JOSH
Josh Trevor scostò la tendina di pizzo dalla finestra della cucina e guardò fuori, la pioggia incessante lo aveva inzuppato come un pulcino quel pomeriggio. Aveva fatto una doccia calda e dopo aver cenato con la madre cominciava ad annoiarsi.
«Mamma, quando torna papà?»
«Non lo so Josh, ha detto che aveva molto da fare oggi, doveva incontrare alcuni clienti importanti. Con questo tempaccio chissà quanto traffico troverà».
«Già! Io vado in camera mia a giocare con la PlayStation».
Liza sorrise nervosamente guardandolo andare via, si sedette al tavolo col viso fra le mani. Un’angoscia le opprimeva il petto, ebbe la tentazione di andare in camera del figlio e confidarsi con lui, ma non lo fece. Si alzò a fatica dalla sedia, indossò il soprabito e uscì di casa. Fatti pochi passi si fermò, si rese conto di essere uscita in ciabatte e senza ombrello.
«Oh mio Dio, che sto facendo?» mormorò.
Tornò in casa, si tolse il soprabito e si asciugò i capelli.
«Mi sembra di impazzire – guardò l’orologio con apprensione – perché non arriva?»
Prese dalla tasca del grembiule un biglietto, lo lesse e rilesse come per tranquillizzarsi.
Josh si era stancato di giocare coi videogame, poiché la pioggia non accennava a diminuire, si sdraiò sul letto e si appisolò. Voci alterate lo scossero da quel torpore, scese dal letto e uscì dalla camera. La porta d’entrata era spalancata, il rumore della pioggia si sentiva molto forte. Due poliziotti, uno dei quali teneva un braccio intorno alla vita di sua madre, erano nell’atrio. Solo allora si accorse che la donna era quasi piegata su se stessa, le spalle scosse da violenti singhiozzi.
«Mamma, che succede?» gridò precipitandosi giù dalle scale.
«Ragazzo devi essere forte – disse un poliziotto – tuo padre ha avuto un incidente d’auto».
«Oh no, è grave?»
«Purtroppo è morto, mi dispiace».
Josh restò immobile, come se non avesse capito le parole dell’agente, la madre si girò verso di lui in lacrime, si gettarono uno nelle braccia dell’altra.
«Oh, Josh!»
«Mamma!»
I poliziotti attesero qualche minuto rispettando il loro dolore.
«Signora Trevor, è necessario che venga con noi all’obitorio per il riconoscimento».
La donna si asciugò le lacrime.
«Sì certo, ma verrò solo io».
«No mamma, voglio venire anch’io, voglio vederlo».
«Sei sicuro Josh?»
«Sì mamma, sicurissimo».
All’obitorio percorsero un tetro corridoio fino alla stanza con le celle frigorifere. L’incaricato cercò il numero ed estrasse il carrello. La salma era coperta da un lenzuolo bianco, un cartellino col nome era appeso all’alluce di un piede: Adam Trevor.
Josh e la madre stavano abbracciati di fianco al carrello visibilmente scossi.
«Posso signora?»
«Sì» mormorò Liza con un filo di voce.
L’uomo scoprì delicatamente il viso della salma.
«Papà!» – gridò Josh scoppiando in lacrime. Liza restò impietrita a guardare il volto dell’uomo che ora giaceva, freddo e inespressivo. Non disse una parola, non pianse, si accasciò come un fantoccio e perse i sensi…
SUSAN
Susan Cordell guardava con aria assente il marito Dave mentre si preparava per andare al lavoro, sarebbe stata un’altra giornata come tante, noiosa, angosciante, solitaria.
«Io vado, ci vediamo stasera Susan» disse Dave con freddezza. Lei rispose con un cenno della mano senza dire una parola. Rimasta sola andò verso il camino, sulla mensola c’erano alcune fotografie, ne prese una e subito gli occhi le si riempirono di lacrime. Un viso giovane, bello e sorridente la guardava, coi suoi bellissimi occhi neri, uguali a quelli di Dave. Era Ted, il suo adorato figlio, morto in un assurdo incidente d’auto. Susan aveva incolpato il marito di quella morte, era stato lui a lasciar guidare la macchina al figlio nonostante non avesse ancora la patente. Erano usciti insieme:
«Mamma vado a fare un giro in macchina con papà, ha detto che mi insegnerà a guidare».
«Ma non hai la patente tesoro. Dave! Ti sembra proprio il caso? Oltre ad essere pericoloso, rischi una bella multa!»
«No Susan, andremo in una zona isolata non preoccuparti, Ted è un ragazzo giudizioso, e poi ci sono io a badare a lui».
Non fu così purtroppo. Preso dall’entusiasmo Ted pigiò sull’acceleratore, nonostante le proteste del padre:
«Frena Ted, stai andando troppo forte!»
«Ma dai papà, è divertente».
«Frena ho detto! Accosta, la lezione finisce qui!».
Ted, innervosito, frenò bruscamente, perse il controllo della macchina che, slittando, andò a sbattere contro il muro di cinta di una villetta. Il ragazzo morì sul colpo, il padre se la cavò con qualche contusione e un leggero trauma cranico.
Susan non lo perdonò mai:
«Hai ucciso tuo figlio!»
Avrebbe voluto andarsene per sempre da quell’uomo ma, non aveva un lavoro, non avrebbe saputo dove andare. Restò con lui, però da quel momento non volle essere più toccata, non dormì più nella stessa camera da letto.
Per Dave la vita era diventata impossibile, distrutto dal dolore per la morte del figlio, oppresso dal rimorso e dalle accuse di Susan che viveva ormai solo nel ricordo di Ted, nient’altro la interessava…
EVA
Eva Garret, sedicenne studentessa liceale, quella mattina era felice più del solito. Josh, il ragazzo che abitava poco distante, le aveva sorriso in modo particolare, almeno così le era parso. Da tempo lei lo guardava di nascosto, era proprio un bel ragazzo, inoltre aveva un’espressione dolce e malinconica, faceva tenerezza. Eva pensava spesso a lui, alla disgrazia che colpì la sua famiglia quando il padre di Josh morì in un tragico incidente stradale. Il ragazzo dovette abbandonare gli studi e cercare un lavoro poiché la madre, distrutta dal dolore, non usciva più di casa e mormorava frasi incomprensibili. Quel giorno però, Eva non pensava a cose tristi, il sorriso di Josh era sempre davanti ai suoi occhi, quanto sperava che si accorgesse di lei, che le parlasse! Finalmente finì l’ultima ora di lezione, gli studenti si avviarono all’uscita ridendo e scherzando come al solito. Eva salutò le compagne e si avviò verso casa. Una voce la bloccò:
«Eva!». Si girò di scatto, l’emozione la fece arrossire. Cercò di sembrare indifferente:
«Josh! Come mai da queste parti?»
«Passavo! Giacchè sono qui, posso accompagnarti a casa?»
«D’accordo» rispose Eva simulando indifferenza, mentre il cuore le balzava in petto dalla gioia. Lui si offrì di portarle lo zainetto, lei sorrise con gratitudine. Parlarono del più e del meno, gli occhi persi l’uno nell’altra. Arrivati nei pressi di casa, videro qualcuno avanzare verso di loro.
«Papà» disse allegramente Eva, salutandolo da lontano.
«Ciao Eva, ti ho vista arrivare e…» poi guardò Josh con aria interrogativa. Il ragazzo cercò di nascondere l’imbarazzo:
«Buongiorno sig. Garret, ho incontrato sua figlia fuori dalla scuola e l’ho accompagnata fino a casa».
«Capisco – rispose Garret senza sorridere –bene, ora entriamo in casa Eva».
Prese la figlia per un braccio e si avviò verso il cancello. La ragazza guardò Josh con espressione sgomenta, ma il padre quasi la stava trascinando, potè solo vederlo andare via a testa bassa.
Appena entrati in casa Eva sbottò:
«Papà! Perché sei stato così sgradevole con Josh? Non l’hai neppure salutato!»
«Avevate un appuntamento?»
«No papà, l’ho incontrato per caso».
«Non voglio che frequenti quel ragazzo!»
«Cosa? Ma perché?»
«Adesso ho da fare, ne riparleremo!»
Detto questo, si rintanò nel suo studio. Eva andò in soggiorno, la madre stava seguendo alla tv una puntata della sua soap opera preferita. Quando vide la figlia sorrise:
«Ciao tesoro».
«Ciao mamma, posso parlarti?»
«Certo, lasciami vedere la fine della puntata, cinque minuti, ok?»
Eva si accoccolò vicino alla madre aspettando in silenzio. Spenta finalmente la tv, la donna disse:
«Allora amore, cosa c’è?»
«Mamma, oggi papà mi ha vista in compagnia di Josh Trevor, sai, quel ragazzo orfano di padre che abita qui vicino».
«Ah sì, ho presente. Ebbene?»
«Non lo ha neppure salutato, poi mi ha proibito di frequentarlo, ma non mi ha voluto dare una spiegazione. Non capisco».
Sarah Garret guardò la figlia con tenerezza:
«Tesoro, lo sai come la pensa tuo padre, vuole che tu frequenti persone del tuo stesso livello. Mi risulta che quel ragazzo abbia lasciato gli studi e lavori come magazziniere».
«Cosa c’è di male mamma!»
«Niente cara, ma supponiamo che ti faccia la corte, che si innamori di te, cosa avrebbe da offrirti? Nulla! Quindi, meglio non iniziare neppure una simile amicizia, non ti pare? Su, andiamo in cucina a mangiare un bel gelato».
Eva seguì la madre senza dire nulla. Ma che razza di discorso le aveva fatto? Lui l’aveva solo accompagnata a casa, e loro pensavano già ad una relazione fissa? A dire il vero non le sarebbe dispiaciuto affatto…
JOSH
Tornò a casa di malumore, quel Garret lo aveva completamente ignorato, anzi, l’aveva guardato con disprezzo. Chi credeva di essere? Se non fosse stato il padre di Eva, gli avrebbe tirato due pugni in faccia! Sorrise ripensando al bel faccino di lei, era da tanto che desiderava parlarle, essere suo amico e poi…chissà!
«Josh, sei tu?»
«Sì mamma. Come stai oggi?».
«Oh, non so che dire, mi gira la testa, mi sento debole, al solito. Le medicine non mi fanno niente».
«Mamma, devi reagire! Vestiti, esci un po’, vai a trovare qualcuno, non puoi stare sempre chiusa in casa e sdraiata sul divano».
La madre cominciò a piagnucolare:
«Penso sempre a tuo padre…»
«Mamma, devi rassegnarti! Papà è morto, non tornerà più, credi che sarebbe contento di vederti così depressa?»
Lei si asciugò gli occhi e mormorò:
«Sì, hai ragione tu Josh, cercherò di reagire».
Entrò in bagno e chiuse la porta. Si prese la testa fra le mani e si accovacciò sul pavimento in preda alla disperazione.
«Mamma, tutto bene?» Josh era preoccupato, ormai la madre era in bagno da troppo tempo.
La madre aprì la porta:
«Eccomi Josh, sto bene, ora preparo qualcosa da mangiare».
Durante la cena Josh sentì il bisogno di confidarsi:
«Sai mamma, oggi ho incontrato Eva all’uscita di scuola, la figlia dei Garret, così l’ho accompagnata a casa. A dire il vero sono passato di lì apposta, speravo di incontrarla, sai, mi piace quella ragazza, mi piace molto ».
«Davvero? Ma Josh, quella famiglia è troppo agiata, io li conosco, amano frequentare persone benestanti quanto loro. Temo che andrai incontro a dispiaceri figliolo».
«A dire il vero, suo padre quando mi ha visto mi ha guardato malissimo».
Liza si rabbuiò in viso:
«Vedi? Ho ragione io, lascia perdere».
Finita la cena Josh si ritirò in camera sua. Ormai era buio, stava per chiudere le imposte quando vide qualcuno fermo sul vialetto, seminascosto da un albero. Josh la riconobbe subito: era sua madre! Stupito, rimase ad osservare per qualche minuto, la donna gesticolava, sembrava stesse discutendo con qualcuno, ma non c’era nessuno. D’un tratto la vide tornare in casa a passo svelto. Sembrava delusa.
La mattina dopo, mentre faceva colazione, chiese alla madre:
«Ti ho vista là fuori ieri sera mamma, con chi stavi discutendo?»
Liza si irrigidì un momento, poi si voltò di scatto e rispose nervosamente:
«Io? Ma che dici Josh! Ti pare che me ne vada in giro di sera a discutere con chicchessia? Ho preso un sonnifero e ho dormito come un ghiro».
Ancora più confuso, Josh non replicò. Sua madre aveva mentito, ma perché?…
SUSAN
Restò alla finestra a guardare l’auto di Dave girare l’angolo, poi fece colazione, si preparò con cura e salì sulla sua utilitaria. Finalmente la telefonata era arrivata! Quell’appuntamento era di vitale importanza per lei. Arrivò puntuale, col cuore in gola per l’emozione, suonò il campanello. La porta si aprì quasi subito, una donna anziana la accolse con un sorriso:
«Susan?»
«Sì, sono io».
«Entra cara».
“E’ una casa piuttosto grande per una persona sola” pensò Susan mentre osservava l’arredamento austero e i pesanti tendaggi di velluto. Percorsero un lungo corridoio, ai lati molte porte chiuse. L’anziana donna ne aprì una:
«Prego Susan, accomodati».
«Grazie signora…».
«Maggie, chiamami Maggie».
«D’accordo, grazie Maggie».
Entrarono in una stanzetta illuminata debolmente da un paralume blu e, in mezzo, un tavolo con due sedie. L’atmosfera era cupa ma a Susan non importava, solo una cosa desiderava e quella donna poteva aiutarla.
«Siediti Susan – disse Maggie – sei pronta?»
«Oh sì, non vedo l’ora».
Maggie sorrise, prese un mazzo di tarocchi dal cassetto e li dispose sul tavolo:
«Ecco il fante di cuori – disse – questo è tuo figlio che ti saluta Susan».
La donna, con le lacrime agli occhi, mandò un bacio con la punta delle dita verso la carta mormorando:
«Ciao Ted, bambino mio!»
Maggie continuò la lettura dei tarocchi, dicendo che il figlio era sereno, la proteggeva dal cielo e aveva perdonato il padre. Inoltre, voleva che Susan portasse un amuleto in suo ricordo, una piccola croce di legno con inciso un rametto d’ulivo, in segno di amore e di pace.
«Un amuleto? – disse Susan – Come posso averlo?»
«Ci penso io a procurartelo cara – sussurrò Maggie – purtroppo è piuttosto costoso, si tratta di un legno benedetto, devo ordinarlo apposta per te».
