Nooo, ci risiamo… ti prego dimmi che la vedi anche tu. La signora lì, la statuina in vetrina. Mi sta guardando. Vedo la sua iride nera seguirmi nella notte. Mi scruta, mi osserva, quasi stesse interpretando, a ritmo suadente, il suo Cabeceo.
Eccola, lo vedi il suo sorriso malizioso? Dai, dimmi di sì! Il respiro appena accennato a gonfiare il seno in bella mostra, perché solo io me ne accorga.
Ma perché proprio io!? Perché a me doveva capitare questa cosa assurda di sentir parlare animali, pupazzi e adesso anche variopinte statuine in porcellana di sgargiante fattura latinoamericana, per giunta evidentemente impegnate a terminare un complesso Ochos adelante?
Pure il suo gentil consorte. Quell’ometto di fronte a lei, in ghingheri, cappello e panciotto… Ma cosa vorrà da me questa pittoresca coppia di esperti tangueri? Lo capisco bene, sono in procinto di coinvolgermi nella loro stramba Milonga.
Che poi in genere mi capita, questo strano fenomeno, quando ho bisogno di… sì, chiamiamolo aiuto. Come posso spiegartelo…
Ecco… diciamo che quando sto sbagliando qualcosa nella mia vita loro – gli animali, gli oggetti – me lo fanno notare… ed io sono un essere irrequieto e incline al vizio.
Quindi, potrai immaginarlo, succede spesso.
Come quella volta del leone allo zoo.
…Ti dispiace se fumo? Ogni volta che ripenso a lui mi viene voglia di accendermene una, hehe, già, lui fumava davvero parecchie sigarette immaginarie.
Ad ogni modo, ero proprio messo male allora. Stavo per farla finita. Ci avevo provato. Mia figlia, Martina, non mi rivolgeva più la parola. Debiti. Bevevo troppo.
Per fortuna ho incontrato quel bravissimo leone, a metà tra un animale guida e uno psicanalista. Davvero professionale. Un luminare!
Poi c’è stata la volta dei gufetti giocattolo. Quella fu da ridere! No, non sul momento, più a ripensarci direi. Degli esserini alquanto petulanti. Tutti lì, schierati in quel negozio. Un arcobaleno di morbide sensazioni per le bambine. Ma non per me… per me un trapano in testa. Diverse centinaia. Martina ne ha adottati una decina, poi.
Ad ogni modo, i gufi, con la scusa che non potevano essere divisi l’uno dall’altro, quasi fosse una unica entità – come le formiche per intenderci – mi hanno coinvolto nell’impresa di essere acquistati tutti insieme. E così mi hanno costretto a riallacciare i rapporti con l’unica persona che mi avrebbe aiutato ad affrontare un simile esborso.
Soprattutto ad affrontarlo per un motivo tanto assurdo. Uno più pazzo di me insomma: il mio più caro amico, il Biondo, che avevo deluso, e che non sentivo più da anni…
Ma ora basta! Cosa vorranno ‘sti due? Non ho nient’altro da sistemare, e che diamine! Non bevo. Ho ripreso a suonare regolarmente a The Happy owls, mi mantengo. Martina, mia figlia, è ormai una signorina, e lo giuro, mi adora!
Ecco, ecco l’hai vista? La statuina, la femmina mi sta puntando i suoi occhi di brace dritti in faccia! Proprio una Mirada da ballerina di tango…
Pare volermi fulminare… senti, io indietreggio… guardala, mi fa sentire come… come un bimbo che sta per ricevere qualche bella lavata di capo!
«E lo sai perché?».
– visto? Cosa ti dicevo, mi parla! –
«Perché sei quasi cinquantenne, sei un bellissimo uomo… oh certo se evitassi gli stivali da cow boy e quei capelli lunghi da rockstar sarebbe meglio… e, ancora, non hai una donna!
E non hai una casa che si possa appellar tale…».
