«Liam, davvero sei convinto che a Owen Byrne basterà sentirsi dire che  “Patrick O’Reilly è uno dei nostri” per mandare in porto la faccenda?» aveva domandato in tono leggermente canzonatorio l’uomo  di mezza età, elegantemente vestito, dopo essersi accomodato sullo sgabellino del lustrascarpe, accanto a quello dov’era seduto padre Murray.

«Dipende da chi lo dice. No, se fossi io ad affermarlo, ma se invece fossi tu … puoi scommetterci che la cosa cambierebbe».
La risposta pronta del prete aveva fatto sorridere l’altro, che gli aveva lanciato un’occhiata divertita, da sotto l’ala del cappello di feltro.

«Mi stai adulando?».
Stavolta era stato il prete a sorridere e scuotere il capo in segno di diniego.
Dialogavano senza guardarsi in viso, come sovente capita a perfetti sconosciuti seduti in attesa del proprio turno sullo sgabellino del lustrascarpe, di chiacchierare distrattamente sul più e sul meno, con nessun altro intento se non quello d’ingannare il tempo.

«Ti stimo troppo, Farrell Montero,  per far ricorso a questi mezzucci, ma se lo avessi ritenuto necessario per raggiungere lo scopo, me ne sarei servito. O’Reilly è come un fratello per me e sapere che forse non ci rivedremo mai più mi addolora, ma ancora di più mi addolorerebbe la sua morte. Ti sto chiedendo un grosso favore, ne sono consapevole, ma per salvargli la pelle sono disposto a scendere a patti col diavolo».
La fermezza con cui aveva terminato la frase nettamente contrastava con l’espressione cordiale del volto.

«Un uomo fortunato, O’Reilly, a poter contare su un amico come te».
«Paddy non mi ha chiesto niente, sono io ad aver autonomamente preso quest’iniziativa. Lo conosco da una vita e sono pronto a garantire per lui. E’ uno a posto. Uno di cui ci si può fidare. Owen Byrne non imbarcherà un peso morto ma un uomo pronto a condividere il destino dei suoi uomini.  A dar man forte e, se occorre, a sacrificare la sua vita per gli altri».

 

Farrel Montero, che dal padre spagnolo aveva ereditato il cognome e i tratti latini mentre,  dalla madre irlandese, lo spirito indipendentista e la propensione alla rivolta, aveva in tenera età rinnegato per risentimento i cromosomi paterni, il giorno in cui Julio Montero aveva abbandonato lui e sua madre, perché invaghitosi di una sua connazionale, dalla pelle di luna e gli occhi di giaietto, professionista dell’inganno, e per la quale, in ultimo s’era suicidato.
Farrel Montero volentieri avrebbe abdicato anche al suo cognome, era stata sua madre  a convincerlo che quel suo cognome, al pari di tutti  gli altri, era solo un assemblaggio di lettere, ma il giorno in cui, come lei sperava, si sarebbe arruolato all’IRA, gli sarebbe potuto tornare utile per il depistaggio, così come le caratteristiche fisiche ereditate da quel padre traditore, gli avrebbero offerto possibilità di mimetizzazione.
Poco più che adolescente aderì allo Sinn Fein e partecipò alla Rivolta di Pasqua, e quando questa fu sedata, fu grazie alla somma di questi fattori che Montero riuscì a sfuggire alla repressione ed espatriare in America, dove aveva poi sposato la figlia di un ricco importatore di sigari e, alla morte del suocero, ne aveva continuato l’attività in parallelo a quella segreta, e mai cessata, di militante dell’IRA.
Era lui che generosamente finanziava l’acquisto delle armi per l’IRA, e sovvenzionava i patrioti in missione in America, mentre Owen Byrne,  a capo di un piccolo, ma selezionatissimo gruppo di uomini pronti a tutto, si occupava materialmente di far giungere le armi in Irlanda.

Farrel Montero e Owen Byrne costituivano il braccio armato dell’IRA in territorio americano.

 

“Patrick O’Reilly è uno dei nostri” basterà che tu dica questo a Byrne e lui non farà obiezioni.
Lo attendeva il difficile compito di convincere Paddy a seguire il suo piano, e tornare in Irlanda.
Tornare a casa.

«Tornare a casa?  Quale casa? Gli States sono la mia casa. Nessun altro posto.  E da qui non me ne vado».
Paddy aveva espresso il suo rifiuto con fredda determinazione, sorridendo perfino. Questo suo atteggiamento aveva indotto a pensare che probabilmente, invece, sull’ipotesi di una partenza, O’Reilly, ci si era soffermato. Un uomo intelligente e sensibile come lui aveva di certo preso in considerazioni i rischi che correvano le persone a lui più care per proteggerlo. A conferma di questo, in un angolo della stanza, c’era già pronta la sua sacca da viaggio.

«Non lascio gli States, Liam, ma vado comunque via. Qui non posso più restare. L’America è grande e un posto dove ricominciare sempre si trova. Non sono scoraggiato».