«Non importa Maggie, se mio figlio vuole questo, io lo farò. Fammi avere quell’amuleto, ecco un anticipo, è sufficiente?»
«Oh! Ma certo!» Maggie guardò con soddisfazione la grossa cifra scritta sull’assegno, quindi congedò Susan con un abbraccio materno:
«Ti chiamo io cara, appena arriva l’amuleto».
Susan uscì sorridendo felice, Maggie aprì un cassetto con dentro un centinaio di piccole croci di legno, ne prese una e vi incise con grande perizia un rametto d’ulivo. Infilò la croce in un sacchetto di velluto rosso che legò in alto con un nastrino dorato e lo ripose in un portagioie.
Ok bell’amuleto – disse fra sé sogghignando – fra qualche giorno andrai ad allietare la dolce Susan.
Uscì dalla stanza e la chiuse a chiave, poi percorse il corridoio fino a un’altra porta, l’aprì e controllò che tutto fosse pronto per il prossimo appuntamento: un lettino, un tavolino d’acciaio con gli attrezzi disposti ordinatamente su una tovaglietta di lino bianca. Pochi minuti dopo suonarono alla porta, Maggie aprì e sorrise alle due donne:
«Prego entrate pure».
Ann Wilson e la figlia Sally entrarono lentamente. Erano entrambe molto tese “la ragazzina avrà sedici anni sì e no – pensò Maggie Le accompagnò nella stanza che aveva controllato poco prima.
«Accomodatevi, mi disinfetto le mani e sono da voi».
«Ho paura» disse la ragazzina. La madre trattenne un singhiozzo. Maggie intervenne prontamente:
«Non temere cara, con l’anestesia non sentirai dolore. Ecco, sdraiati sul lettino e appoggia le gambe su questi ganci… così, bravissima!»
Dopo averle dato un anestetico Maggie prese dal tavolino un lungo ferro sottile…
SALLY
Sally Wilson, quindici anni, era disperata. Ripensava ai recenti avvenimenti che le avevano distrutto la vita. Suo padre Albert, responsabile del reparto di produzione di una importante azienda chimica, era stato preso con le mani nel sacco mentre duplicava alcune formule con l’intento di rivenderle alla concorrenza.
L’uomo si trovava in difficoltà economiche, le rate del mutuo della villetta erano ormai insostenibili, aveva quindi escogitato quell’espediente. Licenziato in tronco, l’uomo cadde in depressione. La moglie Ann, pur biasimandolo per ciò che aveva fatto, cercava di stargli vicino. Non riusciva proprio a capire per quale motivo suo marito avesse fatto una cosa del genere, lo stipendio era buono, non avevano avuto problemi fino a quel momento. Albert rifiutava di rispondere alle sue domande, anzi, dava in escandescenze ogni volta che la moglie entrava in argomento. Sally assisteva atterrita alle loro discussioni, guardava la madre che, con gli occhi arrossati dal pianto, scuoteva il capo con rassegnazione. Non potevano sapere che Albert era entrato in un giro di scommesse clandestine, aveva perso molto denaro, si era indebitato con alcuni amici che ormai esigevano la restituzione dei loro prestiti. Il vero motivo del suo comportamento, non poteva e non voleva confessarlo alla famiglia. Fu proprio in quel periodo così difficile che Sally conobbe un uomo, si scontrò con lui casualmente mentre entrava di corsa nel cortile della scuola. I libri le caddero di mano e lui, scusandosi gentilmente, l’aveva aiutata a raccoglierli. Com’era bello! E che sorriso affascinante! Sally ne rimase subito rapita. Lui si presentò, si chiamava Diego, le chiese se poteva aspettarla all’uscita di scuola per fare una passeggiata e mangiare un gelato, per farsi perdonare di averle fatto cadere i libri. Lei finse di pensare, ma in cuor suo non aspettava altro, disse sì. Fu così, che in gran segreto cominciò a frequentare quell’uomo, se ne innamorò pazzamente, facevano l’amore ogni volta che potevano. Sally trovava mille scuse per uscire di casa. Diego diceva di amarla, che l’avrebbe sposata. Lei pensava che finalmente avrebbe lasciato la sua casa così cupa e triste e sarebbe stata felice col suo amore. Andò avanti alcuni mesi, finché un giorno Sally cominciò ad avere nausea e vomito, si confidò con Diego che le consigliò di fare il test di gravidanza, per sicurezza. Chiusa in bagno la ragazza guardava con apprensione l’indicatore immerso nell’urina: ecco due linee colorate, positivo! In preda a una grande agitazione, Sally ebbe la tentazione di dire tutto alla madre, poi pensò a suo padre, chissà come avrebbe reagito nello stato in cui era. Sul cellulare cercò il numero di Diego che rispose subito:
«Ciao Sally, come mai così presto?»
«Diego, ho fatto il test, sono incinta».
Silenzio.
«Diego mi senti? Non posso gridare, sono in casa chiusa in bagno. Mi senti?»
«Sì, ti sento».
«Dobbiamo parlarne».
«Certo, vediamoci nel pomeriggio, solito posto».
«Va bene, ciao».
Sally rimase ferma a guardare il cellulare come se potesse vedere attraverso il display l’espressione di lui. Non le era parso affatto contento anzi, sembrava seccato. Le ore di scuola furono interminabili quella mattina. All’uscita si precipitò al parco, dove solitamente si incontravano. Era già lì ad aspettarla:
«Ciao amore» disse Sally.
«Ciao».
Lei lo guardò negli occhi e si spaventò, non gli aveva mai visto uno sguardo così freddo.
«Diego, dobbiamo parlare del bambino, non credi?»
«Un bel pasticcio!»
«Un pasticcio? Che intendi dire? Hai sempre detto che vuoi sposarmi, questo potrebbe accelerare le cose, no?»
La sua risposta le fece quasi mancare il respiro:
«No Sally, mi dispiace, vedi, io sono già sposato».
«Cosa? Oh no! No! Diego, cosa dici? Io aspetto tuo figlio».
«Mi dispiace tanto, davvero».
«Oh Dio mio, e adesso come faccio? Cosa posso fare?»
Scoppiò in lacrime. Lui tirò fuori dalla tasca della giacca una busta, gliela porse dicendo:
«Tieni, mi faccio carico di tutte le spese. Sono in partenza, torno da mia moglie, sai, ho già due figli».
Sally prese la busta senza neppure rendersene conto, indietreggiò di qualche passo poi, singhiozzando fuggì verso casa. Il padre era fuori per fortuna. Quando Ann vide la figlia così stravolta, si precipitò verso di lei:
«Sally, cosa ti è successo? Sei stata aggredita? Hai avuto un incidente?»
«No mamma».
Col viso inondato di lacrime, la ragazza confessò ogni cosa alla madre, la quale si coprì il volto con le mani per la disperazione.
«Sei una stupida! Così lui ti ha lasciato e non sai neanche come rintracciarlo immagino».
«No».
«Oh Dio, come faccio a dire una cosa simile a tuo padre, è già in uno stato pietoso. Lasciami pensare».
«Mi ha dato questa» mormorò Sally tirando fuori la busta.
«Che bastardo! Aveva pensato a tutto».
Ann si confidò con una carissima amica, le raccontò tutta la faccenda.
«Cosa posso fare Linda?»
«So di una donna che fa “quel lavoro” in gran segreto, se vuoi ti metto in contatto con lei, perlomeno quel bastardo i soldi ve li ha dati».
Fu così che Sally rinunciò al suo bambino, entrando nella stanza della vecchia Maggie…
ALBERT
Albert Wilson, appollaiato sullo sgabello del bar, all’interno della sala scommesse, chiese un altro bicchierino di scotch al barman.
«Albert, non posso più farti credito, il tuo conto è salito troppo, se non mi paghi non ti darò più niente da bere».
«Ti pagherò Sam, dammi tempo».
«Mi dispiace, il tempo è scaduto».
«Ti credevo un amico Sam».
«Sono tuo amico, infatti non ti ho ancora denunciato, non costringermi a farlo».
Wilson scese dallo sgabello e, a testa bassa, uscì dal locale. Camminando rasente il muro, pensava a come aveva distrutto se stesso e la sua famiglia. Aveva tentato di rubare le formule alla sua azienda per rivenderle alla concorrenza, tutto per coprire i debiti di gioco. Come aveva potuto ridursi così? La moglie Ann e la figlia Sally non gli facevano più domande, avevano rinunciato, erano stanche di lui, l’aveva capito. “Non merito di vivere, meglio farla finita” pensava, mentre barcollando si dirigeva verso il ponte. Si appoggiò al parapetto, guardò il torrente scorrere impetuoso sotto di lui, pareva lo chiamasse. “Coraggio, un bel salto e tutto sarà finito. Staranno tutti meglio senza di me”. Improvvisamente un pensiero gli balenò nella mente. “Forse posso uscirne, forse so chi mi può aiutare, sì, so a chi rivolgermi”. Si scostò dal parapetto e si incamminò velocemente verso l’automobile parcheggiata vicino al pub. L’aria fresca dissipò i fumi dell’alcol, si sentiva più fiducioso. Arrivato davanti alla casa esitò un momento. Si sarebbe ricordata di lui? Suonò il campanello, sentì i passi avvicinarsi dall’interno, la porta si aprì:
«Ciao Maggie, ti ricordi di me?»
La donna lo squadrò da capo a piedi per qualche secondo poi, con un sorriso ambiguo disse:
«Ma certo che mi ricordo, Albert, giusto? Albert Wilson».
«Sì, sono proprio io Maggie».
«Qual buon vento ti porta da me dopo tanto tempo?»
«Fammi entrare per favore, devo parlarti, è importante».
«Ma certo, entra pure».
Lo fece accomodare nel salottino.
«Allora, Albert! Raccontami tutto».
Wilson raccontò ogni cosa alla donna, il furto in azienda, il licenziamento, i debiti di gioco, il timore di perdere anche la casa e la famiglia.
«Accidenti, che situazione catastrofica! E io cosa dovrei fare Albert?»
«Maggie, in passato aiutasti mio padre, ora sono io a chiederti aiuto, in nome della vecchia amicizia che ti legava alla mia famiglia».
«Ah, capisco. Non si trattò di amicizia caro, ma di affari. Io prestai dei soldi a tuo padre e lui me li restituì con gli interessi. Tutto qui».
«Ora sono io ad avere bisogno Maggie, un estremo bisogno di soldi, aiutami ti prego!»
«Caro ragazzo, mi sembri piuttosto malandato, non hai un lavoro, come pensi di ripagarmi? Ho bisogno di garanzie, non credi?»
«Lavorerò Maggie, farò qualsiasi lavoro, smetterò di giocare e di bere, detta tu le condizioni».
«Di quanto denaro stiamo parlando?» – chiese.
«Centocinquantamila, per coprire tutti i debiti».
«E’ una cifra enorme!»
«Lo so, non abbandonarmi Maggie, sei la mia ultima speranza. Altrimenti mi uccido!»
Maggie lo guardò fisso negli occhi:
«Ti darò i soldi, me li restituirai con l’interesse del dieci per cento, altrimenti mi prenderò la tua casa, mi pare onesto».
Albert tremava, cosa stava facendo? Se avesse perso la casa sarebbe stata davvero la fine, ma cosa poteva fare d’altro? Con un filo di voce e le lacrime agli occhi accettò.
«D’accordo Maggie, grazie».
«Torna fra tre giorni».
Lo accompagnò all’uscita, ma prima di aprire la porta gli chiese:
«Come stanno Ann e Sally?»
Albert rispose confusamente:
«Bene, almeno credo, non ci vediamo molto in questo periodo. Per colpa mia naturalmente».
«Ti consiglio di non dire niente, inutile dare loro altre preoccupazioni. Sarà il nostro segreto».
«Sì, credo sia meglio, grazie Maggie.»
Maggie richiuse la porta, era perplessa. “Non sa che la figlia ha abortito – pensò – povero, stupido Albert”…
EVA E JOSH
I due ragazzi non avevano certo rinunciato a vedersi, anzi, ogni giorno lui l’aspettava all’uscita da scuola poi l’accompagnava per un tratto verso casa, la salutava con un bacio e restava a guardarla finché non spariva dietro il cancello della villa, in barba ai genitori, che non approvavano la loro amicizia. Quel giorno, come ogni giorno, Josh sorrise vedendo Eva attraversare la strada e venirgli incontro, si avviarono mano nella mano verso il parco che li avrebbe protetti da occhi indiscreti. Si scambiarono parole dolci e teneri baci poi, come ogni giorno, lui la lasciò all’angolo della via. Dalla villetta di fronte, dietro una finestra, Maggie li guardava con un sorriso ironico, prese il cellulare e compose un numero:
«Pronto».
«Jim sono Maggie, ti devo parlare».
Quando Josh entrò in casa trovò la madre ai fornelli, la tavola già apparecchiata.
«Finalmente sei tornato Josh! Siediti, la cena è pronta».
«Mamma, sono solo le sei, non è ora di cena».
«Non brontolare! Mangia, che dopo ho da fare un sacco di cose».
«Ma…»
«Insomma Josh Trevor! Fai come ti dico!»
Josh guardò la madre stupito, non gli aveva mai parlato in tono così brusco. Solo allora si accorse che la donna era in preda ad una forte agitazione, i capelli scarmigliati, i calzini di colore diverso, lo sguardo vitreo.
«Mamma, c’è qualcosa che non va?»
«Non c’è niente che non va maledizione! C’è solo che mio figlio non fa ciò che gli dico di fare, ormai dà retta solo a quella sgallettata figlia dei Garret, come diavolo si chiama! Credi che non lo sappia?»
«Noi ci vogliamo bene mamma».
«Insomma basta!» gridò la donna istericamente. Tolse la padella dal fuoco e la scaraventò a terra, poi si prese la testa fra le mani e, gridando parole sconnesse, corse in camera da letto chiudendo a chiave la porta.
Josh era spaventatissimo, cosa stava succedendo alla madre? Raccolse la padella, lavò il pavimento e pulì i fornelli, intanto pensava a come poteva aiutarla. Era evidente che avesse avuto una crisi di nervi.
Telefonò al medico di famiglia, gli raccontò ciò che era successo poco prima.
«Stai tranquillo Josh, domani verrò a trovarla con una scusa qualsiasi per rendermi conto della situazione».
«Grazie dottore».