– ma io conosco questa voce… –
«Senti: me ne sono stata buona, per anni a sopportare. Ad accettare che tu ti dessi via in tal modo. Non sai, non sai quanto dolore… quante volte sarei morta ancora di crepacuore se fosse stato possibile morirne più di una!».
– … La voce di mia madre. La senti? La statuina ha la voce di mia madre!… L’inconfondibile suono del suo ricatto!
Immagino allora che il suo consorte… –
«No, sono zio Arturo, tuo padre te le ha sempre date tutte per vinte. Io e tua madre conveniamo che sia lui la causa di molti dei tuoi problemi!».
– Zio Arturo. Andiamo bene… Ti presento lo zio d’America: il fratello fortunato di mia madre. Tutto ciò che ha toccato in vita si è trasformato in oro.
Davvero strano, zio, vederti in questi abiti. Ben più umili di quando eri in vita. Soprattutto senza le consuete scarpe in vernice, che da sole avrebbero sfamato la famiglia meno fortunata della tua adulante sorella.
Ma poi, cosa state blaterando voi due? Mio padre era semplicemente l’uomo più comprensivo, accomodant e … –
«Troppo».
«Eh sì troppo!».
– Non me ne starò qui a sentir parlar male del mio defunto padre.–
«Sono tua madre e mi starai a sentire».
– E cosa dovrebbe essere cambiato? Non ti ascoltavo neanche quando eri viva. –
«È cambiato che prima credevi che io sarei stata qui per sempre, pronta a leccarti le ferite, ad ascoltarti chiedere perdono… mentre questa stramba concessione che mi è stata data, di utilizzare la tua stranezza per venirti a parlare… non si ripeterà, no no no».
– Ed eccola che piange. Esattamente come quando era viva… ed esattamente come allora, mi si cementificano le gambe. La mia volontà non serve più a nulla. Non posso fare a meno di fermarmi. Ascoltarla. Pronto a sentirmi spiattellare in faccia tutti i motivi per cui devo chiedere ancora il suo perdono. –
«Ascoltami, tesoro… Non è più tempo per la sindrome di Peter Pan. Che la tua non si può chiamare crisi di mezza età. Non sei mai cresciuto!».
– Ma mamma… –
«Concordo con tua madre».
– Zio Arturo, ti conosco bene!
Credimi, fa così più per dovere. Guardalo, sta cercando l’approvazione nello sguardo severo di sua sorella. –
«… Anche a me piacciono le ragazze giovani… ma che senso hanno tutte queste storielle di una sera, non ti portano da nessuna parte…».
– Eh no… però sul momento… hehe, scusa mamma. E poi, zio Arturo. Ma da quale pulpito!? Mi sei stato di grande ispirazione in materia di conquiste… –
«0ooh! Non posso crederci. Non posso credere di aver generato e cresciuto un simil…».
«Tranquilla Rossella, tranquilla… sistemeremo tutto, non farti venire il solito affanno».
– Ma è morta! Che vuoi che le faccia un po’ di affanno…?! –
«Non essere cinico. Sono tua madre. Porta rispetto! Hai mai sentito parlare di quelle persone cui viene amputato un arto, che tuttavia giurano di continuare a sentire? Quelli che avvertono il dolore ad una gamba ormai inesistente? Con la vita, gli affanni, è la stessa cosa. Si provano per abitudine!».
– Ok, ok. Quindi sei qui perché non ho una donna. –
«Esattamente».
– Ma mamma, non è una cosa che uno prende, decide, e come per magia incontra la donna della sua vita, si innamora e lei fa lo stesso –
«Sì. Devi decidere».
– Ma mamma, dove la trovo io adesso la donna giusta…? –
«Sei un idiota».
– Cosa? –
«L’hai trovata da un pezzo…».
«… eh sì, ed è anche un gran bel pezzo di…».
«Oh Arturo, smettila non è questo il punto!».
– Ma di cosa, di chi parlate?? –
«Quella volta del leone, quella volta che hai cercato di, cercato di suic…».
