Ebbene sì, sono nata il 2 Novembre, ma in realtà sono in pochi a saperlo. Come mai? Perché sui miei documenti c’è scritto 1° novembre. Non è un errore dell’ufficio dell’anagrafe, è stata un’idea di mio padre. Quando gli ho chiesto il motivo, mi ha spiegato che il 2 non gli sembrava un bel giorno e così ha pensato di denunciarmi il 1° che essendo un giorno festivo era anche più adatto per festeggiare. Non sapeva, il tapino, che questa sua decisione è stata per me fonte di svariate rotture di scatole (Rocco Schiavone userebbe un altro termine più calzante e ci aggiungerebbe anche un livello che potrebbe essere tra 7 e 8 per quanto mi riguarda). Vado a spiegare.

Quando ero bambina, nel secolo scorso, le “Feste dei Morti” si identificavano con i primi due giorni di novembre essendo, appunto, il 1° un giorno sempre festivo. Così, quando qualcuno mi chiedeva:”Quando sei nata?” e io rispondevo: “Il 1° novembre”, l’immancabile commento era: “Ah, i morti” (che non era un’abbreviazione della nota imprecazione romanesca, ma un comune fraintendimento di giorno) e io dovevo ribadire:”Veramente è il giorno di Ognissanti”.

Per quanto riguardava la possibilità di festeggiare più facilmente il mio compleanno in un giorno festivo, anche qui sfatiamo questa leggenda: proprio perché c’erano due giorni di festa, a volte di più se capitavano in prossimità del fine settimana, la maggior parte delle famiglie andava fuori, molti nei paesi d’origine, per celebrare appunto i defunti e i miei compleanni andavano deserti e posticipati  a data da destinarsi. Ancora oggi è così e usufruisco di festeggiamenti molto intimi.

Non molti anni prima che mio padre volasse via, affrontai con lui la questione, svelandogli l’inutilità della sua decisione e informandolo che se mi avesse denunciata il 3 invece del 1° non solo non mi avrebbe invecchiata di un giorno, ma non mi avrebbe costretta a spiegazioni e feste negate per tanti anni. Ma lui sfoderò uno dei suoi rari e disarmanti sorrisi ribadendo che pensava comunque di aver fatto bene.

Durante la mia vita ho sentito spesso dire a mia madre che “I morti ti aiutano più dei vivi”. Per molto tempo non mi è stata chiara questa frase sibillina e mia madre, pur essendo una persona originale (per usare un simpatico eufemismo) non era il tipo da sedute spiritiche. Negli anni ho pensato si riferisse al ricordo, al patrimonio di memoria che le persone che attraversano la nostra vita lasciano in noi. Forse è davvero così. L’idea che una persona che è stata importante all’improvviso scompaia dalla mia vita e io non possa più rivederla, parlarle, vedere i suoi occhi, il suo sorriso, ascoltare la sua voce, è qualcosa con cui non mi riesce neanche adesso di fare i conti. E’ vero, però, che le azioni, le parole, gli oggetti che queste persone lasciano nella nostra vita sono per noi una specie di serbatoio di forza, di incoraggiamento, la prova della loro esistenza nella nostra, l’orma che hanno lasciato nel nostro cuore, nel bene e nel male. E allora capisci davvero che la morte è solo un passaggio, che, come dice Isabel Allende, “finché qualcuno viene ricordato, continua a vivere” e che ci sono cose che vivono oltre la vita terrena, sensazioni, odori, sapori. Chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da un profumo, riprovare emozioni, riascoltare voci, risate, pianti, strilli.

Ho una fialetta del profumo di mia madre, Joy di Jean Patou, una fragranza dolce ma decisa, costosa e raffinata, anche se con gli occhi della memoria rivedo la meravigliosa bottiglia di cristallo di Mitsuko di Guerlain postata sulla toeletta insieme al set di spazzole d’argento per capelli. La bottiglia era bellissima, ma la fragranza troppo penetrante, molto anni’60, Joy è più moderno e mia madre, in un modo tutto suo, è stata una donna estremamente moderna, fuori dagli schemi.

Quando è morto mio padre, approfittando del trambusto, di nascosto dalla sua seconda moglie, ho letteralmente rubato la bottiglia che aveva in uso di Aqua Velva Williams, il suo dopobarba da sempre,“l’odore di papà” per me. Ora le due fragranze sono finalmente vicine, insieme come non sono mai state nella vita terrena e mi piace pensare che siano finalmente in pace, quella pace racchiusa nel significato del mio nome, scelto da mio padre in quella mattina del 2 Novembre che non sarebbe più stato il 2.

Io, però, sono felice di essere nata in quella data, forse perché mi aiuta ad esorcizzare il pessimo rapporto che ho con la morte di chiunque e anche, paradossalmente, a trovare estremamente vive cose solo apparentemente morte, come i magnifici girasoli di questo quadro del mio adorato Vincent che trovo pieni di forza e di energia, vitali come poche cose. . E poi a Novembre è nata Jo March, la “Piccola Donna” che io ho sempre voluto essere!

Vincent Van Gogh, Quattro Girasoli Recisi, 1889