Era già mezzanotte, quando Josh sentì un rumore. Corse a controllare la camera della madre, era vuota. La vide mentre apriva la porta di casa per uscire. Stava per chiamarla, ma rinunciò. Andò invece in camera sua e guardò dalla finestra. Come la volta precedente, Liza camminava lentamente sul vialetto, sembrava un automa, aveva indosso ancora gli abiti sporchi degli schizzi della padella. Si fermò vicino all’albero e restò immobile. Chi aspettava? Josh aveva il cuore in gola, fu tentato di chiamarla, ma temeva che si mettesse di nuovo a gridare, quindi aspettò ancora un po’. Vedendo che non arrivava nessuno e che la madre era ancora lì, immobile come una statua, decise di intervenire. Si avvicinò dolcemente per non farla spaventare:
«Mamma».
«Ciao caro».
«Vieni mamma, torniamo in casa, vuoi?»
«Sì, sono stanca, ho sentito tuo padre chiamare ma, non lo vedo, sarà andato via».
Josh trattenne a stento le lacrime, le cinse le spalle e la riaccompagnò in casa. L’aiutò a indossare un pigiama pulito, la fece coricare e le rimboccò le coperte. Restò vicino a lei finché non si fu addormentata, poi si ritirò nella sua stanza. Aveva il cuore spezzato, sua madre non riusciva a rassegnarsi alla morte del marito, era sprofondata in un esaurimento nervoso terribile. Spense la luce e si lasciò andare a un pianto liberatorio. Mille pensieri gli vorticavano in testa: la speranza che il dottore potesse guarire la madre, il terrore di perderla, e poi Eva, lui l’amava ma la famiglia non lo vedeva di buon occhio, beh avevano ragione! Cosa aveva lui da offrire? Un lavoro modesto, ed ora anche una madre malata… No, non aveva nessuna speranza, meglio troncare tutto, a costo di morire di dolore.
Quando Eva, lasciato Josh all’angolo della strada entrò in casa, trovò il padre e la madre ad aspettarla con lo sguardo accigliato.
«Ti avevo già detto che non è opportuno che tu frequenti quel Josh Trevor, mi pare» disse il padre.
«Tesoro è per il tuo bene – continuò la madre – ti ho spiegato chiaramente che quel ragazzo non potrà mai offrirti il tenore di vita che hai ora».
«Ma tu – proseguì il padre – hai preferito fare di testa tua e incontrarlo di nascosto. Che idea stupida! Non sai che in questo paese anche i muri hanno occhi e orecchi? Bene! D’ora in poi a scuola ti accompagnerò io e tua madre verrà a prenderti all’uscita. Non vedrai più quel ragazzo».
Eva cercò di protestare ma lo sguardo severo del padre glielo impedì, se ne andò in cameretta a piangere sconsolata…
ALBERT
Ottenuto il prestito da Maggie, Albert Wilson si avviò verso casa, era euforico, finalmente avrebbe sistemato tutto, avrebbe saldato i debiti, trovato un lavoro ad ogni costo e avrebbe recuperato la stima di Ann e Sally. La busta con i soldi (in contanti, meglio non firmare assegni, aveva detto Maggie), premeva contro il suo petto, ben sistemata nella tasca interna della giacca. Era a piedi, la camminata gli avrebbe schiarito le idee. Passò davanti alla sala scommesse senza neppure alzare lo sguardo.
«Albert!»
Si girò di scatto, accidenti, era Sam, che gestiva il piccolo bar all’interno della sala.
«Oh, salve Sam, scusa vado di fretta».
«Che maniere amico, ti ricordo che hai un debito considerevole con me, quando pensi di pagarmi?»
Albert non avrebbe voluto fermarsi, ma lo fece.
«Ho il denaro Sam, ti pagherò domani – disse toccandosi la giacca – prima devo fare un salto a casa».
«Eh no bello mio, se hai il denaro pagami subito, scusa sai, ma non ho più fiducia nella tua parola».
A malincuore Albert entrò nel locale e, senza guardare nessuno, si diresse in un angolo appartato con Sam che gli presentò il conto. Tirò fuori la busta con i soldi e pagò. Il barista spalancò gli occhi:
«Ehi! Hai vinto alla lotteria?»
«No no, ho concluso un piccolo affare, nient’altro».
«Accidenti Albert, con quella somma potresti fare un colpaccio, ho un cavallo sicuro per la prossima corsa».
«No Sam, davvero, non voglio più giocare, ho deciso».
«D’accordo, come vuoi, peccato però, danno Pegaso vincente cinque a uno. Una bella fortuna. Ok non importa, dai vieni che ti offro un bicchiere, siamo ancora amici no?»
Un po’ riluttante Albert lo seguì fino al banco e bevve il brandy tutto d’un fiato, Sam gliene versò un altro e un altro ancora, sapeva che Albert non reggeva più bene l’alcol. Chiamò con un cenno un cliente e, facendogli l’occhiolino disse:
«Kurt, allora hai deciso di giocare Pegaso vincente per la prossima corsa?»
L’uomo capì lo scherzo al volo:
«Sì certo è più che sicuro, stavolta mi porto a casa un bel gruzzolo» rispose ridendo di gusto. Albert, già annebbiato dall’alcol, riuscì a fare un rapido calcolo: avrebbe vinto una fortuna!
«Ok amici, voglio giocare anch’io, ho proprio bisogno di fortuna».
«Bravo Albert Wilson, ora ti riconosco, quanto vuoi mettere?»
Toccò la busta, per un attimo pensò di rinunciare ma, il demone del gioco ebbe il sopravvento».
«Gioco tutto, Pegaso vincente!»
«Ma è una cifra enorme, farai saltare il banco! Ahahahah!»
Fece la sua puntata, non prima di aver bevuto altri due brandy, e finalmente la corsa cominciò.
Pegaso partì molto bene, era in testa ma, a un certo punto, Sparviero, che lo tallonava, aumentò l’andatura. Pegaso sembrava in difficoltà, poi sembrò recuperare, nella sala un vociare infernale di incitazioni a questo o a quel cavallo. Albert, con gli occhi sbarrati, fissi sullo schermo, guardava il suo cavallo perdere terreno irrimediabilmente. Sparviero vinse la corsa. Era finita! Aveva perso tutto! Nella sua mente annebbiata pensieri confusi si accavallavano: “E adesso? Sono finito per sempre! E’ colpa tua Sam! Mi hai rovinato”.
Fuggì dal locale in preda alla disperazione, si mise a correre senza meta finché stremato cadde a terra, piangendo, tossendo, vomitando. Non poteva tornare a casa, non poteva più andare da nessuno.
Nel frattempo Sam faceva una telefonata:
«Maggie, ho recuperato quasi tutto il denaro»…
SUSAN
Quando Susan Cordell ricevette l’amuleto dalle mani di Maggie, si sentì al settimo cielo. Abbracciò la donna con gratitudine, finalmente poteva restare in comunicazione col figlio, grazie a quella piccola croce col rametto d’ulivo inciso. Arrivata a casa tolse l’amuleto dal sacchetto, infilò una catenina nell’apposito occhiello e se la mise al collo, stringendolo e baciandolo come fosse il suo Ted. Sarebbe tornata al più presto da Maggie, le aveva promesso che l’avrebbe fatta parlare col figlio in una seduta spiritica
«Lo faccio solo per te Susan, non spargere la voce».
Quando la sera suo marito Dave tornò a casa, gli andò incontro sorridendo e, vedendolo stupito, gli raccontò di Maggie, dei tarocchi, dell’amuleto e anche del prossimo appuntamento.
«Vorrei tanto che venissi con me Dave, potremo sapere come sta nostro figlio, se è in pace e chissà, forse potremo fargli delle domande e…»
«Susan ti prego basta! Io non credo a queste cose, sono tutte cialtronerie!».
«No Dave, ti assicuro che Maggie è una donna sincera e poi, grazie a nostro figlio, potremmo perdonarci a vicenda e ricominciare tutto daccapo. Per favore!»
A malincuore Dave accettò. Finalmente vedeva la moglie sorridere felice e, soprattutto, gli rivolgeva la parola, cosa che non faceva da troppo tempo. Inoltre era proprio curioso di vedere quella Maggie, ne aveva sentito parlare, e non in tono amichevole.
Si presentarono insieme all’appuntamento, Maggie non fu entusiasta nel vedere che Susan aveva portato con sé il marito ma fece buon viso a cattiva sorte. Li fece accomodare in una piccola stanza con luci rosse soffuse, candele accese sparse tutt’intorno e una musica celestiale a basso volume. Al centro della stanza sopra un tavolino coperto da un drappo rosso, un bastoncino di incenso spandeva il suo profumo inebriante.
Maggie si sedette di fronte alla coppia, chiuse gli occhi, si massaggiò le tempie:
«Ted, qui ci sono i tuoi genitori, vogliono salutarti, parla dunque se ci sei».
Passarono alcuni secondi poi Maggie cominciò ad agitarsi, strabuzzò gli occhi, emise dei gemiti, quindi parlò con voce poco più che infantile:
«Ciao mamma, ciao papà».
Susan scoppiò in lacrime e rispose con voce rotta:
«Ted! Ted bambino mio, sono qui insieme a papà, come stai amore?»
Dave era inebetito, non aveva mai creduto ai medium, per lui erano solo imbroglioni, però doveva ammettere che quell’atmosfera surreale, quei profumi, quella musica, la voce della donna, erano davvero suggestivi.
«Papà!» chiamò Ted tramite la medium.
«Sì figliolo sono qui».
«Mamma, papà, sono felice che siate insieme. Io sto bene, state tranquilli e vogliatevi bene».
Susan col viso inondato di lacrime si strinse al braccio del marito che travolto suo malgrado dall’emozione, si copriva gli occhi arrossati di pianto.
Poi successe qualcosa di inaspettato:
«Papà!».
«Sì Ted, dimmi».
«Devi lasciare l’altra donna».
Dave restò immobile, Susan sollevò il viso verso di lui, la cosa non la stupiva più di tanto, da troppo tempo lei lo trascurava.
«Vuoi lasciarmi Dave?» chiese.
«Andiamo via, ne parleremo a casa».
Maggie nel frattempo aveva riaperto gli occhi e guardava la coppia, aveva un aspetto stanco e provato.
«Allora, siete soddisfatti?»
«Mi dica quanto le devo e ce ne andiamo» disse Dave bruscamente. Pagò il dovuto e uscì immediatamente, Susan si fermò un istante per salutare Maggie e lo raggiunse.
«Non devi spiegarmi nulla Dave – disse Susan una volta rientrati in casa – è colpa mia, lo so, ma se vuoi possiamo ritentare, ora mi sento più serena, perché so che il nostro Ted ci guarda e ci ama. Ti prego solo di non abbandonarmi Dave».
«Non temere Susan, io non ti lascio, l’altra donna è solo una storia senza importanza, credimi».
Si scambiarono un abbraccio, poi Dave uscì per un appuntamento di lavoro. In realtà era infuriato, solo una persona sapeva della sua relazione con Julie, purtroppo l’aveva visto mentre l’abbracciava in auto. Come faceva a saperlo quella vecchiaccia di Maggie? Ora Dave ragionava più lucidamente, la vecchia aveva informatori, quindi spillava quattrini ai malcapitati clienti, in questo caso Susan, raccontando loro cose che sapeva per certo, spacciandole per potere medianico. Non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Salì in macchina e si diresse verso la sala scommesse. Sam il barista, si irrigidì quando lo vide entrare con aria minacciosa, ma fece buon viso.
«Buongiorno Dave, cosa ti servo?»
«Non voglio bere, voglio parlarti. Hai rivelato tu a quella vecchia strega che frequento un’altra donna vero?»
«Quale strega, non capisco di cosa parli».
«Non fare il furbo con me pidocchio, o te ne farò pentire, so che mi hai visto».
Sam era pallido come un cencio, farfugliando confessò:
«Lei mi ricatta Dave, sono costretto a fare certe cose, credimi, non avevo altra scelta».
«Bastardi! Ve la farò pagare».
Uscì dal locale deciso a far prendere un bello spavento a quella infida donna.
Pioveva a dirotto quella notte, Dave si assicurò che Susan dormisse, prese l’auto e si diresse fino alla casa di Maggie, restando sul ciglio della strada riparato dagli alberi. I fari accesi gli permisero di farsi un’idea di come penetrare in casa della donna. Dopo alcuni minuti se ne andò rimandando l’impresa in un giorno senza pioggia.
Maggie scese dal letto rabbrividendo, si avvolse nello scialle e andò in cucina. Scostò la tenda e guardò fuori, un ramo sbattè con violenza contro il vetro facendola sobbalzare. “Accidenti al vento – pensò – non riesco a prendere sonno, mi preparerò una tisana”. Stava per richiudere la tenda quando qualcosa la bloccò. Oltre gli alberi, proprio sul ciglio della strada che attraversava il paese, le parve di vedere un luccichio attraverso la pioggia, solo per un attimo, poi scomparve. “Stai diventando vecchia Maggie – disse fra sé – vecchia e fifona”. Di nuovo quella lama di luce, questa volta era ferma, illuminava debolmente una parte della strada. Maggie inforcò gli occhiali e guardò con più attenzione: intravide la sagoma di un’automobile, la luce era quella dei fari accesi. Un brivido la percorse, cosa ci faceva un’auto di notte con un tempaccio simile, proprio di fronte alla sua casa? Un rapinatore, un maniaco, oppure… Mentre mille pensieri orribili le attraversavano la mente l’auto sparì nel buio.
Rinfrancata Maggie chiuse la tenda, bevve la tisana e tornò a letto…
ANN
Ann Wilson era preoccupata, Albert non era rientrato quella notte, non era mai successo fino ad allora, anche se si ubriacava tornava sempre a casa. Aprì la porta della camera di Sally, la ragazza dormiva tranquillamente, pensò di chiamare la polizia, prima però decise di andare a controllare se c’era l’automobile del marito, poteva essersi addormentato in macchina. Scese con l’ascensore interno fino al box, l’auto non c’era. Stava per risalire quando vide una busta appoggiata sullo scaffale degli attrezzi con scritto il suo nome. La aprì e il cuore le balzò in gola nel leggere quelle poche righe:
“Ann, Sally, perdonatemi, sono stanco, non ce la faccio più. Vi amo.
Ann, parla col barista della sala scommesse, Sam, lui sa tutto. Albert”
Agitatissima, Ann mise il biglietto in tasca e decise di risalire per telefonare alla polizia. Gli occhi captarono qualcosa di strano in fondo al box, in un angolo più buio. Si avvicinò incuriosita e, un urlo agghiacciante uscì dalla sua gola, il corpo di suo marito, ormai senza vita, pendeva dal soffitto con una corda al collo, sotto i piedi una sedia rovesciata…
JIM
Jim Garret, il padre di Eva, era cupo in volto. Non sopportava più la situazione che si era creata. Sua figlia, da quando le aveva impedito di frequentare Josh, non gli rivolgeva quasi più la parola, la moglie Sarah, che in un primo tempo lo aveva sostenuto, ora tentennava e si spostava dalla parte della figlia. Ma la cosa più grave, che doveva finire ad ogni costo, era il rapporto con la vecchia Maggie, che durava ormai da troppo tempo. Andò direttamente a casa sua e bussò con insistenza alla porta.
