Conoscete il topo muschiato? Se avete letto Kipling dovreste ricordarlo, è uno dei personaggi di Rikki Tikki Tavi, uno dei racconti contenuti ne Il Libro della Giungla, il suo nome è Chuchundra e si presenta come un roditore pauroso e preoccupato soltanto della sua sopravvivenza, ma che nello svolgersi della trama ha un suo ruolo. Non vi dico di più, andate a leggere il racconto se non lo conoscete perché Kipling è sempre una bella lettura.
Mio padre era un appassionato dell’autore e mi raccontò le avventure di Rikki Tikki Tavi quando la mia età non raggiungeva ancora il numero di dita di una mano, ragion per cui la storia mi restò impressa come accade solo a quella età, quando le cose ti si stampano in mente come una fotografia indelebile e chiarissima.
Quel curioso animale, in realtà, me lo sono ritrovato spesso nei pensieri nel corso della mia vita e più volte ho sentito consonanza con lui e il suo modo di essere.
Scientificamente è un roditore acquatico che scava cunicoli e gallerie per mettere al sicuro la prole, il suo nome deriva dall’odore di muschio selvatico che ha il suo pelo, forse per il continuo contatto con zone umide. Io, invece, l’ho sempre ricordato per quel suo “strisciare rasente i muri” citato nel racconto per rappresentare la volontà di non apparire e proteggere così la sua incolumità, magari strofinandosi sul muschio dei muri.
Bene, dopo questo preambolo vi chiederete: e cosa è questa sindrome?
Inevitabilmente tutto ciò che riguarda il passato affonda le radici nel nostro vissuto più intimo e, senza voler fare il Freud de’ noantri, avere avuto una madre che con un simpatico eufemismo potrei definire “originale” aiuta a capire. La signora Giovanna era una bella donna mediterranea, non alta, ma ben proporzionata, nata figlia unica di una madre inglese poco empatica e di un padre irpino militare di carriera severissimo e intransigente. A un certo punto della sua vita, dopo aver obbedito ciecamente per anni, quando il suo matrimonio non ha più funzionato, nei favolosi anni ’60 ha deciso di separarsi con motivazioni serissime, anche se non dimenticò mai mio padre e il sogno infranto. In quel periodo, foriero di trasgressioni di tutti i tipi, andava in giro per Napoli con una pelliccia sintetica zebrata, completata da stivali e cappello da Zorro. A me aveva comprato un “completino” di finta pelle rossa: scamiciato, giacca, cappellino, borsa e scarpe. Fu allora, all’età di nove anni, che ripensai al povero Chuchundra e lo sentii vicinissimo: avrei pagato oro se solo avessi potuto scambiare il mio sfolgorante completo con il suo pelo grigio e camminare rasente i muri senza essere notata, invece di essere perforata, insieme a mia madre, alla quale non faceva né caldo né freddo, da occhiate stupite, scandalizzate, perplesse, piene di rimprovero, per non parlare dei commenti maschili, da sempre una peculiarità italica e meridionale, rivolti a mia madre che sorrideva e tirava dritto. Per lei, dopo anni di divise di vario tipo, “questo sì, questo no, ancora no e poi no”, era l’ora della liberazione che si manifestava anche e soprattutto attraverso l’abbigliamento.
E’ andata avanti per un bel po’ di tempo, non mi sono mai abituata a quelle stravaganze, ma tacevo perché per nulla al mondo avrei voluto dispiacere mia madre, che veneravo nonostante tutto.
Credo che questo imprinting abbia lasciato un segno indelebile su di me perché non ho mai voluto emergere e assurgere agli onori della popolarità, ho cercato di mantenere un basso profilo anche quando i miei risultati erano buoni e ho sognato lavori che non mi mettessero in mostra: avrei voluto fare il meccanico di Formula 1 e non il pilota, la doppiatrice e non l’attrice, l’editor e non la scrittrice e via dicendo.
Ma quanti saranno i topi muschiati tra noi? Forse più di quanti pensiamo, magari li incrociamo, li salutiamo e condividiamo con loro più cose di quante immaginiamo. Perché in fondo, sotto l’apparenza fifona e minimalista, chi si sente affine al simpatico roditore, come mi faceva riflettere un amico, è prima di tutto una persona consapevole dei propri limiti, che non si butta allo sbaraglio, millantando capacità inesistenti, come invece molti sono portati a fare, per poi diventare protagonisti di magrissime figure. Sulla base di questa prima analisi possiamo anche dire che in virtù di ciò, anche se il raggio d’azione del topo muschiato è ridotto, le sue azioni e le sue scelte sono mosse dalla ricerca della qualità. Chi basa la propria vita sull’essenziale, sulla piccola, ma granitica certezza, vuole che quella certezza sia solida, un qualcosa che possa anche servire da base per proiettarsi in avanti, con le proprie competenze e possibilità. Non è un accontentarsi, badate bene, ma è una lucida analisi di ciò che è possibile fare realisticamente. Quindi potremmo dire che il topo muschiato è un piccolo, timido, ma tenace costruttore del proprio futuro e di quello dei propri cari. Nel suo nido, che il vero topo muschiato costruisce come una piccola fortezza sull’acqua, con vari ingressi e diverse stanze deputate a dormire o a mangiare e con un sistema di coibentazione che preservi la famiglia dalle intemperie e dal gelo, c’è l’impronta di questo piccolo mammifero, il suo “biglietto da visita”: sono piccolo, vulnerabile, ma i miei cari devono essere al sicuro e io faccio tutto quello che posso perché sia così, non mi interessa misurarmi con avversari palesemente superiori, sfidare la sorte, improvvisare. Lavoro duro e tenacia, amore e dedizione.
Il topo muschiato che è in me ciclicamente si riaffaccia, arriccia il muso, strofina le zampette e si rituffa in un cunicolo. L’autostima non è mai stata il mio forte, ma, come ogni bravo topo muschiato, la mia vita è stata spesa principalmente per tenere al sicuro i miei piccoli, anche adesso che piccoli non sono più. E vi garantisco che anche se di base non è un cuor di leone e non vuole apparire, l’onesto topo muschiato se si tratta della prole diventa una tigre siberiana pronta a sbranare qualunque avversario e a fugare ogni pericolo che minaccia i suoi piccini.
E anche un topo muschiato ha dei sogni, da topo muschiato, intendiamoci, ma come tutte le cose anche questi hanno una loro dignità e importanza e meritano di realizzarsi.
Forse c’è un po’ di topo muschiato in ognuno di noi.