E in quella notte d’attesa che sembrava non voler finire mai, la pioggia continuava a cadere senza tregua. Ogni tanto un chiarore improvviso irrompeva nel cielo nero, seguito dal fragore assordante di un tuono.
I ragazzi dormivano, il sonno di Agnese era agitato; si era alzata più volte, in punta di piedi, senza far rumore.
Aldilà dei vetri, un paesaggio desolato si offriva ai suoi occhi: la strada deserta e silenziosa, delimitata da grandi edifici fatiscenti su cui erano ancora visibili i segni del bombardamento; cumuli di macerie che sembravano essere stati lasciati lì in ricordo delle vittime della tragedia; il buio appena attutito dalla debole luce dei lampioni che si rifletteva sulla strada bagnata… flebili fiammelle tremolanti.
Non si avvertiva la presenza di esseri umani in quella specie di tormento e, all’appuntamento, mancava solo qualche ora… un tempo breve, eppure interminabile.
Finalmente il mattino era arrivato, e il cielo cupo aveva faticosamente ceduto il posto a uno splendido sole.
Agnese si era preparata con cura, aveva indossato un abito nero, semplice e raffinato, e raccolto i capelli in uno chignon. Poi si era incamminata lentamente, ripercorrendo mentalmente la propria vita al ritmo dei suoi passi ed indugiando sugli attimi più belli.
Dopo tempo immemore, si era fermata a guardare la sua immagine riflessa nella fontana dell’Esedra, così diversa da quella rimirata tanti anni prima, in compagnia di Augusto. I segni del tempo si vedevano, certamente; eppure né il dolore, né gli stenti erano riusciti a scalfire la sua bellezza interiore che traspariva integralmente dal volto sofferente, delicato, incorniciato da ribelli ciocche di capelli argentati che si lasciavano accarezzare dal vento, come seta.
Puntuale all’appuntamento, si era avvicinata al distinto signore che la stava aspettando e che, gentilmente, aveva ricambiato il suo saluto.
Si era presentato – “Aurelio Rossi” – stringendole la mano con vigore. Il garbo con cui le si era rivolto, lo sguardo fiero e comprensivo erano immediatamente riusciti ad alleviare i timori e l’imbarazzo che l’avevano assillata durante la notte.
Era estremamente riservata, non era abituata ad incontrarsi con uno sconosciuto. Il sacrosanto terrore di sentirsi dire quello che, in cuor suo, aveva sempre rimosso, si era inoltre letteralmente impadronito di lei… ciò nonostante, rassicurata da quel volto aperto, aveva sentito l’ansia che le attanagliava le viscere sciogliersi gradualmente.
Lui le aveva proposto di spostarsi nel suo ufficio – cui si accedeva oltrepassando corridoi stupendi, arricchiti da volte e affreschi – per parlare con tranquillità.
Lo stile sobrio di quella stanza ariosa ed accogliente era in linea con il proprietario: qualche quadro scelto con cura alle pareti; sull’ampia scrivania una foto di famiglia, un paio di occhiali, una penna stilografica, alcune pratiche; in un angolo, una comoda poltrona a ridosso di una piccola libreria su cui spiccavano testi antichi e qualche volume rilegato in pelle.
Era riuscito a metterla a suo agio e, infine, aveva affrontato il discorso; sapeva benissimo il motivo per cui Agnese era lì, prendere ancora tempo era inutile. Con la massima discrezione, senza mai distogliere lo sguardo da lei per coglierne le benché minime reazioni, aveva lentamente preso a raccontare ciò che era riuscito a sapere.
“Cara Agnese, non è stato semplice reperire notizie su suo figlio, ma ho fatto del mio meglio per averne di accurate ed attendibili. Alle fonti che ho interpellato risulta che Mario si sia imbarcato la sera del 1° dicembre del ‘42 su un cacciatorpediniere della Marina Regia, diretto verso le coste tunisine con altre quattro imbarcazioni – altre due cacciatorpediniere e due torpediniere. Durante la notte, appena oltrepassate le acque territoriali Italiane, una formazione Inglese ha attaccato la nostra flotta, sia da mare che da terra, silurando e bombardando le navi italiane. Quella su cui viaggiava il reparto di fanteria di suo figlio ha riportato gravi lesioni ed è affondata, non prima di aver colpito un incrociatore nemico. Le perdite sono state piuttosto rilevanti, e non sono mancati decessi da entrambe le parti. Per fortuna, molti dei giovani che viaggiavano su quella sfortunata imbarcazione, sono stati tratti in salvo”. poi, porgendole la lista dei sopravvissuti, aveva aggiunto: “Mario è tra i superstiti, come può vedere”.
Alla vista di quel nome familiare, ad Agnese si erano riempiti gli occhi di lacrime per l’emozione. Quante volte aveva sognato di condividere un simile momento con Augusto… che purtroppo non era più con lei. Stava iniziando ad assaporare il suo ritorno a casa… il momento in cui avrebbe dato la bella notizia a chi c’era ancora, ma non avevano finito… c’era ancora molto da sapere, erano appena arrivati alla notte del 1° dicembre. Gli chiese cosa fosse successo dopo.
Aurelio Rossi aveva quindi continuato: “La flotta italiana è giunta a destinazione, sulle coste della Tunisia, il 2 dicembre. Dalle navi è scesa una quantità notevole di fanti e bersaglieri, a rinforzo delle truppe già dispiegate sul territorio – ormai in preda alla stanchezza – per prendere parte a diversi attacchi a fianco degli alleati.”
Ancora una volta, per provarle che non stava nascondendo nulla, il funzionario le aveva mostrato l’ultimo dispaccio ricevuto, che confermava la partecipazione di Mario ad alcune battaglie, asserendo “… nei pressi di Tebourba, durante uno scontro, il soldato Mario Sardi è rimasto ferito, fatto prigioniero e, insieme ad altri compagni, trasferito negli Stati Uniti”.
Non c’erano altre precisazioni, era tutto.
La situazione non era cambiata granché, ma quella indeterminatezza, logorante per un verso, aveva il vantaggio di tenere in vita la speranza… Mario era vivo, almeno fino a poco tempo addietro.
Con un’espressione di gratitudine negli occhi, Agnese si era congedata da quel gentiluomo, ringraziandolo. Quel giorno, per l’ultima volta, si sarebbe girata a guardare l’edificio di Piazza San Silvestro, prima di andarsene.
All’uscita, aveva trovato la sua amica Laura, che attendeva fiduciosa di conoscere l’esito dell’incontro. Era stata una giornata fortunata anche per lei; aveva ricevuto qualche notizia confortante del suo ragazzo giusto qualche minuto prima. Si erano incamminate verso casa insieme – non senza aver salutato Padre Libero – con la promessa di continuare a sentirsi.
Al momento di lasciarsi, si erano abbracciate con le lacrime agli occhi…