«Lo sai che devi avvisarmi prima di venire qui! – disse Maggie molto contrariata – cosa vuoi?»
Jim entrò senza ribattere.
«Allora? Cosa c’è di tanto urgente da piombare in casa mia in questo modo?»
«Vengo subito al punto Maggie, ho deciso che non ti pagherò più, non avrai più un centesimo da me».
La donna lo guardò con un sorriso beffardo:
«Dici davvero? Non mi sei grato per averti rivelato che tua figlia si vedeva di nascosto con quel Josh Trevor?»
«Ritengo di averti pagato a sufficienza!»
«Ah sì? E l’altra faccenda, come la mettiamo?»
Jim abbassò il capo ma lo rialzò immediatamente guardandola dritto negli occhi:
«Ti ho pagato abbastanza anche per quello! Basta, ho deciso».
Uscì di corsa sbattendo la porta e lasciando Maggie sbalordita, ma non per molto. I suoi occhi si strinsero fino a diventare due fessure, mentre sibilava “Te ne pentirai Jim”…
JOSH
Il medico prescrisse alcuni importanti esami neurologici per Liza, la madre di Josh. La diagnosi fu impietosa: Alzheimer! Invitò il figlio nel suo studio e gli spiegò la drammatica situazione: doveva prepararsi a un continuo deterioramento delle facoltà mentali e fisiche della madre, non c’era nessuna cura, solo qualche palliativo. Il morale di Josh era rasoterra, non aveva nessuno cui chiedere aiuto, non aveva grandi possibilità economiche. Qualche giorno dopo, mentre tornava a casa dal lavoro si sentì chiamare. Era una donna piuttosto anziana, l’aveva già vista qualche volta, ma non sapeva il suo nome.
«Sei Josh, vero?»
«Sì signora».
«Ho saputo che tua madre sta poco bene, volevo solo dirti che mi dispiace tanto».
«Grazie, la saluterò da parte sua signora…?»
«Maggie, Maggie Bell, anzi se posso esserti utile in qualche modo non esitare a dirmelo».
«La ringrazio signora».
«Oh, chiamami Maggie come fanno tutti, altrimenti mi sento troppo vecchia – disse ridendo – e salutami anche la tua dolce fidanzatina, Eva, vi ho visti insieme qualche volta, siete così carini».
«Veramente non stiamo più insieme».
«Davvero? Oh, quanto mi dispiace!»
«Grazie del suo interessamento Maggie, arrivederci».
«Ciao Josh, vieni a trovarmi qualche volta».
“Che signora simpatica – pensò Josh – chissà se la mamma la conosce”.
Appena entrò in casa vide la madre vestita di tutto punto che lo aspettava sorridente.
«Mamma, dove devi andare?»
«Tuo padre mi ha detto di raggiungerlo».
Josh ebbe un tuffo al cuore, le cose stavano davvero peggiorando. Per distrarla sviò il discorso:
«Ah mamma, sai chi ti manda i suoi saluti? Una simpatica signora che ho incontrato oggi per caso».
La madre dimenticò all’istante l’inesistente appuntamento.
«Si chiama Maggie, la conosci?»
Liza strinse gli occhi come per concentrarsi poi, li spalancò in faccia al figlio e, senza dire una parola, cadde a terra svenuta. Josh chiamò l’ambulanza che, giunta in pochi minuti, portò la madre all’ospedale. Era sera tardi quando poté tornare a casa, la madre rimase in osservazione al pronto soccorso. Si sentiva così solo, così triste, il pensiero corse a Eva, chissà se anche lei lo pensava o si era già dimenticata di lui.
La mattina dopo partì in bicicletta e si fermò vicino alla scuola. Vide arrivare Eva accompagnata dal padre, la ragazza aveva un’aria sconsolata. Josh ebbe l’impulso di correre ad abbracciarla ma si trattenne. Decise però di parlare col padre. L’uomo stava per risalire in auto.
«Signor Garret, le vorrei parlare».
Jim lo guardò stupito:
«Cosa abbiamo da dirci noi due?»
«Perché non vuole che Eva ed io ci frequentiamo? Riconosco di non essere un gran partito, ma sono giovane, lavoro sodo e soprattutto, amo sua figlia».
Jim Garret guardò dritto negli occhi quel ragazzo, il suo sguardo era puro e sincero, cercò quindi di rispondergli in modo pacato:
«Mio caro ragazzo, è ovvio che non ho nulla contro di te personalmente ma per mia figlia ho altri progetti. Inoltre è abituata a un certo tenore di vita che tu non saresti mai in grado di garantirle».
«Ma…Eva è d’accordo con tutto questo?»
«Eva è una ragazzina sognatrice, crede che un cuore e una capanna possano rendere felici, col tempo capirà che avevo ragione io. Mi dispiace, devi dimenticarla».
Josh abbassò la testa deluso e amareggiato, si girò per andarsene quando Garret esclamò:
«Ah, ho saputo che tua madre sta male, mi dispiace molto, portale i saluti miei e di mia moglie».
Josh si allontanò senza rispondere, era troppo triste. Risalì in bicicletta e si avviò verso il luogo di lavoro, durante la pausa pranzo sarebbe andato a trovare la madre all’ospedale. I medici avevano deciso di ricoverarla per qualche giorno.
Passò davanti alla casa di Maggie, la donna stava piantando dei fiori in giardino. Lo vide e gli sorrise:
«Ciao Josh come va? Tua madre sta meglio?»
«Salve Maggie, non so di preciso, è ricoverata in osservazione».
«Senti, perché non passi da me dopo il lavoro, potremmo cenare insieme».
«Grazie ma non vorrei disturbare».
«Sciocchezze! Siamo tutti e due soli, ci faremo compagnia, che ne dici?»
Josh sorrise e accettò.
Maggie lo guardò andare via, un sorriso indefinibile increspava le sue labbra.
Uscito dal lavoro Josh andò a trovare la madre in clinica, stava dormendo, gli spiegarono che avevano dovuto sedarla poiché era troppo agitata.
Liza aprì gli occhi un istante, quando vide il figlio sorrise e chiese:
«C’è anche papà?» e subito si riaddormentò. Josh rimase accanto a lei per circa un’ora poi se ne andò col cuore colmo di tristezza.
Come promesso, si recò a casa di Maggie, la quale lo accolse con gioia, cenarono insieme. “E’ davvero brava in cucina” pensò Josh.
«Allora caro ragazzo – disse Maggie – come sta la mamma?»
«Non bene credo, era sedata, mi ha chiesto solo se ci fosse anche mio padre lì».
«Ma, non è morto?»
«Infatti, non si è mai rassegnata alla sua perdita, temo che la sua malattia dipenda anche da questo».
«E’ terribile – mormorò Maggie – stamane mi dicevi che non stai più con Eva Garret, ti va di parlarne?»
Gli ispirava tanta fiducia quella donna, era la nonna che non aveva mai avuto, Josh le raccontò tutto quasi piangendo.
«Così quel farabutto pensa che non sei degno del suo rango eh? Che bastardo! Lo conosco bene quel tipo, superbo e falso; chissà perché non gli credo, ci deve essere dell’altro».
«Non so proprio che dire, ora vado a casa Maggie, grazie di tutto».
«Di niente ragazzo mio, vieni a trovarmi quando vuoi, d’accordo?»
«Grazie Maggie, arrivederci».
Josh montò in bicicletta e tornò a casa più rinfrancato, aveva trovato un’amica e confidente.
Maggie capì che il suo piano cominciava a funzionare…
ANN
Il cadavere di Albert Wilson fu trasportato all’obitorio. Era un chiaro caso di suicidio, non ci furono altre indagini. Ann non mostrò a nessuno il biglietto di addio del marito, decise che avrebbe parlato con quel Sam della sala scommesse.
Qualche giorno dopo il funerale si recò al locale.
«Sto cercando Sam».
«Eccomi!»
«Sono Ann Wilson, la moglie di Albert».
«Oh signora, mi dispiace tanto per suo marito, le faccio le più sentite condoglianze».
«La ringrazio. Mio marito ha lasciato un biglietto, eccolo, non l’ho mostrato alla polizia».
Sam lesse quelle poche parole e sbiancò in viso, “Parla con Sam, lui sa tutto”.
Disse al collega di sostituirlo qualche minuto poi condusse Ann nel retrobottega. Era visibilmente agitato, anzi, impaurito.
«Ma… non capisco – farfugliò – cosa dovrei sapere?»
«Sam – lo interruppe Ann – mi stia bene a sentire, Albert ha scritto queste poche righe prima di uccidersi, quindi non ha mentito di sicuro. Se lei non mi dice quello che sa, consegnerò il biglietto alla polizia».
«No! Maledizione in che guaio mi sono cacciato, lei mi ucciderà!»
«Lei? Lei chi? Insomma si decida a parlare!»
«Maggie, Maggie Bell!»
«Cosa? Maggie? Quella vecchia signora che abita in fondo al villaggio?»
«Sì, sì proprio lei. E’ una megera, una carogna!»
Ann rabbrividì, rivide sua figlia Sally mentre abortiva per mano di quella donna.
«Io le dico tutto – continuò Sam – ma la prego non mi rovini, non mi denunci».
«Parli!»
«Albert aveva chiesto una forte somma in prestito a Maggie, lei mi costrinse a fargli fare una grossa scommessa su un finto cavallo vincente. Albert non voleva ma, dopo aver bevuto qualche bicchierino, ha accettato. Ovviamente ha perso tutto, così Maggie ha riavuto il suo denaro, gliel’ho consegnato io stesso».
Ann era stravolta:
«Come avete potuto essere così crudeli! L’avete ucciso voi, povero Albert, chissà come era disperato. Sam, perché ha aiutato quella donna!?»
L’uomo si teneva la testa fra le mani:
«Quella strega sa qualcosa del mio passato e mi ricatta costringendomi a fornirle informazioni sulle persone, problemi personali o familiari, se hanno scheletri negli armadi insomma. Sa, in un locale pubblico le voci girano, la gente beve e spettegola».
«Io sto impazzendo – si disperò Ann – ma cosa ha fatto lei Sam di tanto grave per farsi ricattare così? Ha ucciso qualcuno?»
«No no, anni fa comprai questo locale grazie ai soldi ricavati da una rapina. Non mi hanno mai scoperto, l’ho fatta franca. Quella vecchia strega, non so come, l’ha saputo, e da allora mi fa fare tutto ciò che vuole, altrimenti mi denuncia. Ann, mi dispiace tanto per Albert, mi dica se posso fare qualcosa per lei».
La donna rispose guardandolo fisso in viso:
«Sì, può fare qualcosa, mi aiuti a vendicarmi».
Sam annuì. Quando Ann se ne andò, rifletté su ciò che gli stava succedendo: Dave Cordell aveva capito l’imbroglio della medium, e sapeva che l’aveva visto con l’altra donna, Ann Wilson ormai sapeva tutto di lui, del suo passato e dei ricatti che subiva. Le cose si stavano mettendo male, tutto per colpa di quella Maggie, che il diavolo se la porti! Nella sua mente cominciò a farsi strada un’idea che forse avrebbe sistemato tutto: se la vecchia fosse morta…
MAGGIE
Sentì suonare il campanello di casa, guardò dalla finestra e vide Josh con un mazzo di fiori in mano. Gli aprì sorridendo e lo invitò ad entrare.
«Questi fiori sono per lei Maggie, per ringraziarla della cena e della sua gentilezza».
«Non dovevi disturbarti ragazzo mio, grazie. Vieni, beviamo un bel the, ho anche dei buoni biscotti appena sfornati. Allora Josh, come va?»
«Niente di nuovo Maggie, mia madre è stazionaria, ieri ho provato a chiamare Eva sul cellulare, non è raggiungibile. Sono giù di morale».
«Quella carogna di suo padre le impedirà di tenerlo acceso – disse Maggie con tono sprezzante – è un uomo pericoloso. Tuo padre ne sapeva qualcosa».
«Mio padre? Che intende dire? Si frequentavano?»
«Certo, credevo lo sapessi, tua madre non te ne ha mai parlato?»
«Non lo sapevo, io non li ho mai visti insieme».
«E’ stato prima che tu nascessi, ho sentito un po’ di voci in giro, pare che le due coppie fossero inseparabili, Jim e Sarah Garret passavano le feste e a volte anche le vacanze estive coi tuoi genitori. A un certo punto le visite si sono un po’ diradate, fino a scomparire del tutto ma Jim e tuo padre avevano qualche affare in comune, non so di che genere, comunque si frequentavano ancora. Qualcosa però è successo a un certo punto, qualcuno li sentì discutere animatamente, poi però tuo padre morì nell’incidente quindi…»
Josh si rabbuiò in viso, si rese conto di non sapere esattamente cosa fosse successo a suo padre, i particolari dell’incidente, se ci furono indagini, la madre non gliene aveva mai parlato, sicuramente per non addolorarlo ulteriormente. Le parole di Maggie però, lo avevano colpito come una frustata.
«Cosa stai pensando?» chiese Maggie
«Credo che andrò a dare un’occhiata ai giornali dell’epoca, voglio saperne di più su quell’incidente. Grazie del the Maggie, tornerò a trovarla».
«Arrivederci ragazzo, a presto».
Lo guardò allontanarsi pensieroso sulla sua bicicletta.
“Bene – pensò – il tarlo del dubbio si è insinuato, bisogna solo aspettare”…
DAVE
Era furioso, Susan gli aveva fatto vedere la piccola croce di legno con inciso un rametto d’ulivo che portava al collo. Gli spiegò che il loro Ted, dall’aldilà, attraverso Maggie la cartomante, le aveva detto di tenerlo sempre con sé per protezione.
«Oh Susan! Non capisci che è tutto un imbroglio?»
«Non dire così Dave, tu stesso hai parlato con Ted l’altro giorno da Maggie».
«Ti dico che è un imbroglio Susan, non mi credi? Ebbene te lo dimostrerò al più presto».