La statua mamma scoppia in un pianto dirompente… non riesce a dirlo, non lo può accettare…
«… Hai dato un grande dolore a tua madre».
– Scusa mamma. Ma ora sto bene. E non ho bisogno di una donna. –
«Chi ti ha salvato? Chi ti ha trovato? Chi ha chiamato l’ambulanza?».
– Cloe… –
«Cloe».
«Cloe!».
– Ma siete fuori, lei è una mia amica. Una grande amica. La migliore…
Sì, ammetto che la prima volta che l’ho vista… wow. Quegli occhi neri che ti leggono dentro, quel viso pieno di lentiggini. Le gambe tornite. Non avevo in mente altro che… beh, avete capito.
Era estate. L’ho vista arrivare in quel locale… labbra rosse, da morirci dentro. Un’apparizione. Il vestito semplice di lino bianco. Nessun ornamento. Solo i suoi ricci, arancioni e lucidi, mossi nel vento. E il culo più… ops. Scusa mamma. –
«Lascia stare. Smetti di scusarti e ascoltami attentamente. Quella donna, bambino mio, ti ama… ma per starti vicina, per non durare la solita notte e via, si è trasformata nel tuo migliore amico… e attende. Che tu ti decida!!!».
– Ma no! Ti sbagli! Ha un fidanzato… Più giovane. Più bello di me. Siamo usciti in quattro una settimana fa… –
«… Oh sì, ricordo bene la biondina che ti accompagnava…».
– Guardalo mio zio, come sta ammiccando. Ora sì che lo riconosco.–
«Arturo! Facevo meglio a portarmi mio marito!!».
– Bè allora ti sarei accorto anche, caro zio, che la signorina bionda lì, non aveva occhi che per quel fotomodello del fidanzato di Cloe!
E che nonostante ciò lui è rimasto buono ad adulare la sua donna: Cloe! –
«Perché è una donna che vale. E se aspetti ancora la perderai, per sempre».
… E anche questa volta, come ogni volta dopo una discussione, alla fine mia madre, che proprio non riesce a tenermi il muso a lungo, mi manda un bacio. Uh… La statuina è tornata immobile. – Ciao mamma –.
E tu? Ora mi credi?
… Ma, sta piovendo? E da molto tempo a giudicare dai miei capelli fradici. Non me ne ero accorto.
Ho bisogno di riappropriarmi dei miei arti. Di abbandonare lo stato di trance. Chiamo Martina.
«Ciao papà! Che si dice, tutto ok?».
«Martina devo farti una domanda…».
«Papà mi spaventi, tutto bene?».
«No, cioè sì, è solo che ho visto la nonna… ehm… in sogno…».
«Ok. Capito. È risuccesso… hai bisogno di aiuto? Dov’è Cloe? Hai modo di raggiungerla?».
«Tranquilla Martina, sto bene. È che la nonna dice, ha detto, che Cloe mi ama… e…».
«Sì papà. E lui, hai presente il fotomodello? Le ha chiesto di sposarla… Quindi il tuo subconscio ti sta dicendo di darti una mossa. Mi pare chiaro».
«Ok amore. A presto».
L’hai sentita? A quanto pare tutti hanno capito. Tranne il sottoscritto. Un film già visto.
Sì, lo so… è passato un buon quarto d’ora e sono ancora qui, sotto la pioggia a fare avanti indietro nel vicolo… Il fatto è che già prevedo una notte a rigirarmi nel letto. E non ne ho voglia. All’improvviso, come dire, sento forse l’impulso a risolvere una situazione della quale, fino a poco fa, non avevo alcuna consapevolezza.
Non sono più giovane. Non sono uno sportivo. Sono appesantito dalla vita e dalla poca cura che negli anni ho avuto di me stesso.
Eppure sai una cosa? Ora mi metto a correre! Così. Sotto la pioggia, così. Zuppo!
Che io sia pronto a prendere finalmente il controllo…?
Però ora mi fermo.
