Si sparse la voce in un battibaleno, quanta ce ne vuole al fumo di un camino ad affumicare i panni stesi della vicina di casa.
«Hanno trovato Benito!»
«Benito il sagrestano?»
«Sì, proprio lui!»
Una notizia così in un paesino è un piatto succoso in cui attingere per una mesata almeno.
Benito era il cappellano della chiesa di Santa Maria in Monte, una chiesa arroccata su un pittoresco pinnacolo, un tempo covo di briganti e poi convertita al culto mariano da qualche confraternita di monaci.
Famosa nel circondario per gli splendidi affreschi dell’abside che raccontavano la salita dei fedeli al Monte e l’apparizione della Madonna su una quercia secolare.
Della quercia non era rimasto più nulla ma la leggenda riportava numerosi miracoli e, nei secoli, i devoti avevano riempito il piccolo santuario di ex-voto per grazia ricevuta.
Si era provveduto così a costruire a fianco della basilica un piccolo museo per raccogliere i tesori, e due abitazioni, una per il parroco di turno e una per i sacrestani addetti alla custodia dei valori.
Da tempo il parroco era diventato itinerante e la casa era stata adibita ad oratorio. Era rimasto però il ruolo di sagrestani che la famiglia di Benito si tramandava da tempo immemore.
Tutto filò liscio fino a quando, Benito, ultimo della stirpe, anziché costruirsi una famiglia, per proseguire la tradizione, si costruì la fama di beone squattrinato.
La mattina di una fredda domenica di gennaio il paese, semisommerso dalla neve, si svegliò al grido delle anziane che recatisi in chiesa la trovarono chiusa. Il parroco, don Ciccillo, si fece venire un coccolone nel constatare che la chiesa era ancora chiusa e che il piccolo museo attiguo, con la porta spalancata, era completamente vuoto.
Anatema sui ladri di oggetti sacri! fu la sua omelia. Tra il pianto delle fedeli e le chiacchiere della piazzetta il commissario Bartoloni si trovò a dover indagare su un furto così anomalo.
Anomalo ma apparentemente facile da risolvere.
Benito era sparito e con lui la preziosa refurtiva, questo lo avrebbe capito anche un bambino. Iniziarono le chiacchiere su dove avrebbe portato a riciclare tutto quel “ben di Dio”.
Le ricerche furono difficili per il maltempo, non c’erano tracce da seguire per via della nevicata della notte. La Fiesta di Benito era parcheggiata dietro il Comune, in casa sua non c’erano tracce di fuga, di sicuro aveva agito con la complicità di qualche altro balordo.
«Ma dove poteva trovare dei complici uno come lui?»
«E chi si sarebbe fidato a trovarselo come socio?»
Comunque Benito era scomparso.
Il mese di gennaio fu freddo e triste, e così febbraio che come dice il proverbio è corto e amaro.
Marzo vide l’allungarsi delle giornate ma la neve continuò copiosa a rivestire tutte le cose, anche un po’ le chiacchiere che si attenuarono malgrado né don Ciccillo nè il commissario Bartoloni intendevano mollare le indagini.
Non aveva parenti Benito fuori dal paese e i residenti vennero interrogati uno ad uno.
Si mosse anche la Curia romana mandando due angeli in nero, che però non cavarono un ragno dal buco.
Arrivò aprile e con lo sciogliersi della neve anche la notizia del ritrovamento di Benito.
«Come lo hanno beccato?»
«E dove stava?»
«Di sicuro in qualche osteria.»
Invece no. Di Benito venne ritrovato il corpo, nello strapiombo di fianco la scalinata della chiesa.
Il cadavere venne trovato nel vicolo tra il muraglione della scalinata e il retro della legnaia dei Caccietti, era rimasto tutti quei mesi coperto dalla neve, questa si era ghiacciata ricoprendolo insieme allo zaino con la refurtiva. Chissà perché nessuno ci aveva guardato.
La povera signora Caccietti scoprì uno scarpone che emergeva dalla neve, lo afferrò e quando fece per tirare si accorse che attaccato c’era un intero corpo rigido.
Il povero signor Caccietti poi rimase male pensando a quante volte era andato alla legnaia, e magari aveva camminato sopra il povero corpo! Un cadavere insepolto dietro casa; fosse questo il motivo delle sue crisi di insonnia? Lo spirito di Benito gli chiedeva di ritrovare il corpo per dargli una degna sepoltura, ma lui non lo aveva capito.
«E’ caduto dalla scalinata e si è rotto l’osso del collo.»
«Magari era ubriaco come una cucuzza, un piede in fallo e patapuffete!»
Ma il commissario non era tipo da farsi condizionare e fianco a fianco del medico legale prese ad ispezionare la povera salma ritrovata a faccia in giù; no, il collo non appariva fratturato.
Un grosso foro spiccava sul giaccone dietro la schiena e proseguiva fino in fondo. Quando lo girarono si accorsero che qualcosa di appuntito lo aveva passato da parte a parte.
Il corpo si era mantenuto nel suo grigiore, gli occhi spalancati fissavano qualcosa o qualcuno; Bartoloni avrebbe dato chissà cosa per saperlo.
«Omicidio!»
«Il complice lo ha accoltellato.»
«Ma con cosa? Con uno spiedo?»
Inutile dire che dell’arma del delitto non c’era traccia.
Il corpo venne portato via e il commissario iniziò lo studio del vicolo che era diventato ormai il luogo del delitto.
«Perché ucciderlo e poi lasciare lì la refurtiva?»
«Magari hanno rubato qualcosa, l’oro è facile da riciclare.»
«La catenina di mia nonna Caterina è ancora lì.»
«Quindi non hanno rubato niente?»
Il parroco venne chiamato a controllare la refurtiva e confermò che non mancava niente. La prossima messa sarebbe stata di ringraziamento per l’ennesimo miracolo della Santa Vergine.
«Commissario, non penserà che lo abbiamo ucciso noi? Qui dietro casa, eravamo pure compari. Povero Benito!»
La neve in quel vicolo non si era sciolta ancora del tutto, era esposto a nord e il sole non ci sarebbe arrivato neanche in piena estate.
Il commissario alzò la testa e dalla grondaia che correva a filo del tetto della legnaia l’acqua gocciolava incessantemente.
Plin plin
Quel gocciolare gli girava nella testa e chissà perché gli sembrava importante.
Decise di entrare nel bar della piazzetta per riordinare le idee e magari fare qualche altra domanda. C’erano le stesse facce che ormai conosceva a menadito, avendo interrogato tutti.
Plin plin
«Una birra, per favore.»
Intinse i baffi nella schiuma fredda e alzò gli occhi verso una serie di grandi fotografie che tappezzavano la parete.
La chiesa, la piazza del Comune, il laghetto con i cigni, la neve, le stalattiti che pendevano dalla fontana.
A quel punto qualcuno si accorse del suo sorriso.
Come in una pubblicità famosa in quel periodo, il commissario finì la sua birra e con un dito si ripulì i baffi, poi si accinse a tornare in ufficio.
Il caso era risolto.