Quella stessa notte Dave si recò, come alcune notti prima, presso la casa di Maggie. Per fortuna questa volta non pioveva. Spense le luci e scese dalla macchina, attraversò di corsa il giardino fino alla porta d’entrata, estrasse alcuni piccoli attrezzi per forzare la serratura. Con sua grande sorpresa la porta si aprì senza sforzo. “Che fortuna – pensò Dave sogghignando – ha dimenticato di chiudere a chiave”. Entrò con cautela nell’atrio, accese la torcia e cominciò ad aprire le porte lungo il corridoio. Doveva assolutamente trovare la prova che quella vecchia fosse un’imbrogliona, doveva farlo per Susan. Rivide la stanza dove avevano “comunicato” col figlio Ted, entrò e cominciò a guardarsi intorno. Stava quasi per rinunciare quando vide il piccolo cassetto del tavolo in mezzo alla stanza. Lo aprì e per poco non si mise a gridare dalla gioia. Era pieno di piccole croci di legno, identiche a quella di Susan. Dave ne raccolse una manciata e le mise in tasca. Richiuse il cassetto e tutte le porte che aveva aperto prima quindi uscì dalla casa chiudendo piano la porta d’entrata. Rientrato in macchina però, si rese conto che qualcosa non quadrava: la porta già aperta, quella strana sensazione che la casa fosse disabitata, fu quasi tentato di ritornarvi per controllare il piano superiore ma cambiò subito idea, mise in moto e tornò a casa. La moglie dormiva, la svegliò, non poteva aspettare oltre.
«Susan, Susan, svegliati».
«Cosa c’è Dave, stai male?»
«No anzi, sto benissimo, sono andato a casa di Maggie e…»
«Cosa? Quando… stanotte?»
«Sì sono appena tornato, guarda cosa ho trovato, avevo ragione io, quella donna è un’imbrogliona, una ciarlatana!»
Le mostrò le piccole croci, alcune erano già incise, Susan le guardò e subito gli occhi le si riempirono di lacrime, guardò il marito un istante poi si lasciò andare a un pianto sconsolato. Aveva creduto alla medium, aveva bisogno di credere, invece suo figlio Ted non le aveva mai parlato, era tutta una farsa, maledetta donna! Meriterebbe di morire! Dave la guardava senza poter fare nulla, mentre in cuor suo meditava vendetta…
JOSH
Nella grande biblioteca in città, Josh chiese di poter visionare alcuni articoli. Attese che l’incaricato gli desse la password per accedere al web. Digitò la data dell’incidente e il nome di suo padre. Apparve l’articolo che lo riguardava sul quotidiano locale:
“Un tragico incidente è avvenuto ieri sera sul ponte che attraversa il fiume e porta in città. Adam Trevor, 50 anni, ha perso la vita precipitando con la sua auto nel prato sottostante. Nessun segno di frenata. L’uomo lascia la moglie e un figlio adolescente”.
Josh fu percorso da un brivido nel ricordare quei drammatici momenti, si fece coraggio e cercò ancora. Qualche giorno dopo il giornale forniva informazioni più dettagliate:
“La polizia ha avviato un’indagine sulla morte di Adam Trevor. Si deve appurare se sia stato un incidente oppure un suicidio. Sono stati interrogati i vicini dell’uomo, tutti concordi nel dire che Trevor era una persona gentile e tranquilla, non beveva, non dava segni di inquietudine, quindi escludevano a priori il suicidio.”.
Josh passò all’articolo seguente:
“Indagato un amico e socio in affari di Adam Trevor.
Jim Garret è stato interrogato a lungo dagli inquirenti a proposito della morte del suo socio. Nell’auto di Trevor è stato trovato un accendino con incise le iniziali J.G. L’uomo ha spiegato che lo aveva perso giorni prima, comunque non era strano che si trovasse nell’auto di Trevor, in quanto a volte si recavano insieme da alcuni clienti. Inoltre, la sera dell’incidente Garret era a casa con la moglie, che ha confermato l’alibi, e la figlia”.
Josh restò impietrito. Maggie aveva detto che quel Garret era un uomo falso, ricordava bene le sue parole: “Ci deve essere dell’altro, è un farabutto”. Lesse l’ultimo articolo, in realtà era solo un trafiletto che comunicava la chiusura del caso come incidente causato dall’alta velocità o da un colpo di sonno, in quanto Adam Trevor non aveva neppure tentato di frenare. Molto turbato, Josh uscì dalla biblioteca, aveva bisogno di fare chiarezza nella sua mente, un’infinità di dubbi e sospetti si accavallavano, doveva parlare con qualcuno. Il pensiero corse a Maggie, sì, avrebbe chiesto consiglio a lei. La donna lo accolse con la solita benevolenza, si accorse subito che era molto agitato:
«Cosa c’è Josh, è successo qualcosa?»
«Ho bisogno dei tuoi consigli Maggie, non so a chi rivolgermi».
«Dimmi caro, cosa ti turba?»
Le fece un riassunto degli articoli dei giornali che aveva appena letto.
«Cosa ne pensi Maggie? Mio padre non ha neppure frenato, l’accendino di Jim Garret trovato in macchina, il suo alibi confermato dalla moglie. Hanno concluso che è stata l’alta velocità la causa dell’incidente ma, se penso al fatto che Garret mi tiene alla larga da sua figlia, quindi non vuole avere a che fare con me, che era in affari con mio padre e che, come mi hai detto tu, i miei genitori frequentavano quelli di Eva… insomma Maggie mi scoppia la testa, non riesco a mettere in fila i pensieri».
«Alt! – disse Maggie interrompendo quel flusso disordinato di parole – facciamo il punto della situazione partendo dal principio:
Primo: le due famiglie si frequentavano in passato.
Secondo: dopo la nascita dei rispettivi figli, lentamente il loro rapporto si incrina, perché? Forse le due donne hanno litigato? Potresti chiedere chiarimenti a tua madre o alla moglie di Jim.
Terzo: i due uomini restano comunque soci in affari, quindi si frequentano ancora.
Quarto: tutto prosegue così per alcuni anni finché capita l’incidente a tuo padre.
Quinto: tu ed Eva Garret vi innamorate. A questo punto i genitori della ragazza e in particolare Jim, ti tengono alla larga. Portano rancore verso tua madre?
Sesto: tua madre non ti ha mai raccontato di averli conosciuti in passato. Dovresti chiederle il motivo.
Settimo ed ultimo punto: l’accendino di Jim Garret nell’auto di tuo padre, il suo alibi perfetto confermato dalla moglie (ovviamente). Cosa ti suggerisce tutto questo? Due più due deve fare per forza quattro figliolo. Ragiona su questi punti e trai le conclusioni».
«Oh Maggie! Sono più confuso di prima. Farò come dici, chiederò chiarimenti a mia madre, sperando che si senta meglio. Grazie Maggie, sei un’amica, ora vado all’ospedale dalla mamma».
Uscito Josh, Maggie stirò le labbra in quello che non era un sorriso ma un ghigno…
SAM
Quella sera Sam, finito il lavoro al bar, telefonò a Maggie:
«Devo parlarti subito, ci sono complicazioni».
«D’accordo vieni, ma sbrigati che ho sonno».
Arrivò dopo mezz’ora, Maggie lo fece salire al piano superiore:
«Allora cosa c’è di tanto urgente?»
«Maggie, sono preoccupato, la moglie di Albert Wilson ha un biglietto scritto dal marito prima di suicidarsi, dove le dice che io sono al corrente dei motivi del suo gesto.
«Hai parlato?»
«No! – mentì Sam – naturalmente no».
«Bravo, tieni la bocca cucita, altrimenti ti rovino, lo sai».
Sam pensò che era il momento giusto per liberarsi per sempre di quella donna. Accarezzò il coltello che aveva nella tasca della giacca, pronto ad usarlo, quando sentirono un rumore al piano di sotto.
«C’è qualcuno» disse Sam.
«Non hai messo il chiavistello?»
«No».
«Imbecille!»
Sam si affacciò con cautela alla balaustra, giusto in tempo per vedere la sagoma di un uomo uscire dalla porta. Non riuscì a capire chi fosse, l’ombra si dileguò in fretta oltre gli alberi.
«Accidenti! Se n’è andato, non l’ho riconosciuto».
«Sei un idiota! – sibilò Maggie – controlla la casa e vattene!»
Sam perse il coraggio di usare il coltello, scese di sotto e controllò le stanze, era tutto in ordine. Se ne andò pieno di rabbia. Maggie chiuse la porta ma non riuscì a dormire. Chi era entrato in casa? E soprattutto cosa cercava? Mai avrebbe immaginato che Dave Cordell avesse trovato le piccole croci di legno…
JOSH
Lasciata Maggie andò all’ospedale dalla madre, la trovò seduta sul letto, lo accolse con un sorriso.
«Ciao tesoro».
«Ciao mamma, hai un bell’aspetto».
«Sì caro, mi sento meglio, forse mi dimetteranno domani».
Il medico prese Josh in disparte:
«Dimetteremo sua madre domani o dopodomani, ma non si illuda, non c’è guarigione, le daremo una cura per tenerla tranquilla, ma è solo un palliativo».
Josh tornò da Liza cercando di non far notare la sua amarezza. Si scambiarono sorrisi e parole d’affetto, poi Josh si decise ad affrontare l’argomento che gli stava a cuore:
«Mamma, ti ricordi dei Garret? Jim e Sarah Garret?»
Liza lo guardò incuriosita:
«Sì, hanno una figlia, non so come si chiama».
«Si chiama Eva, quando li hai conosciuti?»
«Pochi anni fa mi pare, ma cosa c’entra?»
«Mamma cerca di ricordare, ho saputo casualmente che vi conoscevate ancora prima che noi nascessimo, poi avete smesso di frequentarvi. Come mai, avete litigato?»
L’espressione di Liza divenne cupa:
«Quella Sarah, che donna stupida! Voleva allontanarmi da tuo padre, era invidiosa del nostro bel rapporto d’amore».
«Davvero mamma? Lei voleva papà?»
«Già! Decidemmo di rompere l’amicizia, tu ed Eva eravate piccoli, non capivate».
«Hai fatto bene mamma, hai difeso il tuo matrimonio».
Liza guardava nel vuoto, lo sguardo si era un po’ appannato:
«Io amavo tuo padre».
«Sì mamma, lo so. Però mi risulta che papà e Jim Garret fossero soci in affari, loro hanno continuato a lavorare insieme. E’ così?»
«Ma chi ti racconta tutte queste cose?»
Josh abbassò la testa sentendosi un po’ in colpa:
«L’ho scoperto dai giornali mamma, in biblioteca. Volevo sapere tutto sulla morte di papà».
«Ha avuto un incidente, guidava troppo veloce».
«Lo so mamma, però c’era scritto che hanno trovato l’accendino di Jim Garret in macchina, che lui disse di averlo perso, che quella sera era in casa con moglie e figlia. Ora i Garret mi tengono lontano da Eva, Jim mi ha detto in faccia che non potrò mai darle una vita agiata, possibile che dopo tanto tempo serbino ancora rancore? Hai qualche spiegazione per questo?»
«Non è Jim, è Sarah che gli impone di dire certe cose. Non mi ha mai potuta soffrire e si vendica su di te. Per quanto riguarda l’incidente, il caso è chiuso, il povero Adam non tornerà certo in vita. Vai a casa tesoro, non crucciarti più, se non ti vogliono non ti meritano. Ora sono stanca».
«Sì mamma, vado. Cerca di riposare».
Liza guardò il figlio uscire dalla stanza, si lasciò andare sui cuscini sfinita.
Rientrato a casa Josh mangiò qualcosa, poi andò nella camera da letto della madre per controllare che tutto fosse in ordine per il suo ritorno. Aprì il cassetto del comò, tirò fuori pigiama e biancheria pulita, stava per richiudere quando si accorse di un portagioie sul fondo del cassetto. Era chiuso con un piccolo lucchetto, Josh sorrise con tenerezza vedendo che la madre aveva dimenticato di togliere la chiave. Lo aprì e rimase stupito, credeva di trovare piccoli gioielli, ricordi di gioventù, invece c’erano solo alcuni biglietti di carta piegati più volte. Josh si vergognò come un ladro, non avrebbe dovuto guardare fra le cose personali della madre ma la curiosità era troppo forte. Aprì il primo biglietto e iniziò a leggere “ma cos’è questa storia?” pensò incredulo. Un brutto presentimento gli strinse lo stomaco…
MAGGIE
Dalla sera in cui qualcuno entrò nella sua casa mentre discuteva con Sam il barista, Maggie viveva in uno stato di inquietudine, non tanto durante il giorno, in quanto c’era sempre qualcuno che chiedeva di lei per un giro di tarocchi o per evocare qualche spirito. Il problema era la notte, al buio per Maggie cominciava l’incubo. Appena riusciva ad addormentarsi, sentiva il rumore della porta che si apriva, lo scricchiolio dei gradini della scala quindi si risvegliava madida di sudore, si rannicchiava nel letto fissando terrorizzata la porta della camera, come se qualcuno dovesse entrare per ucciderla. Per questo aveva preso l’abitudine di bere una tisana e prendere un sonnifero, riuscendo così a concedersi qualche ora di sonno ristoratore. Quella sera però era peggio del solito, un’angoscia le pesava sul petto, si sentiva sola, oppressa, sporca dentro. Era in cucina, indecisa se preparare o no la tisana, scostò la tenda ma la richiuse subito, temeva di vedere i fari dell’auto come quella sera. Allora si sedette sulla poltroncina di fronte alla tv spenta, si strinse nello scialle e subito i ricordi l’assalirono…
STORIA DI MAGGIE
Fu concepita una notte in cui suo padre tornò a casa ubriaco fradicio e costrinse la moglie ad un rapporto sessuale. Durante la gravidanza non risparmiò botte e insulti alla povera donna, non voleva un moccioso tra i piedi, diceva, un altro mangiapane a tradimento da mantenere. Quando la piccola nacque non andò neppure a vederla all’ospedale e quando madre e figlia tornarono a casa non trovò altro da dire se non “Non hai saputo neanche fare un maschio”. Crebbe così Maggie, testimone silenziosa e terrorizzata della violenza paterna. Quando, anni dopo, ripensava alla madre, la ricordava sempre in lacrime curva nel suo dolore. Nelle ore in cui il padre era fuori per lavoro o al bar ad ubriacarsi, la mamma la prendeva tra le braccia e la cullava, cantandole canzoncine e raccontandole favole. Poi “lui” tornava a casa e ricominciava l’inferno. Un bruttissimo giorno la madre cadde a terra priva di sensi. Un ictus, dissero i medici, tentarono di tutto per salvarla ma fu inutile,morì in pochi giorni. Fu l’inizio del calvario per Maggie, ormai grandicella. Una sera la porta della sua cameretta si aprì, la sagoma del padre, illuminata grottescamente dalla luce del corridoio,si stagliò nel vano dell’uscio. Era ubriaco, con passo traballante si avvicinò al letto e tirò via le coperte. La bimba tremava, credeva che volesse picchiarla ma era molto peggio ciò che avvenne in realtà. Abusò di lei, ignorando le sue grida disperate. Dopo quella volta ce ne furono altre… troppe. Durò alcuni anni quell’inferno, finché Maggie disse basta! Una sera si sdraiò nel letto tenendo fra le mani un grosso coltello da cucina, quando sentì la porta aprirsi si tenne pronta. Il padre si avvicinò al letto, mentre si abbassava verso di lei, Maggie raddrizzò il coltello infilzando l’uomo, che le si accasciò sopra esanime. A fatica riuscì a sfilarsi da quella massa inerme, il letto era sporco di sangue e anche la sua camicia da notte. Si cambiò completamente, intanto pensava febbrilmente a ciò che poteva raccontare alla polizia. Decise di farlo sembrare un suicidio, avvicinò la mano del padre al manico del coltello, chissà, potevano anche crederle. Andò a svegliare i vicini piangendo e gridando che il papà era morto. Tutti, polizia compresa, trovarono molto strano che si fosse ucciso in quel modo e per giunta sul letto della ragazzina ma, sapevano anche che era un ubriacone fuori di testa, tutto sommato la società non avrebbe perso un granché. Archiviarono il caso come suicidio.
