Ecco,ora tocca a me, si disse Marisa specchiandosi e l’immagine che le era restituita sapeva  un po’ di sconfitta.

Con quelle rughe evidenziate dalla luce di taglio e gli occhi che , nell’ovale  grigio del volto, avevano un brillio come pioggia d’autunno.

Pioggia inutile, pensò, perché la vita va  incentivata a primavera quando tutto esplode d’energia e di sogni. Adesso serve solo a far marcire le scorie dell’anima in mille paludi di rimpianto.

Avanzavano quelle chiazze in rinunce via, via più dolorose che inaridivano  l’animo rendendolo sempre più povero di germogli propositivi e progettuali.

Scosse il capo quasi a scacciare quei tristi pensieri ed essi caddero come foglie al vento.

Li guardò, caduti ed adagiati sulla piatta calma della sua rassegnazione.

Qualcuno era ancora vitale e colorato con tracce di rosso e di passione; recava in sé ricordi di sanguigno attaccamento alla vita.

Avrei forse dovuto dare loro ancora del tempo. Forse… Ma tanto…

Poco più in là il verde smagliante della vita cantava al sole la rotonda pienezza dell’esistenza.

E pensò che così doveva essere.

Dalle foglie  tornate alla terra, quel nuove verde  avrebbe tratto il suo  nutrimento.