«Scoraggiato no, ma incosciente si, se pensi di poter sfuggire, coi tuoi soli mezzi, agli uomini di Lo Cascio, a quelli di Mancuso e alla polizia di Malone. Ora che hanno messo le mani sulla città, perfino col beneplacito della classe lavoratrice, non permetteranno a nessuno di mandare all’aria i loro piani. Non vuoi andare in Irlanda? Ok, scegli un altro posto, il mondo è grande, l’America, invece, al contrario di quello che pensi, s’è fatta per te incredibilmente piccola».
Liam, davanti alla cieca ostinazione dell’amico s’era sentito impotente. Perduto. Non poteva certo costringerlo, e il tempo non giocava a suo favore. Da lì a qualche ora, secondo il modus operandi di Montero, qualcuno sarebbe andato a confessare i propri  peccati raccontando con meticolosità l’ora e il luogo in cui erano stati commessi. Quelli gli indizi sul luogo e l’ora dell’appuntamento con gli uomini di Byrne. C’era davvero poco tempo per convincere Paddy, e forse solo Tina sarebbe stato in grado di farlo.

«Te ne vai senza salutare nessuno? Nemmeno Tina? Non credo che la prenderà bene. Te la vado a cercare».

Non gli aveva dato il tempo di replicare ed era già in strada verso casa Sanpaoli dove lo aveva accolto Teresa, in evidente stato d’ansia e con gli occhi pesti degli insonni.
«Hai notizie di  Micky?  Sono due giorni che manca da casa, e non so più dove cercarlo».
C’era apprensione nella sua voce e speranza, disillusa, però, dal diniego del prete.

«No, non ho notizie. Ma stai tranquilla, Teresa, che si rifarà vivo. Non è la prima volta che manca da casa. I giovani, si sa, corrono dietro le avventure e le ragazze. Piuttosto, sono qui per Tina»,
«La vado a chiamare» aveva detto Teresa, nascondendo in un sospiro il pianto, e avviandosi verso la stanza di Tina. Lui, che quelle lacrime le aveva però intuite, l’aveva trattenuta per un braccio e poi, sollevandole il mento e guardandola negli occhi, le aveva promesso:  te lo riporto a casa io, Micky.

Nel racconto che padre Murray aveva fatto a Tina sull’espatrio di Paddy, non v’era alcuna menzione del coinvolgimento dell’IRA, una rielaborazione epurata da ogni riferimento riconducibile a luoghi e persone, semplificata al massimo, dove però, con enfasi, veniva  messa in risalto la comprovata efficienza di una rete solidale che aveva come missione il rimpatrio degli emigrati Irlandesi delusi dal sogno americano.

«Devi convincerlo, Tina, a lasciare gli States,  e ad accettare l’aiuto che gli viene offerto. Da solo non può farcela, ma lui è così testardo che si rifiuta di prendere atto della realtà. Non vuole lasciare l’America. E non vuole lasciare te. Non l’ha detto… ma non ce ne è stato bisogno. Per questo sono venuto a cercarti. Sono sicuro che troverai le parole giuste per convincerlo».

Tina lo aveva ascoltato in silenzio, senza interromperlo né obiettare, e solo quando lui era giunto alla fine del suo discorso,  aveva ribattuto con amarezza: dei miei sentimenti, padre Murray, nel vostro racconto non c’è traccia.

«Hai ragione, Tina, dei tuoi sentimenti non c’è traccia, perché il compito di un complice leale  è cancellare ogni possibile impronta che favorisca gli inseguitori. Rendersi egli stesso invisibile per non mettere a repentaglio l’incolumità dell’altro, e se necessita rinnegare anche i propri sentimenti, se questi possono minare la sua sicurezza. L’amore, quello vero, se la situazione lo richiede, non si fa scrupolo di disconoscersi e rinnegarsi per la salvezza dell’altro. Non un tradimento, ma un martirio di cui solo Dio conosce lo strazio e la purezza».
L’immagine di Teresa gli aveva attraversato la mente e perforato il cuore: quel discorso era più per se stesso che per Tina.

«Troverai le parole giuste. Ne sono certo».

 

Perso nei suoi pensieri, Paddy non l’aveva sentita entrare, fissava, senza vederlo, il rettangolo di cielo incorniciato nella finestra, e solo quando lei aveva pronunciato il suo nome, s’era riscosso, e le aveva sorriso sorpreso ed impacciato.

«Tina, io…».
Ma lei, ponendogli una mano sulla bocca, lo aveva zittito e poi aveva detto: «durante la strada, padre Murray, mi ha suggerito un’infinità di ragioni per convincerti ad accettare il suo aiuto per metterti in salvo oltre oceano, ignorando, però, che io ne avessi una mia personale, la sola che intendo usare per convincerti, che è quella dell’amore, perché io ti amo e senza di te non potrei vivere. Non importa quanto lontano sarai, perché nessun luogo è irraggiungibile e nessun confine invalicabile. Nessuno, se non quello della morte. Ho capito di amarti nel momento in cui ti stavo perdendo. Poi ho riflettuto che forse niente stava finendo ma tutto, invece, stava iniziando. E così ora dipende da te, Paddy, se questo sarà l’ultimo capitolo della nostra storia o il primo di quella futura. Una speranza è quello che ti offro. Una speranza è quello che ti chiedo».

Tina aveva perorato la sua causa con voce ferma ma gli occhi lucidi. Le parole… quelle non aveva dovuto cercarle, tenute in serbo per troppo tempo in un recesso del suo cuore erano sgorgate, spontanee e dirompenti, finalmente libere in quella sua appassionata confessione d’amore.

«Mi sembra un equo baratto» aveva risposto Paddy stringendola tra le braccia, con tutta la forza del suo amore e la dolcezza per quella speranza.