Ma i problemi per Maggie non erano finiti. Trovò lavoro come cameriera presso la villa di un medico chirurgo, faceva le pulizie e gli serviva i pasti. Un giorno la ragazza ebbe un mancamento, per fortuna il dottore era ancora in casa, la fece sdraiare e la visitò.
Terminata la visita le confermò ciò che lui aveva già intuito: era incinta! Maggie sprofondò nella disperazione più totale:
«No! Non voglio il figlio di quel maiale» gridò con le mani nei capelli. Raccontò tutto al medico, il quale le disse di non preoccuparsi, ci avrebbe pensato lui.
«Non voglio andare all’ospedale».
«Niente paura Maggie, all’ospedale i bambini li faccio nascere, sistemerò tutto qui, in casa».
Fu doloroso, ma dopo Maggie si sentì davvero libera. Col tempo imparò ad assistere il medico durante gli aborti, non immaginava che fossero così numerosi, non provava nessuna compassione per quelle ragazze che rinunciavano al figlio perché non erano sposate, perché non volevano suscitare scandalo, oppure perché avevano tradito i loro mariti. Le disprezzava tutte, Il suo cuore si era indurito, non provava niente per nessuno, ne aveva passate troppe, odiava il mondo intero. Due anni dopo il destino la mise di nuovo alla prova: un uomo chiese di parlare col dottore, Maggie lo fece accomodare, per un lungo istante i loro occhi si incontrarono, la ragazza si sentì rimescolare dentro, non le era mai successo prima. Com’era bello! Era alto e ben messo, occhi neri, bocca sensuale, che uomo affascinante! Imbarazzata, si ritirò in cucina, ma non poteva fare a meno di pensare a lui. Mentre preparava la cena, il dottore entrò chiedendole di aggiungere un posto a tavola per il signor Henry Vince, l’uomo che aveva visto poc’anzi nello studio. Maggie si sentì avvampare dall’emozione, mise la massima cura nella preparazione dei cibi e, quando li servì a tavola, tenne sempre gli occhi bassi, evitando di incontrare quelli dell’ospite che, al contrario, li teneva fissi su di lei. “Ma cosa mi succede – pensava Maggie – mi sento così stupida!” Riuscì a captare alcune parole dai discorsi dei due uomini:
«Mi piace… pensi che potrei… è bella…»
«Non so… se vuoi…»
Parlavano di lei? Maggie moriva dalla curiosità. Fu presto accontentata, Henry la raggiunse in cucina per complimentarsi della cena squisita:
«Sei una cuoca eccezionale Maggie – disse – e sei anche molto carina, posso venire a trovarti qualche volta?»
Arrossendo come una collegiale la ragazza rispose di sì. Da quel giorno Henry le fece una corte serrata, ci sapeva fare con le donne, era evidente, uscirono insieme alcune sere, lui non la toccò nemmeno con un dito, fu lei a gettarsi nelle sue braccia travolta dalla passione. Non c’era più dubbio: era innamorata! Dopo pochi mesi lasciò la casa del dottore per andare a vivere con Henry. Fu un periodo breve ma intenso, di grande passione, mai Maggie era stata così felice, lui era pieno di premure e sembrava innamorato perso di lei. Un giorno le disse:
«Ti voglio presentare alcune mie amiche, ti piaceranno, vi farete compagnia».
Maggie non ne fu tanto entusiasta, non voleva altra compagnia che quella del suo uomo ma accettò per non dispiacergli. Entrarono in un appartamento molto elegante, li accolse una donna un po’ attempata ma ancora affascinante, era molto truccata e indossava abiti dai colori sgargianti.
«Henry caro, che piacere vederti».
«Come va Rose? State bene voi ragazze?»
«Sì certo, va tutto a meraviglia».
«Ti ho portato una nuova amica, si chiama Maggie, mi raccomando, trattamela bene, è speciale» disse Henry sorridendo. Maggie era frastornata, erano strane le parole di lui ed era strano anche l’appartamento, con luci soffuse, musica in sottofondo, tendaggi molto colorati, alle pareti erano appese fotografie di ragazze bellissime tutte nude. Henry le cinse le spalle e le diede un bacio in fronte:
«Arrivederci cara» disse, e se ne andò.
Maggie non riuscì a replicare, lo guardò andare via, sentendosi sempre più smarrita.
Rose si avvicinò alla ragazza, la squadrò da capo a piedi, le sfiorò il viso e le toccò i capelli.
«Sì, sei proprio una bella fanciulla, Henry sceglie sempre il meglio».
«Non capisco – disse Maggie – che significa?»
Rose sorrise bonaria:
«Mia cara, vieni, ti presento alle altre».
La condusse in una sala piuttosto grande, dove alcune ragazze stavano mollemente adagiate su dei divanetti color pastello, erano quasi tutte seminude. Maggie cominciò ad agitarsi:
«Che posto è questo? Dov’è Henry? Quando torna?»
«Tesoro – disse Rose – questa è la tua nuova famiglia, starai bene con noi, basta che segui alcune regole e tutto andrà per il meglio».
«Nemmeno per sogno! – gridò Maggie – Non voglio stare qui, chi siete, cosa fate, non mi piacete affatto! Io voglio stare con Henry!»
Rose uscì dalla sala, la chiuse a chiave, poi telefonò a Henry:
«La tua gallinella fa delle storie cosa facciamo?»
«Ci penso io».
Rose tornò nella stanza:
«Henry sta venendo qui, sei contenta?»
«Meno male, me ne andrò immediatamente!»
«Da quanto state insieme?»
«Tre mesi, ci amiamo, forse presto ci sposeremo».
Rose e le ragazze si guardarono e sorrisero beffarde. In quel momento arrivò Henry, si avvicinò a Maggie e disse senza sorridere:
«Cosa c’è che non va?»
«Henry amore, portami a casa ti prego, non mi piace questo posto, io voglio stare con te, non ho bisogno di amiche».
Per tutta risposta le arrivò un manrovescio che le fece sanguinare il naso.
«Tu fai quello che dico io! Resterai qui e ubbidirai a Rose in tutto e per tutto, chiaro?»
«Henry! Ma… che significa… Henry!»
Ma lui era già uscito, sbattendo la porta.
Le porte dell’inferno si spalancarono di nuovo per la povera Maggie. Fu spogliata, profumata, truccata e istruita ad avere rapporti sessuali con uomini libidinosi, grassi e sudati, che avevano però il portafogli gonfio. Un giorno Maggie disse a Rose che rimpiangeva di aver lasciato il dottore che l’aveva ospitata in casa sua. La donna la guardò con commiserazione:
«Tesoro mio, è proprio lui che procura le ragazze a Henry, col lavoro che fa gli è piuttosto facile. Quest’ultima cocente delusione le indurì il cuore definitivamente, l’odio prevalse su tutto, promise a se stessa che si sarebbe vendicata del male che aveva ricevuto, l’avrebbe fatta pagare cara a chiunque, uomo, donna o bambino, senza pietà per nessuno. Divenne una delle ragazze più ambite di quella casa d’appuntamento, da Rose imparò a leggere i tarocchi e a simulare una trance. Quella donna era un vero portento, sapeva convincere chiunque di aver davvero parlato con un morto. Non vide mai più Henry. Un giorno un uomo, suo assiduo cliente, le chiese di sposarlo, era vecchio, solo al mondo e molto danaroso. Maggie accettò, l’uomo pagò un forte “riscatto” per lei, la sposò e la portò nella sua grande villa. Morì in breve tempo sopraffatto dall’attività sessuale a cui Maggie lo costringeva, consapevole che non avrebbe retto a lungo. Un infarto lo stroncò nel bel mezzo di un amplesso. Molti, ironicamente, dissero che aveva fatto una bella morte. Maggie ereditò tutto, finalmente era libera e ricca.
Col tempo mise in pratica tutte le ‘arti’ che aveva appreso, prima dal medico e poi da Rose, un po’ mammana e un po’ medium, meravigliandosi di quanti fossero i superstiziosi e gli amanti dell’occulto.
Ora Maggie era per tutti “la vecchia strega”, “la vecchia usuraia”, sapeva che nessuno la amava, né lei amava qualcuno. Stretta nel suo scialletto, sentì aumentare la pressione sul petto, le braccia indolenzite, il respiro affannoso. Pensò che il bilancio della sua vita faceva proprio schifo, aveva creduto di vendicarsi per il male ricevuto in passato, ma aveva solo condannato se stessa a una vita di solitudine e fatto soffrire persone che non avevano nessuna colpa. Avrebbe voluto pregare, ma non credeva in nessun Dio.
La porta si spalancò all’improvviso, un uomo si precipitò verso di lei brandendo un coltellaccio, lei lo riconobbe, urlò:
«SAM!!!» Restò così, immobile, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta nell’ultimo grido.
Sam, il barista, si bloccò col braccio alzato, Maggie non si muoveva, le prese il polso, nessuna pulsazione… Maggie era morta, portando con sé i suoi dolori, i suoi peccati, i suoi rimorsi.
Sam ringraziò in cuor suo il destino che gli aveva dato una mano e gli aveva impedito di diventare un assassino.
”Brucia all’inferno strega maledetta!” disse fra sé, quindi, senza toccare nulla, uscì dalla casa. Fece una telefonata ad Ann Wilson:
«Maggie è morta, il diavolo se l’è presa, ha avuto un infarto credo».
Ann non potè evitare un sospiro di sollievo, aveva avuto quel che meritava.
«Che strano – disse il poliziotto al medico dell’ambulanza – la porta non è stata forzata, non ci sono impronte, la donna ha un’espressione terrorizzata, nessuna ferita, sembra quasi che abbia visto un fantasma e sia morta di spavento».
JOSH
I biglietti che aveva trovato nel cassetto della madre, gettavano una luce inquietante sugli avvenimenti passati. Decise di rivolgersi alla sua unica amica e consigliera: Maggie. Mise i fogli nella tasca della giacca, prese la bicicletta e si precipitò da lei. Arrivato nei pressi della villa, vide i lampeggianti delle auto della polizia e dell’ambulanza, molte persone ferme ad osservare.
«Cosa è successo?» chiese a uno dei tanti curiosi.
«La vecchia Maggie è morta. Forse un infarto».
«Morta? Josh era affranto, la sua amica non poteva più aiutarlo.
«Ma perché c’è la polizia?»
«Ho sentito dire che hanno trovato la porta aperta ma non forzata, però di sicuro non si sa ancora niente».
Proprio in quel momento i barellieri stavano portando fuori il cadavere di Maggie chiuso in un sacco. Josh aveva le lacrime agli occhi:
“Riposa in pace amica mia”.
Tornò a casa pedalando lentamente, cercando di mettere ordine nei pensieri. Una telefonata dell’ospedale lo avvertì che la madre era stata dimessa, quindi si preparò per andare a prenderla. Arrivato in reparto il medico lo prese in disparte:
«Signor Trevor, per sua madre non possiamo fare di più, le ho prescritto delle pastiglie che la terranno tranquilla, la malattia però seguirà il suo corso, purtroppo non c’è cura».
Alquanto demoralizzato, Josh aiutò la madre a vestirsi, quando furono in macchina ebbe la tentazione di farle qualche domanda a proposito dei biglietti che aveva trovato ma cambiò subito idea, Liza era sempre evasiva nelle sue risposte, inoltre, la sua memoria diventava sempre più labile. No, avrebbe affrontato direttamente la persona che aveva firmato quei biglietti. Arrivati a casa la madre disse di essere stanca, non aveva fame, voleva solo dormire un po’. Josh l’aiutò a indossare il pigiama, le rimboccò le coperte e chiuse le tende, creando così una piacevole penombra. Liza non disse una parola, si addormentò in pochi minuti. Josh chiuse la porta della camera e andò in soggiorno, tirò fuori dalla tasca i biglietti e rilesse con più calma gli scritti:
“Penso io a tutto. Non muoverti di casa” J.
“Tutto fatto” J.
“Mi sospettano, meglio non vederci per un po’, stai tranquilla” J.
Li rimise in tasca.
Non poteva essere che Jim Garret, infatti fu lui ad essere interrogato dalla polizia a causa del ritrovamento dell’accendino nella macchina di Adam. Ma perché quei biglietti li aveva sua madre? E perché li aveva conservati? Forse aveva dimenticato di gettarli? Quelle frasi facevano pensare a qualcosa di inaudito: suo padre non era morto per un incidente… era stato ucciso! Maggie lo aveva avvertito quel giorno, ricordava bene le sue parole:
“E’ un uomo falso… un farabutto… c’è dell’altro… due più due deve fare per forza quattro…”
-Oh! Maggie avrei tanto bisogno di te adesso! Se Jim Garret era un assassino, lo avrebbe scoperto presto. Si ricordò che suo padre aveva una pistola, un paio di volte lo aveva accompagnato nel bosco quando si allenava a sparare ai barattoli vuoti. Andò a frugare nel ripostiglio, sul ripiano in alto c’erano alcune scatole, salì su una sedia e le tirò giù tutte. Fra scarpe, berretti e oggetti vari spiccava un sacchetto di velluto rosso, lo aprì con cautela: era la pistola. C’era anche una scatoletta con i proiettili, riempì il caricatore e infilò l’arma nella tasca interna della giacca. Avrebbe fatto prendere un bello spavento a Jim Garret e se c’entrava con la morte di suo padre lo avrebbe ucciso. Controllò che sua madre dormisse poi, in bicicletta, raggiunse la casa dei Garret e suonò il campanello. Il suo cuore ebbe un tuffo quando la porta si aprì:
«Josh!»
«Eva! Come stai?»
