Una mattina come tutte le altre. La sveglia, alzarsi ancora un po’ insonnoliti mentre ci si infila nel mood pilota automatico “caffè-colazione-bagno”. E proprio in bagno, davanti a quello specchio che raccoglie da anni le tue occhiaie e le smorfie assurde per adattare la faccia alla pinzetta, che hai la folgorazione: ma come è successo? Te lo ripeti mentre ti guardi e quello che vedi improvvisamente non fa il paio con quello che senti girare un po’ più su, nella scatola cranica. Come è successo che io mi guardi e non mi riconosca pienamente? Chi è quella sconosciuta che mi fissa con la pelle un po’ troppo secca, i fili bianchi tra i capelli, l’espressione severa? Per carità, non è che io sia mai stata la Vispa Teresa o la pubblicità del Colgate anni’60, però non mi ritrovo molto in quello che vedo. Certo, gli occhi sono sempre loro, di quello strano colore tra il verde e il marrone, ” ‘ntruvulati” come recita il dialetto irpino del paese d’origine di mio nonno, portatore degli stessi occhi tramandati a mia madre e a me, come “il fondo del torrente”. Gli occhi sì, uguali, curiosi, attenti, lucenti e disincantati, ironici o cupi, ma sempre loro. E’ il resto che non mi convince.
Sarà che sento ancora in fondo a me un certo ribollire, un fermento, un’aspettativa di cose, una curiosità indomabile, la voglia di vedere cosa c’è ancora avanti e ancora più avanti. Uno stato d’animo non dissimile da quello di una liceale, per certi versi, con maggiore esperienza, ma ancora pronta a stupirsi per quello che la vita può avere in serbo. Naturalmente tenendo sempre ben a mente che il senso della misura e del ridicolo deve avere la prevalenza e non posso e non devo scadere nella condizione di sembrare la nonna di Barbie, in tutti i sensi.
Già, la vita…la parte che ho vissuto è decisamente più lunga di quella che mi rimane da vivere, porca troia! Questa rivelazione, o meglio questa palese verità che ho evidentemente cercato di ignorare finora, mi aggredisce come un colpo proibito di pugilato al basso ventre. Una mazzata vera e propria. E non c’entra l’aspetto fisico, il decadimento del corpo, l’obsolescenza del proprio essere, le rughe e la giovinezza spazzata via inesorabilmente e irreversibilmente. Non sono mai stata una che si è preoccupata troppo del proprio aspetto fisico, dell’eleganza (tutt’altro! Il mio look è sempre stato una via di mezzo tra il metalmeccanico in sciopero e la sopravvissuta su un isola deserta, essenziale e confortevole al massimo), non c’entra nulla il viale del tramonto, è il tramonto che mi inquieta, l’idea perversa che non ci sarò più e che la mia data di scadenza si avvicina.
Ma come è successo? Mi sono distratta un attimo ed eccomi qua a fare i conti con qualcosa che mi pareva ancora molto lontano, invece è qui. E mi tornano in mente episodi del passato, quando ho conosciuto mia suocera, ad esempio, una bella signora da poco cinquantenne che mi pareva anziana pur nella sua beltà e raffinatezza vaga e disordinata, e io ad oggi ho già superato la boa dei 60! Oppure quando, ancora più in là nel tempo, tentavo di immaginarmi quarantenne e mi vedevo con i capelli grigi lunghi, le rughe, un po’ fricchettona ancora con le mie gonnellone a fiori e i maglioni oversize. Invece, vent’anni dopo rispetto alla visione, capelli di tre centimetri ancora tutti castani con qualche filo bianco (ma non li tingerei mai, anche perché con la qualità da discount dei miei capelli nella migliore delle ipotesi resterei calva), eterni jeans, magliette riciclate da mio figlio, giaccone d’epoca e scarpe da ginnastica, nessun alone romantico, nada de nada.
Bene, allora che si fa? Niente, nel senso che nulla potrebbe mutare la situazione, non esiste una macchina del tempo, o meglio, una macchina che lo fermi il tempo perché, in realtà, non mi interessa tornare indietro. La mia vita, come quella di tutti, è costellata di molti eventi non proprio fantastici che hanno segnato il mio percorso. Se mi fosse posta la domanda idiota “a quale periodo della tua vita vorresti tornare?” non saprei cosa rispondere perché non ho nostalgia del passato, perché in ogni fase c’è qualcosa che preferirei non aver vissuto a fronte di cose che aveva un senso vivere allora. Adesso è adesso. E io sono sempre stata una che ama vivere nel presente.
Perciò se trovassi la famosa lampada tra le migliaia di cianfrusaglie accumulate negli anni ( l’accumulazione compulsiva è tipica dell’età avanzata, ci circondiamo di una quantità di “non si sa mai” forse per darci ancora delle possibilità temporali) e il grasso genio mi si palesasse in tutta la sua magnificenza chiedendomi cosa voglio, gli risponderei di andare avanti così, come sono adesso, ancora per un bel po’ perché in fondo questa età che molti a torto definiscono matura (credetemi, anche gli over 60 sono in grado di fare ancora cazzate megagalattiche) presenta una serie di vantaggi. Oltre a non dover più fronteggiare la furia ormonale che tanti guai ci procura con le sue altalene emotive e non, a non dover più subire molestie verbali e non perché lo status di befana acclarata ti mette al riparo da queste bassezze, è la visione del mondo e della vita che è migliore sulla base dell’esperienza, delle cose fatte, anche degli errori commessi. E ci si può permettere piccoli lussi che prima erano impensabili. Anche mandare a quel paese qualcuno, senza preoccuparsi delle conseguenze, liberarsi dei pesi morti, degli inutili orpelli umani e non che intasano la nostra esistenza, poter guardare e valutare da diverse angolazioni situazioni, persone e fatti che con l’inesperienza avremmo valutato diversamente, magari trascinando zavorre inutili, sapere come vanno a finire molte cose, prevedere e scansare possibili cetrioli che si avvicinano al nostro deretano, pur restando pronti ad accogliere, valutare ed eventualmente fare propria una bella novità di qualsivoglia genere, tutto questo lo trovo molto appagante.
Perciò, caro genio della lampada, ovunque tu sia, il mio desiderio e quello che cercherò comunque di fare a prescindere dalla magia, sarà cercare di restare il più possibile ancora al timone della mia vita tenendo la barra saldamente in direzione ostinata contraria.