Camminavano vicini, HeyJoe e Mattew, sulla strada a quell’ora deserta, inondata dal sole.
Mattew indossava un cappellino dei Chicago Bulls, scolorito e troppo grande per la sua testa, e in bilico sul naso, occhiali Ray Ban, dietro cui scompariva metà della faccia.
HeyJoe, il gatto di casa, lo seguiva trotterellando, adattando il suo passo a quello di Mattew.
Sulla strada non c’era anima viva, cosicché i due camminavano, all’apparenza fieramente spavaldi, proprio al suo centro, entrambi con l’aria agguerrita di chi è pronto a sfidare il mondo.
Mattew, in verità, ogni tanto si voltava indietro come chi teme, o spera, di esser seguito, e così si sarebbe potuta leggere una certa delusione nei suoi occhi, semmai fosse stato possibile catturarne lo sguardo dietro quegli occhiali troppo grandi, e realizzando che non c’erano altri nel raggio di mille miglia, oltre lui e EhyJoe.
E allora accelerò il passo guardando dritto davanti a sé, una spavalderia smentita, però, dall’increspatura delle labbra, mimica che preannuncia il pianto, si sarebbe potuto immaginare che nella sua piccola persona fosse incorso una strenua lotta per ricacciare indietro le lacrime.
Anche se, per esperienza personale, Mattew sapeva che le lacrime ingarbugliano la vista, danno origine a miraggi, materializzano fantasmi, e rendono impraticabile anche la strada più sicura, meglio, quindi, evitarle.
Calcò la visiera del cappello ancor più sugli occhi, ben determinato a percorrere tutto il sentiero fino alla sua fine e, seppur non ne conosceva l’estensione, immaginava che prima o poi una fine ci sarebbe stata,
Non gli importava quante ore, quanti giorni, quanti mesi, o addirittura anni, ci avrebbe messo a raggiungere quella meta di cui nulla sapeva ma fantasticava miracolosa, che di tempo ne aveva una vita ancora tutta intera.
EhyJoe lo seguiva paziente, anche se avrebbe preferito continuare la siesta nella frescura del patio, al riparo del sole e dall’abbaiare dei cani che, quel pomeriggio, s’erano rivelati più molesti del solito, in aggiunta ad uno straordinario, inspiegabile, viavai di amici e parenti che, a quanto gli era dato sapere, non era domenica né altra festa, nessun barbecue a sfrigolare allegramente in cortile, nessuna festosa baldoria di tavoli apparecchiati.
Eppoi, Mattew in fuga, e nessun invito a seguirlo, per la prima volta deliberatamente ignorato, escluso da quella nuova, misteriosa avventura, ma pure s’era sentito in dovere di seguirlo per sincerarsi che non si sarebbe cacciato in guai troppo seri.
Nei guai ci si finiva in due, mai da soli: questo il patto stabilito che EhyJoe non avrebbe mai violato.
Mattew lo aveva protetto in più di un occasione, anzi, a dirla tutta, s’era assunto spesso la responsabilità della sua irruenza felina, finendo tante volte in punizione al posto suo.
D’altra parte, EhyJoe, il suo amico non lo avrebbe mollato per nulla al mondo, e scontare il castigo in due s’era rivelato non esser poi così tanto male.
Correva veloce Mattew, ma lui non ci aveva messo molto a raggiungerlo e silenziosamente s’era posto al suo fianco: qualunque cosa stesse accadendo lui ci sarebbe stato.
I due procedevano affiancati lungo la strada calda e deserta: Mattew concentrato sul suo misterioso problema, HeyJoe, attento e quieto complice.
…poi, a rompere tutto quel silenzio, il rumore affannato del motore dell’auto del papà di Mattew, che sembrava sempre sul punto di tirar le cuoia, ma alla parola “rottamazione”, ecco che magicamente ripartiva alla grande, sicché “rottamazione” aveva assunto per Mattew la stessa valenza dell’ abracadabra e dell’apriti sesamo delle fiabe.
