Quella mattina Tilda si era alzata prima del solito: era agitata.
La sera precedente, the Boss in persona, Hillary Augustin l’aveva convocata alla WM Editions per una questione urgente.
Quando era apparsa all’improvviso sul grande schermo che teneva in salotto, l’aveva trovata ancora più affascinante e dolce del solito. Naturalmente la sua era una dolcezza solo apparente perché in realtà, sapeva essere dura e autorevole come pochi.
Se era The Boss un motivo c’era.
Mentre guardava il mare dalla veranda della sua splendida casa che aveva fatto costruire sul suo mare di Liguria del quale non poteva fare a meno, Tilda si chiese, con una leggera ansia, quale fosse il motivo di tanta urgenza e segretezza.
Guardò la sua moto spaziale/acquatica che dondolava dolcemente accanto alla casa e si accinse a prepararsi.
Conosceva le regole: l’abbigliamento doveva essere impeccabile: tailleur e tacco, minimo dieci che, per Tilda era il massimo dal momento che, normalmente, usava comode infradito e costume da bagno.
Seconda regola: la puntualità e su questo, The Boss era irremovibile.
Indossò un semplice tailleur color pesca che le donava una luce particolare al viso e faceva risaltare al massimo la sua perenne abbronzatura, un paio di sandali in tinta e una piccola pochette che completarono l’eleganza dell’abbigliamento. Si guardò nello specchio soddisfatta.
Poi, salì sul suo mezzo spaziale, muovendosi in po’ impacciata per colpa dei tacchi e partì come un razzo spaventando a morte uno stormo di gabbiani che stava pescando poco lontano.
Il cielo era limpido e terso e in meno di un’ora sorvolò il magnifico edificio in cristallo della WM Editions.
Lo ammirò dall’alto con un misto di soggezione e orgoglio.
Non era ancora scesa dal veicolo che le venne incontro un piccolo drone che la inquadrò con la telecamera a raggi infrarossi, la immortalò e la trasmise l’immagine al centro di controllo.
Tilda sospirò:
«Dopo l’entrata in vigore di queste maledette Leggi sulla Privacy non si può più fare nulla!»
«Dov’è finita la nostra presunta Libertà?»
Si diresse all’ingresso principale mentre si spalancavano le mirabili e gigantesche porte di cristallo.
L’atrio era enorme e stupendo! Sobbalzò osservando i molteplici schermi giganti che la stavano immortalando da ogni angolatura. Non era ancora riuscita ad abituarsi alle molteplici tecnologie adottate dalla WM Editions in fatto di sicurezza.
Le venne incontro un robot in livrea argento che le fece un leggero inchino e pronunciò con voce metallica:
«Benvenuta madame Falcon, The Boss e il suo staff la stanno aspettando nell’ufficio dell’attico presidenziale».
Tilda ebbe un attimo di esitazione e pensò:
«Tutto lo staff? Donata Village, Lawrence Center, Faber Paradise ???»
«Dove essere una cosa seria».
Seguì un po’ riluttante il robot e intravide Irina Minutova che parlava telefono in russo con brevi, secche e concise parole:
«C’è anche la Russa che, più che capirla, bisogna interpretarla, lei e le sue maledette frasi concise!»
Stava per entrare in ascensore quando vide, acquattata dietro a una colonna di cristallo, Milita Garcia, chiamata da tutti Dark Limits per la sua fissazione di scrivere romanzi gialli.
La conosceva abbastanza per realizzare che si stava buttando da sola in qualche avventura, in qualche vicolo cieco.
«Come si è conciata?».
« Camicione a fiori, un cappello a larga tesa?»
«Alla faccia dell’eleganza, questa è pazza!»
Tornò indietro spiazzando (almeno credeva), sia il drone che il robot che la stavano accompagnando, si avvicinò a Milita e la toccò su una spalla facendola sobbalzare:
«Ahhh! Oh, sei tu, Tilda, non ti avevo vista entrare!» biascicò contrariata.
«Proprio io, chi stai spiando questa volta?»
«Il tuo è un chiodo fisso!».
La osservò riflettendo che doveva mancarle una manciata di rotelle e, d’altronde, da una che blaterava “parole nel vento” e si lasciava “suggestionare” per qualsiasi cosa, c’era da aspettarselo.
(continua).
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