Sai, è strano ritrovarmi qui.
Certo, tu mi dirai che ormai dovrei esserci abituato, dopo tanti anni, eppure ti assicuro che ogni volta mi sembra di rivivere la stessa sensazione. Lo stesso strazio.
Mi ritornano sempre in mente le stesse cose, perché fossi lì – proprio lì, proprio quel giorno – e penso alle mille alternative che sicuramente avevo, che tutti noi sicuramente avevamo, ma poi mi dico che se non c’ero io – se non c’eravamo noi – sarebbe stato lo stesso, ci sarebbe stato qualcun altro, e non sarebbe cambiato molto.

Un istante dopo, però, ripenso al percorso che ho fatto quel giorno ed esploro tutte le possibilità che avevo per non essere lì, in quel posto e in quel momento, e questo perché la mente mai si rassegna.
Lo so, è così anche per te e per tutti, immagino, e allora resto ad osservare quel grande spazio vuoto dove c’era un’ala della stazione e dove eravamo anche noi, e penso che il rosso per terra era il nostro sangue, o forse la polvere dei mattoni, non so.
Avevo 37 anni allora, adesso sarei vecchio, forse già morto, o quasi, e cosa vale il tempo una volta che ce lo siamo lasciati alle spalle?

Non ho sentito dolore, tutto si è consumato in un grande boato che ci ha inghiottiti, in un senso di vuoto spaventoso che ha svuotato di aria i miei polmoni, ma forse è un falso ricordo, forse allora ero – eravamo – già tutti morti.
Com’è assurdo quello che si diceva sulla vita dopo la morte, quello che raccontavano i preti, i guru, gli illuminati. Noi qui non conosciamo niente, siamo sospesi in un nulla senza ieri e senza domani. Non sappiamo quello che è successo dopo, se i colpevoli sono stati trovati e arrestati, e per dire la verità non ce ne importa neanche molto. Mi dispiace di non aver mai più visto mia moglie e i miei figli, che quella mattina avevo salutato in maniera frettolosa, tanto ci saremmo rivisti per pranzo…
No, voi che potete non fatelo, non rimandate mai il momento di un bacio, di un sorriso, di una carezza: nessuno è padrone del proprio destino più di un soffio di fumo nel vento!
Mia moglie… spero che sia riuscita a rifarsi una vita, che il mio ricordo non sia stato troppo ingombrante – non di me, ma di come sono morto – che i miei figli siano cresciuti bene e si siano fatti le loro famiglie, anche senza il loro padre.

So che anche tu pensi le stesse cose, e come noi lo fanno anche gli altri, ombre che ritornano ogni anno in questo luogo, non fantasmi senza pace ma eterei simulacri di quello che avrebbe potuto essere e non è stato.
Saremo qui, tutti e ottantacinque, ad attendere che scocchino le dieci e venticinque , come quarantuno anni fa, ed allora rivivremo con gli occhi e col cuore quell’unico, tremendo momento.
Dopo, scivoleremo ancora nel buio per ritornare l’anno dopo, muta e pallida testimonianza della ferocia insensata degli uomini che ha trasformato la Stazione Centrale di Bologna nel nostro sacrario, quel 2 agosto 1980.