“Rottamazione”, di certo doveva essere una parola magica se era in grado di resuscitare un auto che è solo metallo, per di più sprovvisto di udito, ben avrebbe potuto compiere lo stesso miracolo nei confronti del nonno.
Che stupido, pensò Mattew, cercar lontano una soluzione quando, invece, era così a portata di mano.
“Rottamazione”, pronunciata a voce alta e con convincimento, avrebbe restituito la vita al nonno.
“Rottamazione” era l’espediente che avrebbe potuto risolvere ogni cosa.
Perché nessuno, nemmeno il papà, ci aveva pensato?
-Vedo che indossi il berretto e gli occhiali del nonno: ottimo. Sono entrambi utili a contrastare il caldo, e oggi ce n’è a sufficienza per tutto il resto dell’anno. Sei diretto in qualche luogo preciso? Lo vuoi un passaggio? Credo che HeyJoe lo accetterebbe volentieri visto che lui è sprovvisto di cappellino ed occhiali e la strada sembra bella calda –
– HeyJoe, se vuole, può accettarlo il tuo passaggio –
– Dubito che lo faccia senza di te. –
– Faccia quello che vuole –
– Beh, non sei generoso nei suoi confronti. Lui si è rivelato essere un buon amico per te, ti vuole bene, ed anche ora te lo sta dimostrando. Che ti sta accadendo, Mattew? –
– Il nonno mi voleva bene, ma tu l’hai lasciato morire. Sono sicuro che morirà anche HeyJoe, e tu non farai nulla nemmeno per lui. Tu vuoi bene solo a questa tua stupidissima macchina -In preda alla violenza della propria emozione, Mattew iniziò a sferrar calci alla portiera dell’auto.
I calci non erano lacrime ma sortivano lo stesso effetto di svuotamento.
Di sfinimento.
…per ritrovarsi, alla fine esausto, senza più rabbia, tra le braccia del padre.- Perché non l’hai pronunciata anche per il nonno la parola magica con la quale riesci a far ripartire la tua auto? “Rottamazione” e il nonno non sarebbe morto –
– Mattew, nessuna formula avrebbe riportato in vita il nonno. Se fosse stato possibile pensi che non l’avrei fatto? “Rottamazione” con la nostra auto funziona perché è un gioco che ho inventato io per farti ridere. Ti ricordi la prima volta che l’ho pronunciata? La macchina stentava a mettersi in moto ed io, per sollecitarla, ho detto “rottamazione” e lei è subito ripartita. Quella è stata pura fatalità, ma dal momento che la cosa ti ha così tanto divertito io l’ho trasformata in un gioco. Ero io a togliere giri al motore per poi farlo di nuovo ingranare. Sapevo che tu aspettavi il momento delle bizze dell’auto e della mia collera divertita. “Rottamazione” io la pronunciavo a voce alta ed in tono perentorio, e so che anche tu, dal sedile posteriore, la sussurravi. Vedevo, dallo specchietto, le tue labbra muoversi e subito dopo avveniva la magia, e tu scoppiavi a ridere. Non ha nulla che non va la nostra macchina, era solo uno scherzo. Volevo bene al nonno, Mattew, quanto gliene volevi tu. Lui era mio padre. Abbiamo fatto tante cose insieme, esattamente come facciamo noi. Ecco, solo che a me non ha mai potuto regalare un gatto come HeyJoe, perché nel condominio dove abitavamo era vietato tenere animali. Ma sai una cosa? Credo che anche a me avrebbe suggerito di chiamarlo HeyJoe, ed io lo avrei accontentato. E’ proprio un bel nome, sai? Eppoi c’è tutta una storia su quel nome. Se vuoi te la racconto. Lo avrebbe fatto anche il nonno, ma non ne ha avuto il tempo. Voleva solo aspettare che tu fossi un pochino più grande per apprezzare davvero questo suo regalo -Il papà, Mattew ed HeyJoe, s’erano intanto seduti nell’auto “chenonhanientechenonva”, per trovare riparo dalla calura insopportabile e fare insieme il punto della situazione.
