronti. Amate il Mare Nostrum, vogliatevi bene!». E mentre parlava le sue ali cominciavano a sfuocarsi e intorno a lui si irradiò un bagliore luminoso che lo inglobò fino a farlo scomparire dalla vista.
Ciro sorrise: «Addio, J.L., e chissà che in verità tu non sia stato proprio TU, venuto sotto mentite spoglie, per cercare di spogliar noi dal nostro torpore».