«Josh scusami, non è colpa mia se…»
«Lo so, lo so, non ce l’ho con te, io ti voglio bene lo sai. Sono qui per parlare con tuo padre, è in casa?»
Jim Garret si affacciò nel vano della porta seguito dalla moglie.
«Che succede qui?» disse spostando la figlia di lato.
«Signor Garret le devo parlare di una cosa molto importante».
«Davvero? Parla dunque!»
«In privato!»
«Non ho niente da nascondere alla mia famiglia, parla pure!»
Josh gli mostrò i biglietti firmati J.
Garret impallidì, glieli restituì immediatamente poi, rivolgendosi alla moglie:
«Tesoro, chiudi la porta, faccio due chiacchiere con Josh in giardino».
Lo guidò fino al piccolo gazebo arredato con un tavolino, due sedie e un dondolo. Si sedettero uno di fronte all’altro.
«Allora?» disse Jim.
«Voglio sapere perché questi messaggi li ha mia madre – sbottò Josh sventolando i foglietti – voglio sapere tutta la verità sulla morte di mio padre. Lei Garret fu sospettato per via dell’accendino, ne ho avuto conferma da vecchi articoli di giornale, ma aveva un alibi giusto?»
«Certo! Mia moglie lo confermò».
«Già… Maggie me lo disse, ma disse anche che lei è un farabutto e che c’era dell’altro».
«Maggie? Ti ha parlato di me?»
«Sì, le confidai che non mi lasciava frequentare Eva, lei mi ha aperto gli occhi, ora che è morta devo andare in fondo alla questione da solo, mia madre non ricorda quasi più nulla».
«Maggie è morta?
«Sì»
«Maledetta strega – sibilò Garret tra i denti – per fortuna se n’è andata all’inferno, mi ha ricattato per anni, non so come, sapeva tutto quello che era successo».
«Sto aspettando» lo incalzò Josh.
Jim guardò la faccia pulita e sincera del ragazzo, la sua espressione si addolcì e con voce pacata disse:
«D’accordo Josh, credo che tu abbia il diritto di sapere la verità, ti chiedo in cambio una promessa: qualsiasi cosa ti racconterò dovrà restare fra noi, non dovrai dire mai nulla a mia moglie, né a mia figlia, né alla polizia, me lo prometti?»
Josh riflettè un momento prima di rispondere:
«D’accordo Garret, lo prometto, ma voglio sapere tutto nei minimi particolari».
Eva, dietro i vetri della finestra, spiava i due uomini, cercando di capire di cosa stessero parlando. Da tanto tempo non vedeva Josh, avrebbe tanto voluto dirgli che gli voleva bene, che suo padre le aveva impedito anche di telefonargli, era stato inflessibile.
“Non è al nostro livello” ripeteva sempre, ma a lei non importava niente della situazione economica, lo amava e basta. Ora, guardandoli insieme, pensava che sarebbe stato bellissimo formare una grande famiglia, vedere i suoi genitori giocare coi nipotini, mentre lei e Josh li guardavano sorridenti e felici. Ma era solo un sogno ad occhi aperti, in realtà sembrava che Jim e Josh seduti in quel gazebo, stessero discutendo tutt’altro che amichevolmente.
Jim Garret chinò la testa, chiuse gli occhi e cominciò a parlare:
«Eravamo due coppie molto affiatate un tempo, Liza e Adam, Sarah e Jim, giovani e spensierati, sposati da poco, avevamo fatto subito amicizia, passavamo insieme le feste e spesso anche le vacanze. Adam ed io avevamo messo insieme una piccola società di consulenza informatica, le cose andavano abbastanza bene. Una sera, mentre ci trovavamo tutti e quattro qui a casa mia a mangiare una pizza, scoppiò un forte temporale, ci fu un black out. Sarah prese un piccolo candelabro dalla mensola sopra il camino. Alla luce tremula delle candele, i miei occhi incontrarono quelli di tua madre per qualche secondo di troppo. Mentre fuori impazzava il temporale, nella mia testa esplodeva un fulmine e, ne ero certo, anche per tua madre fu lo stesso. In quello sguardo c’era una sensualità che non le avevo mai visto prima, insomma, mi innamorai di lei all’istante».
«Cosa? Non mi dire che mia madre ha tradito papà con te?»
«Abbiamo avuto una breve relazione, nel frattempo mia moglie rimase incinta, così Liza disse basta, dovevo pensare alla mia famiglia. Fu irremovibile, accettai a malincuore».
«E mio padre non si accorse di nulla? E Sarah?»
«No, no, sono stato sempre molto prudente. Piano piano, quasi senza che ce ne rendessimo conto, diradammo le riunioni amichevoli di una volta, fino a smetterle del tutto. Io e tuo padre però continuammo nel nostro lavoro in società. Quando nacque Eva, la mia felicità arrivò alle stelle, tua madre venne a trovare mia moglie Sarah e la piccola, Liza era felice perché a breve avrebbe avuto un bambino, infatti tre mesi dopo partorì te Josh. Adam era strafelice, ci invitò a casa sua per un piccolo festeggiamento come ai vecchi tempi, devo dire che ne fui molto contento, finalmente si era ristabilita l’antica amicizia».
«Un momento! – sbottò Josh – Mia madre ha detto che è stata tua moglie a troncare l’amicizia, perché aveva messo gli occhi su mio padre ed era gelosa di lei. Mia madre ha sempre detto di amare mio padre, quindi avranno avuto discussioni, ne sai qualcosa?»
Jim fece un gesto di impazienza.
«Fammi continuare Josh, se vuoi la verità, devi ascoltare fino in fondo. Come stavo dicendo, riprendemmo a frequentarci, non spesso come prima a dire il vero ma, fu sufficiente: in breve tempo la passione si riaccese fra me e tua madre. Fu più travolgente della volta precedente, trovavamo mille scuse per vederci di nascosto. La cosa andò avanti per diversi anni fino a quel giorno maledetto. Telefonai a mia moglie dicendo che avrei fatto tardi, che avevo del lavoro urgente da sbrigare, sapevo che Adam sarebbe andato da un cliente piuttosto distante, con un problema di difficile soluzione. Avevo tutto il tempo di andare da Liza, le avevo già telefonato, era tutto predisposto».
Josh serrava le mascelle per non urlare tutta la rabbia che gli premeva in petto.
Jim continuò:
«Pioveva a dirotto quel giorno, pensai che era meglio così, nessuno mi avrebbe notato. Tu Josh eri fuori con gli amici quando arrivai, Liza mi disse che saresti stato via alcune ore, quindi avevamo tutto il tempo di… beh hai capito. Non sentimmo il rumore della chiave nella serratura, Adam era tornato a casa, aveva dimenticato di prendere la pratica del cliente, quindi pensò di rimandare l’appuntamento al giorno dopo. Naturalmente tutto questo l’ho saputo dopo, ricostruendo i fatti. Sentimmo il suo grido soffocato, aveva una tale espressione, non so come definirla… disgustata? Incredula? Immagino quanto si sia sentito tradito. Liza gridò: “Adam!” Io non riuscii a dire una parola, ero paralizzato. Cercai goffamente di rivestirmi, lui si scagliò contro di me gridando che ero un vigliacco farabutto, traditore, diede della puttana a tua madre, aveva gli occhi fuori dalle orbite, diceva che avrebbe detto tutto a mia moglie, che avrebbe mandato all’aria la nostra società, che mi avrebbe rovinato per sempre. Intanto mi era addosso, mi strattonava, tirava pugni e calci. A un certo punto afferrò un pesante fermacarte e fece per colpirmi, io parai il colpo e riuscii a strapparglielo di mano, e…»
Jim si bloccò di colpo, non riusciva a continuare.
«E cosa? – disse Josh digrignando i denti – cosa hai fatto?»
«Lo colpii ripetutamente».
«No! Maledetto, l’hai ucciso! Lo sapevo! Ma io ti…»
«Aspetta Josh! Non è finita, ascoltami ancora ti prego, devo scaricarmi la coscienza, non posso più tirarmi indietro ormai. Ma ricorda la promessa che mi hai fatto, dovrà restare fra noi».
Il ragazzo aveva il respiro corto e ansante, si era pentito di aver promesso di tacere.
Jim fece un sospiro profondo e riprese a parlare:
«Adam era a terra, non si muoveva più, era morto. Io e Liza ci guardammo in faccia inorriditi, pensammo di chiamare la polizia ma scartammo subito quella ipotesi, sarebbe stata la rovina per tutti. Io ebbi un’idea: avrei caricato Adam in macchina, lo avrei portato lontano da lì e avrei simulato un incidente».
«E la mamma ha accettato tutto questo?»
«Liza era totalmente fuori di testa, in preda al panico, dovetti decidere tutto da solo, lei pensava a te, a cosa avrebbe potuto dirti, a come avresti reagito, le si apriva uno scenario spaventoso. Per me sarebbe stata la fine di tutto, lavoro, famiglia, reputazione. Quindi decisi: dopo aver tranquillizzato un po’ Liza, scrissi il primo di quei biglietti che hai trovato, le dissi di leggerlo e di fare come avevo scritto. In seguito gliene feci avere altri sperando che non facesse niente di insensato. Caricai Adam nella sua macchina e mi misi alla guida. Era un pomeriggio buio, tetro, pioveva molto forte, non c’era nessuno in giro quando arrivai in cima al cavalcavia che attraversa il grande prato, mi fermai e misi il freno a mano. Scesi dalla macchina, non mi restava che togliere il freno e lasciarla andare».
«Oh, povero papà, in mezzo a due serpenti velenosi!»
«Purtroppo non fu così semplice, perché Adam non era morto».
«Cosa?»
«Aprì gli occhi e mi vide, con voce tremante disse: “Jim, dove sono? Cosa stai facendo?” Preso dal panico non dissi una parola, mi affrettai a togliere il freno a mano, l’auto cominciò a prendere velocità e a sbandare, fino a quando sfondò il guard rail e precipitò di sotto. Devo aver perso l’accendino in quell’occasione».
Josh estrasse la pistola e gliela puntò al petto, la sua voce era sibilante, carica di odio:
«Bastardo! Devi pagare con la vita, assassino!»
Jim gettò un’occhiata veloce alla finestra, sperava che la moglie o la figlia li vedesse e intervenisse, ma le due donne erano nel salotto a guardare un programma in tv.
«Josh! Cosa vuoi fare? Se mi uccidi finirai in galera per tutta la vita, non potrai più badare a tua madre malata, pensaci bene, abbassa quell’arma».
Il ragazzo non lo sentì neppure, continuò a minacciarlo con la pistola:
«Ma non provi almeno un po’ di rimorso eh? Era un tuo amico, tu lo hai tradito con mia madre, tu lo hai ucciso, non era morto, potevi salvarlo!»
Jim chiuse gli occhi, la sua voce tremava:
«Non passa giorno che io non senta la sua voce che mi chiama, le sue grida, mentre l’auto perdeva il controllo e precipitava, ci sono momenti in cui mi sembra di impazzire, credimi ragazzo.»
Josh singhiozzava, il viso inondato di lacrime, il cuore spezzato dal dolore, la pistola sempre puntata su Jim:
«Oh mio Dio! Il mio povero papà!»
A quel punto Jim disse qualcosa di inimmaginabile:
«Non era tuo padre».
Josh smise di respirare:
«Cosa?»
«Non era tuo padre».
«Cosa dici carogna! Non infangare la sua memoria, era il padre migliore che potessi avere, capisci cosa hai fatto bastardo? Mia madre, anche se ora la odio quanto te, ha ripetuto sempre con convinzione: “Io amavo tuo padre”, hai capito?»
Jim si limitò a guardarlo fisso negli occhi.
«Hai capito cosa ho detto maledizione?» urlò Josh.
L’uomo non cambiò espressione ma i suoi occhi si riempirono di lacrime. D’un tratto Josh smise di piangere, si asciugò gli occhi e la faccia con la manica della giacca. No, non poteva essere, la verità lo colpì come una frustata in pieno volto.
«Sei tu!»
Il volto di Jim era rigato di pianto, stava lì immobile, guardava suo figlio che gli puntava addosso una pistola, suo figlio che lo odiava, e ne aveva tutte le ragioni. Si limitò ad annuire col capo.
«Nooooo!»
Josh gli sparò tre colpi in pieno petto, si alzò e corse via, scavalcò il cancelletto della villa, salì in bicicletta e pedalò come una furia verso casa. Sarah ed Eva sentirono il rumore degli spari, uscirono e videro il corpo di Jim riverso sulla sedia, ormai senza vita. Si misero a urlare inorridite, i vicini, incuriositi, si avvicinarono alla casa, voci concitate dicevano:
«Cos’è successo?»
«Hanno sparato a Jim Garret!»
«Chi è stato?»
«Qualcuno chiami la polizia!»
Josh arrivò a casa, lasciò cadere la bici per terra e aprì la porta. C’era un gran silenzio, senz’altro sua madre stava ancora dormendo. Mise la pistola sul tavolo, si accasciò sul divano e ripensò agli avvenimenti. Il quadro era desolante. Cercò di mettere in ordine la situazione punto per punto, come gli aveva insegnato Maggie.
Punto primo: Jim era suo padre.
Punto secondo: ora sapeva perché non voleva che lui ed Eva si innamorassero: era sua sorella!
Punto terzo: Jim e Liza erano stati amanti per anni, Sarah partorì Eva tre mesi prima che sua madre partorisse lui, quindi quel porco aveva messo incinta tutte e due le donne a breve distanza.
Punto quarto: quando sembrava che sua madre farneticasse dicendo “Papà mi ha chiamata”, “Io amavo tuo padre”, “E’ venuto papà?”, non si riferiva ad Adam ma a Jim! Josh aveva sempre pensato che non riuscisse a sopportare la morte del marito, invece era complice dell’assassino!
Un’improvvisa freddezza si impossessò di lui, si alzò dal divano e andò verso la camera della madre, aprì la porta senza far rumore. La donna era immobile, dalle fessure della tapparella abbassata filtravano piccole lame di luce che davano al suo volto un riflesso spettrale.
«Mamma» chiamò piano.
Nessuna risposta.
«Mamma» ripetè più forte.
Liza girò la testa di poco:
«Chi c’è?» disse con voce flebile.
«Sono io, Josh».
«Chi?»
«Sono Josh mamma, tuo figlio».
«Mio figlio? Io non ho figli, sono troppo giovane».
Josh si sentì mancare, sua madre non si ricordava di lui! Possibile?
«Mamma». La sua voce era quasi un gemito.
Liza lo guardò con occhi assenti:
«Se ne vada, sto aspettando il mio fidanzato, è molto geloso».
Josh si avvicinò al letto, il viso cereo:
«Chi è il tuo fidanzato?»