Oltre che ascoltare quella importante rivelazione che strettamente riguardava HeyJoe e il nonno.
– Non voglio illuderti, Mattew, il nonno è andato via per sempre o, almeno, fino al giorno in cui non ci sarà dato incontrarlo di nuovo. Sentirai la sua mancanza e farà male. Ma questo star male ti farà crescere e diventerai più forte. Ci saranno, nel corso degli anni futuri, altre assenze nella tua vita e nessuna formula magica ad impedire che avvengano. Ma nessuno di chi ti ha voluto bene andrà mai via senza lasciarti nulla che te lo ricordi, un pezzettino tangibile di quell’amore così grande che niente e nessuno potrà mai toglierti. E’ tutto chiaro fin qui, Mattew? –
– Non è giusto però, papà, che le persone che ci vogliono bene debbano morire. Questa proprio non la capisco. Sono quelli cattivi che dovrebbero morire, non il nonno –
– Si deve morire per far spazio agli altri che arriveranno dopo di noi. Però a tutti è dato il tempo sufficiente per gioire, amare, entusiasmarsi e condividere. E questa è una gran cosa, Mattew, davvero una magnifica possibilità. E il nonno l’ha sfruttata tutta e al meglio. Dobbiamo impegnarci a farlo anche noi. Insomma, è questo il compito che ci è stato assegnato: essere felici e far felici chi amiamo. E tu, Mattew, lo stai facendo benissimo. Fai felice un sacco di gente: me, la mamma, gli zii, la maestra, i tuoi compagni di scuola, davvero tante persone. E poi anche HeyJoe. Non t’importa più di lui? –
Sentendosi tirato in ballo, HeyJoe s’era prodigato a dare il suo contributo in fusa, affettuose e dolenti al contempo. Fusa misurate, così come il momento richiedeva, ma partecipate e solidali, che quel lutto aveva colpito anche lui. Era stato proprio il nonno, in un tardo pomeriggio autunnale, a raccogliere il cucciolo, bagnato ed affamato, che vagava impaurito sotto la pioggia battente, lungo quella stessa strada dove ora erano parcheggiati.
– HeyJoe, dove te ne vai? Scommetto che con questo tempaccio un passaggio lo accetti volentieri. Dai, salta su –
Il nonno aveva spalancato la portiera della sua auto e quella della sua vita: HeyJoe era salito a bordo e non ne era più disceso.
– Sai, Mattew, HeyJoe avrebbe potuto chiamarsi con mille altri nomi, sarebbe sempre stato un gatto magnifico come lo è ora, ma il nonno ha voluto renderlo unico omaggiandolo di un nome strano e che forse nessun’altro in tutto il mondo possiede. Il nonno diceva che il nome, nella vita di ognuno di noi, riveste un’importanza fondamentale poiché sarà quello con cui, per il resto dei nostri giorni, verremo identificati. Amati o odiati, amava aggiungere poi con grande saggezza. Hey Joe è il titolo di una canzone che il nonno amava molto e Jimi Hendrix il nome del cantante che l’ha resa famosa. Il nonno era un fan appassionato di Hendrix, aveva tutti i suoi dischi e, quando poteva, non si perdeva un concerto. Una volta lui e Jimi si sono perfino parlati…non una vera conversazione piuttosto uno scambio di sorrisi, come avviene quando si ha un’ intesa e non c’è bisogno di parole. Il nonno, non trovando i biglietti per assistere all’esibizione del suo idolo, s’era fatto assumere come uomo delle pulizie nel locale dove Hendrix si sarebbe esibito, e dopo che il concerto ebbe termine, e il locale s’era svuotato, aveva iniziato a dar entusiasticamente di ramazza sotto il palchetto dove s’era svolta l’esibizione canticchiando “Hey Joe”, quando una voce s’era aggiunta a fargli da contro canto, e indovina un po di chi era quelle voce? Proprio quella del grande Hendrix che era tornato a riprendersi la sua Fender Stratocaster, la sua leggendaria chitarra elettrica. Hendrix sul palco, e