Guarda: c’è un padre che sta cercando di far uscire dall’auto il suo ragazzo. Un bambino dallo sguardo un po’ triste… quanti anni avrà? Circa 12. Che non cammina. Deve metterlo in carrozzella. E piove a dirotto.
Devo fermare la mia corsa.
«Dimmi come ti posso aiutare».
Sì, mi hai scoperto, sto approfittando della pioggia per nascondere le lacrime.
Ma come si fa a trattenersi davanti a questo padre riconoscente, che mi porge un ombrello, che prende suo figlio in braccio, mentre io li riparo.
Questo deve essere il loro portone.
Mi fa cenno di prendere le sue chiavi dalla tasca della giacca… trovate!
Ok, perfetto, apro.
Mi ha passato il ragazzo in braccio… prende l’ombrello e va di nuovo alla macchina, per la carrozzella, immagino.
Guarda il volto di questo ragazzo. Non è bellissimo? Mi guarda incuriosito, pare.
«Peso troppo?».
Lo senti Il mio cuore? Va in frantumi. Devo sforzarmi comunque di sorridere.
«Credimi, è un grande onore, posso chiedere come ti chiami?».
«Luca ».
Guardalo il suo sorriso, dimmi se non pare più… un’assoluzione.
Eccolo suo padre che torna, asciuga la carrozzella con un panno.
Ora sistemo Luca sulla seduta, e poi tiro fuori dalla tasca uno dei miei circa 300 gufetti pelouche… ne porto sempre un paio con me. È un vizio.
«Ti porterà fortuna. A me ne ha portata».
Guarda che strano! Il gufo non si ribella, non ricomincia con la tiritera dei suoi fratelli volatili che lo aspettano. Secondo me capisce che Luca è un ottimo spostamento di prospettiva.
«Grazie».
«Grazie a te».
Sono pronto per Cloe. Sono stato assolto…
Riprendo la mia corsa. Vedi? Finalmente ha smesso. Le mando un messaggio!
«Sono qui sotto».
«Scendo».
Eccola. Come al solito indossa quel vecchio cappotto vintage, il cappello di lana improbabile e sotto il pigiama a righe.
«Cosa ci fai qui? … Comunque mi hai preceduta. Volevo chiamarti, darti una notizia…».
«Non farlo. Non sposarlo».
Umm, cosa è quella espressione interrogativa? Ma allora non è vero che mi ama…
«… No, non lo farò. Gli ho detto di no… non potevo fargli questo torto. Era questa la notizia. Chi ti ha detto della proposta…? No no aspetta, non dirmelo, Martina! Gli avevo chiesto di non farlo…».
«Ha avuto le sue ragioni».
«Ma che ti prende, sei strano… Problemi con la biondina?».
«Ma vuoi stare un po’ zitta? Diamine, sono venuto fin qui, ho corso! Io ho corso… e sotto la pioggia! Forse avrò qualcosa da dirti, no?».
«Immagino di sì. Per questo parlo. È che io, ecco io… ho aspettato… sì, questo momento forse… non so. Ed ora ho paura».
Cloe, paura? Ma chi l’avrebbe mai detto… Lo credevo impossibile. E allora, sai una cosa? Ora, ora lo faccio. Ora prendo Cloe, e la tiro a me dalla vita fina. Non ti pare che stia… tremando un po’? Ha lo sguardo improvvisamente pudico di una ragazzina.
Mi fa impazzire questo sguardo.
Ora, mia cara Luna, mi vedrai guardare in cielo per un momento, ma stavolta non sarà per parlare con te.
Sento che devo ringraziarla… chissà se mi sentirà. Comunque,
– grazie mamma –…
Ed ora, scusami, Luna, ma torno a guardare la donna che amo… da anni.
E che finalmente è mia. Bloccata in una Parada.
Come in quei vecchi film, Luna, mi approprierò della sua bocca. E lei in breve si scioglierà in una Caricias.
Quindi fai un po’ di silenzio mentre illumini la notte, che questa volta, puoi giurarci, farò iniziare lenta la nostra lunga Chacarera.