«Jim. E’ così bello, ma tanto geloso».
Un leggero sorriso le aleggiava sul volto al pensiero di lui. Era davvero troppo per Josh, sfogò tutto il suo dolore, inveì contro la madre con parole irripetibili, non aveva più nessuno ormai, un padre assassino, una madre che ormai non lo conosceva più, che gli aveva sempre mentito e aveva lasciato che morisse un uomo buono come Adam Trevor. Accecato dalla rabbia prese un cuscino e lo premette sul viso di Liza, sempre più forte, la donna si dibattè debolmente per poco tempo, poi restò immobile. Josh rimase in piedi vicino al letto, a guardare il corpo senza vita della madre, era tranquillo, non provava nessun dolore, nessun rimorso. La sua mente era sgombra, ora sapeva cosa fare. Tornò in soggiorno, si avvicinò al tavolo, prese la pistola e si sparò alla tempia.
In lontananza, le sirene della polizia annunciavano il loro arrivo.
EPILOGO
EVA E SARAH GARRET
Dopo il terribile shock dell’uccisione di Jim e la tragica fine di Josh e Liza, decisero di andarsene per sempre da quella casa e ricominciare altrove una nuova vita. Eva era annientata dal dolore, aveva perso in un giorno due persone che amava. Chiedeva alla madre il perché di ciò che era successo, come era stato possibile che un ragazzo dolce come Josh diventasse un assassino e si togliesse la vita, era inconcepibile, dovevano esserci dei motivi talmente gravi… cosa si erano detti suo padre e Josh nel gazebo? Si era accorta che erano piuttosto alterati ma per quale motivo? Come aveva potuto Josh uccidere la propria madre? Forse non sopportava di vederla così malata senza speranza di guarigione? Queste erano le domande che Eva poneva a sua madre, la quale, stremata dallo spavento e dal dolore, rispondeva con dei “non lo so tesoro” seguiti da lunghi sospiri. Mai e poi mai avrebbe raccontato alla figlia ciò che sapeva.
Si era accorta fin dall’inizio che fra suo marito Jim e Liza c’era attrazione e anche di più, la cosa la ferì al punto che un giorno affrontò la rivale, minacciandola.
«Attenta a ciò che fai Liza! Stai lontana da Jim, altrimenti te la farò pagare cara, dirò tutto a tuo marito. Inoltre sappi che sono incinta, guai a te se rovini la mia famiglia».
Fu così che Liza, pur se innamorata di Jim, decise di troncare quella relazione. Sarah affrontò anche Jim:
«Vuoi davvero rovinare due famiglie? Adesso aspettiamo anche un figlio, scegli!»
Jim abbassò la testa senza rispondere, Sarah pensò che fosse pentito, che avesse capito che doveva pensare al futuro della famiglia, che non era più tempo di stupide avventure. Lo perdonò e il sereno tornò nella coppia. Quando un paio di mesi dopo, Liza e Adam si presentarono a casa loro annunciando che aspettavano anch’essi un figlio Sarah ne fu davvero felice, vide negli occhi buoni di Adam una gioia sconfinata, accettò quindi di buon grado di riprendere l’antica amicizia. Ora lei e Liza avevano tanto di cui parlare, fare tanti progetti per i loro bambini. Quando nacque Eva, Jim fu meraviglioso, pieno di premure verso le “sue donne” come amava dire spesso. I guai cominciarono quando Liza partorì il piccolo Josh. Sarah non era stupida, si accorse dello stato di apprensione di Jim, chiedeva notizie in continuazione, andava con Adam all’ospedale a far visita a Liza, poi raccontava alla moglie di quanto era bello quel bimbo, come sorrideva, come somigliava alla madre:
«Jim! Non ti sembra di esagerare? Liza ha un marito che si occupa benissimo di lei e del piccolo. Non c’è bisogno che ti impicci più di tanto, non è mica tuo figlio!»
Ecco! Fu l’espressione di Jim che le fece capire tutto. Ormai lo conosceva bene, vide il piccolo sobbalzo e lo sguardo stupito e spaventato insieme, quando lei pronunciò quella frase. Sarah aveva paura di fargli altre domande ma doveva sapere, non poteva sopportare di vivere nel dubbio:
«Jim, devi dirmi qualcosa?»
«Sarah! Perdonami, è stato più forte di me! Non volevo…»
«Allora è così? Quel bambino è tuo? Oh Dio Jim, cosa hai combinato? Cosa farai adesso? Lascerai che Adam pensi che è figlio suo? Oh povera me, ho sposato un mostro!»
«Sarah, non posso fare altro, Adam è felice di avere un figlio, lasciamoglielo credere. Liza è d’accordo. Ti rendi conto di che scandalo verrebbe fuori? Non ce lo possiamo permettere!»
Dopo aver versato fiumi di lacrime Sarah si rassegnò e accettò la situazione. D’altronde cosa poteva fare? Senza lavoro e una bimba così piccola, no, non poteva fare altro.
“Bambina mia – pensava Sarah – tu vuoi sapere la verità, fai tante domande, ma come potrei raccontarti una storia così squallida, come potrei rivelarti che non volevamo che ti innamorassi di Josh perché era tuo fratello? Ma non è tutto bambina cara. Per tutti questi anni ho sopportato il tradimento di tuo padre, sapevo che si incontrava ancora con Liza, me lo aveva detto Maggie, quella donna godeva nel vedere la gente soffrire.
Quando quella maledetta sera Jim tornò a casa a notte inoltrata, io non chiesi niente, poi lessi sul giornale la notizia della morte per “incidente” del povero Adam. Capii subito, affrontai Jim a muso duro e lui confessò il suo delitto. Mi supplicò di dire alla polizia che eravamo tutti in casa quella sera, fu così che confermai il suo alibi. Come vedi cara Eva, non hai avuto dei gran genitori, meglio che tu non sappia mai quel che è successo. Quelli che sapevano sono tutti morti, ed io porterò nella tomba il mio segreto. Piano piano il tuo dolore si affievolirà fino a scomparire, e tu vivrai serenamente la tua vita”.
DAVE E SUSAN CORDELL
Quando Susan apprese della morte di Maggie, non provò dolore, anzi, pensò che una simile ciarlatana aveva avuto ciò che si meritava. Grazie a suo marito Dave, aveva scoperto la truffa degli amuleti e la farsa delle sedute medianiche. Avrebbe conservato il ricordo del suo adorato figlio Ted nel profondo del cuore e avrebbe cercato di riconquistare l’amore di suo marito. Dave dal canto suo fu ben felice di vedere di nuovo Susan sorridere. Seduto sulla veranda, da solo, al buio, mentre fumava una sigaretta, ripensava agli ultimi avvenimenti: Sam il barista lo aveva cercato, voleva fargli una proposta. Dave lo accolse in malo modo, era anche colpa sua se Maggie era riuscita a plagiare Susan, era lui che le passava le informazioni. Lo ascoltò col volto accigliato per qualche istante, poi cominciò ad interessarsi alla sua proposta. Aveva deciso anche lui di vendicarsi di Maggie, per averlo costretto a diventare una spia coi suoi continui ricatti. Sam disse chiaramente:
«Quella strega deve morire, vuoi aiutarmi?»
«Ehi, non sono un assassino, vorrei solo farle prendere un grosso spavento».
«Ah! Quella non si spaventa facilmente! Senti, penso io a tutto, ho bisogno soltanto che tu mi aspetti fuori in macchina, allora, ci stai? Ho duplicato le chiavi della porta d’entrata, sarà un gioco da ragazzi».
Dave rimase in silenzio, rifletteva sulle conseguenze nel caso fossero stati scoperti. Tutto sommato l’autore materiale del delitto non sarebbe stato lui.
«Ok, ci sto».
Quella sera Dave parcheggiò sul ciglio della strada appena dopo gli alberi, spense le luci e aspettò. Dopo pochi minuti vide Sam uscire trafelato dalla casa di Maggie, accese le luci dell’auto e gli aprì la portiera.
«Cos’è successo?»
«Via via! Andiamo via subito!»
Dave partì a razzo, convinto che Sam avesse combinato un guaio.
«Si può sapere cosa è successo?»
Sam era ansante, non riusciva a rispondere, piano piano si calmò e cominciò a ridere, non riusciva a frenarsi, sembrava un pazzo.
«Sam! Razza di idiota, vuoi rispondere?»
Sam cercò di calmarsi, smise di ridere e finalmente parlò:
«Non l’ho uccisa Dave».
«Cosa?»
«Non l’ho uccisa, non ce n’è stato bisogno… è schiattata da sola… per lo spavento! Nessuno mi ha visto, nessuno potrà mai accusarci di nulla. Che fortuna eh?»
Dave, finito di fumare la sigaretta, rientrò in casa e guardò con tenerezza Susan che dormiva serena. “Ma sì, è andata bene così, non c’è bisogno che lei conosca i particolari”.
Tutto sommato, anche grazie a Maggie, si erano ritrovati.
SAM
Il barista della sala scommesse, si sentiva un miracolato: grazie all’aiuto di Dave Cordell e al provvidenziale infarto di Maggie, che gli aveva impedito di diventare un assassino, era libero.
Niente più ricatti, né pettegolezzi da riferire alla megera, finalmente poteva svolgere il suo lavoro con serenità. Gli restava un nodo da sciogliere ancora, un rimorso che gli rodeva lo stomaco. Il suicidio di Albert Wilson e il dolore della moglie Ann. Riflettè a lungo su cosa poteva fare per rimediare o quantomeno alleggerire la pena di quella donna, anche perché, a dire il vero, non gli dispiaceva affatto, anzi. L’idea luminosa arrivò all’improvviso: aveva le chiavi della casa di Maggie, poteva entrare e cercare i soldi che la donna custodiva (incredibile ma vero) nel cuscino. Ebbene sì, Maggie dormiva con la testa sui suoi soldi! Sam l’aveva scoperto per caso una sera. Era andato da lei per riferirle alcuni segreti di famiglia che aveva appena raccolto per le sue sedute medianiche, Maggie disse che aveva freddo:
«Vai su a prendermi lo scialle, è sul letto»
Era lì infatti, abbandonato sul cuscino. Quando appoggiò la mano sentì subito qualcosa di strano, non era morbido e si sentiva uno strano fruscio. Velocemente aprì la fodera e… sorpresa! Il cuscino era pieno di denaro contante! Certamente lo usava per i suoi prestiti da usuraia.
Rimise tutto a posto e portò giù lo scialle, avrebbe potuto fargli comodo un domani conoscere quel nascondiglio. Il momento era arrivato, mise in atto il suo proposito quella sera stessa, col favore del buio fu un gioco da ragazzi introdursi nella casa. Salì veloce le scale e aprì la porta della camera, il letto era ancora disfatto “Benissimo” pensò Sam andando dritto verso il cuscino. Aprì la federa, represse a stento un grido di gioia, nessuno li aveva trovati, erano ancora lì, dei bei bigliettoni da 50 e 100 dollari. Li avrebbe contati con calma a casa, svuotò la federa nel sacco che aveva portato con sé e uscì dalla casa di Maggie chiudendo a chiave. Avrebbe telefonato ad Ann il giorno dopo, aveva in mente un’idea che avrebbe finalmente cambiato la sua vita sconclusionata.
ANN E SALLY WILSON
Per Ann fu un periodo davvero spaventoso. Il suicidio del marito, la scoperta dell’enorme debito contratto con Maggie, la quale finalmente aveva tirato le cuoia. Tremava al ricordo di aver fatto abortire la figlia Sally per mano di quella donna, non riusciva a perdonarselo. La ragazza, in seguito a quell’esperienza devastante e alla morte del padre, era precipitata in uno stato di depressione preoccupante. Quando ricevette la telefonata di Sam che le chiedeva di parlarle con la massima urgenza, si spaventò. Cosa poteva essere successo? Quell’uomo era complice di Maggie, aveva causato il suicidio di suo marito Albert facendogli perdere tutto il denaro puntato su un cavallo brocco. Maggie era morta ormai, cosa poteva volere da lei quell’uomo? Aveva paura di lui ma andò ugualmente all’appuntamento. Lo vide all’angolo della via venirle incontro sorridente, teneva in mano una piccola cartella:
«Buongiorno Ann, come sta?»
Lei lo guardò stupita, non era più l’uomo nervoso e impaurito che aveva conosciuto, anzi, aveva un aspetto sereno e cordiale.
«Sto bene Sam, grazie. Mi dica subito di che si tratta per favore».
«Un momento Ann, beviamo qualcosa prima, che ne dice? C’è un bar qui accanto, le dispiace?»
Ann accettò seppure riluttante.
Davanti a una tazza di caffè, Sam le raccontò di essere andato a casa di Maggie, di aver preso i soldi dal cuscino e che riteneva giusto che fosse proprio Ann ad averne diritto, in quanto quei soldi erano stati prestati e poi tolti con l’inganno al povero Albert.
«Posso sperare nel suo perdono Ann?»
«Non so… è troppo presto… ho ancora tanta rabbia. In quanto al denaro, siamo sicuri che non avrò fastidi in futuro? Qualcuno poteva sapere della loro esistenza…»
«No Ann, solo io lo sapevo, non abbia timore».
«E lei Sam… non vuole niente?»
«No»
«Potrebbe pentirsi un domani di aver dato tutto a me».
«No Ann, io voglio solo il suo perdono».
Ann chinò il capo pensierosa, poi disse:
«Accetto il denaro Sam, mi servirà per curare la mia Sally, è molto esaurita, ho intenzione di fare un viaggio insieme a lei per cercare di distrarla e rasserenarla un po’. Quindi accetto e la ringrazio d’aver pensato a me. Ma non mi parli di perdono, non è il momento, c’è solo odio nel mio cuore».
«Ann – rispose Sam guardandola dritto negli occhi – io continuerò a sperare. Quando tornerà dal viaggio si ricorderà ancora di me?»
Ann accennò un sorriso:
«Non lo so Sam, lasciamo fare al tempo».
Sam le porse la piccola cartella che aveva portato con sé:
«Ecco il denaro Ann, a presto spero».
«Arrivederci Sam».
Ann prese la cartella, risalì in macchina e tornò a casa. Si ritrovò a sorridere pensando a Sam, era così diverso dall’uomo che aveva conosciuto in quel terribile periodo. Le era sembrato sincero, chissà, forse un giorno avrebbe potuto perdonarlo, prima doveva pensare a sua figlia.
Mentre era assorta nei suoi pensieri, Sally entrò nel soggiorno:
«Mamma».
«Sally, tesoro, come ti senti?»
«Un po’ intontita, ho dormito troppo forse».
«Vieni amore, siediti vicino a me, ho buone notizie».
FINE