il nonno sotto, che cantano insieme “Hey Joe” e poi, Jimi che scende e gli sorride e gli dà una pacca sulla spalla e gli strizza l’occhio mentre s’allontana. Il nonno, se avesse avuto solo un pochino più di tempo per stare con te, ti avrebbe raccontato questa storia con la voce un po tremante, che dopo tanti anni ancora il ricordo lo emozionava. E così svelato il mistero del nome di HeyJoe che avrebbe benissimo potuto chiamarsi Hendrix o Jimi, o in qualsiasi altro modo, ma pensaci Mattew, quanti al mondo tra felini e umani si chiamano Hendrix o Jimi? Un numero enorme. E quanti, invece, HeyJoe? Di HeyJoe sull’intero pianeta, puoi scommetterci, c’è solo lui, così come di Hendrix ce ne è stato uno solo, e di nonno anche, perché seppur siamo in tanti, e dobbiamo andarcene per far posto a tutti quelli che verranno, ognuno di noi è unico ed irripetibile. Il nonno diceva che il nome è un dettaglio importante perché è con quello che veniamo identificati, amati oppure odiati. Ma il nome da solo non basta, siamo noi che possiamo accrescerlo, nel corso della nostra vita, di gloria o di vergogna. Cosa ne pensi? Mi pare che sia una gran bella storia questa del nonno e di Hendrix, –
– E’ una bella storia anche per HeyJoe, papà. Il nonno gli voleva bene. –
– Un gran bene, per questo te lo ha affidato, sapendo che tu ne avresti avuto particolare cura, proprio come avrebbe fatto egli stesso. Vedi, Mattew, il nonno, chiamando questo micino HeyJoe, ti ha regalato anche un pezzetto del suo cuore, quell’angolino dove, ancora dopo tanti anni, custodiva con intatta tenerezza l’emozione di quel momento. Il nonno lo avrai sempre vicino, Mattew, se saprai custodire il suo ricordo in qualche parte del tuo cuore, anche se ora, e per tanto tempo ancora, sentirai insopportabile la sua mancanza. Non voglio ingannarti e dirti che sarà facile, ma fuggire non servirà a lenire quel dolore che possiamo, invece, condividere. Uniti saremo meno soli e più forti. Tu che ne pensi, HeyJoe? –
Il gatto, acciambellato sulle gambe di Mattew, s’era limitato ad un neutro miagolio col quale si rimetteva alla decisione del padroncino: se occorreva l’avrebbe seguito fino in capo al mondo anche se così avrebbe dovuto rinunciare agli agi della casa, e a quelli del patio, su cui godeva l’indiscusso dominio. Ma, qualunque decisione avrebbe preso Mattew, lui l’avrebbe fatta sua.
Istintivamente la mano di Mattew era scesa ad accarezzare il collo di HeyJoe che, grato, lo andava ricambiando con leccatine e sottofondo di fusa. S’era attardata, la mano del bambino, nel folto pelo del gatto, attingendone rassicurante calore. Quella nota di rasserenante benessere che gli ricordava gli amorevoli abbracci della mamma quando di notte un mostro si materializzava nel buio della sua stanza. Da HeyJoe emanava lo stesso confortante calore, lo stesso profumo di buono delle pareti di casa, dove era impresso l’odore di ognuno dei suoi abitanti: quello dolce della mamma, quello speziato del papà, quello di cuoio del nonno, quello di tana di HeyJoe. In nessun’altro luogo si sarebbe sentito, compreso e protetto, come fra le pareti di casa sua, perché il suo dolore era lo stesso che provavano le persone che più lo amavano. Amavano lui, amavano HeyJoe, avevano amato il nonno, ed avrebbero continuato ad amarlo anche ora che non c’era più. Non esisteva al mondo nessun altro luogo, come casa sua, dove poter sperare di guarire, o almeno mitigare quel dolore che ora provava. Eppoi la casa era ancora piena della presenza del nonno e lo sarebbe stata per sempre. Era quello il suo posto. Il papà aveva ragione.
– Torniamo a casa, papà. Torniamo a casa –