Capitolo diciottesimo

Non si era ancora spenta l’emozione del viaggio in Brasile che a Caterina capitò un’altra occasione: ebbe un rimborso dall’INPS, una bella cifretta.
Fosse stata la persona saggia di prima l’avrebbe subito messa in banca per il suo incerto futuro, invece decise di sperperarla in un’altra eccitante avventura.
Partì per New York con i suoi nipoti: i due ragazzi erano la compagnia ideale per visitare la Grande Mela.
Tiziana aveva ventitre anni e Fabrizio diciotto, era il primo viaggio intercontinentale per loro e si dimostrarono quei grandi viaggiatori che poi sarebbero diventati.
Caterina conosceva New York come le sue tasche: era sempre stata la sua grande passione ma a Giuseppe non interessava.
Atterrarono al Kennedy Airport e subito si sentirono immersi in un set cinematografico.
Un’umanità varia il più possibile, ogni mezzo di trasporto, i grattacieli sul fondo che sembravano nascere dall’acqua.
Presero un taxi, bastava un cenno della mano per fermarne uno e via, a Manhattan.
Attraversarono il Queens con tutte le sue casette colorate, il terrazzino con la sedia a dondolo, tanti neri per le strade, si infilarono in un tunnel che passava sotto l’East River e arrivarono in pieno centro.
Scesero allo Sheraton, il loro albergo, un grattacielo che nella Hall ospitava un mondo intero; con un ascensore che si fermava solo dal ventesimo piano in poi, raggiunsero la loro stanza.
Era una piazza d’armi, avrebbero potuto dormirci in dieci; tra
l’altro, fatta vedere la carta di credito, nessuno più ti controllava.
Caterina era talmente eccitata che nonostante il Jet Lag , voleva subito uscire alla scoperta della città, soprattutto dopo aver visto dalla finestra un camion dei pompieri, rosso, con l’altissima scala, come lo aveva visto spesso al cinema.
I nipoti, più ragionevoli, la costrinsero ad andare a letto.
Fu una settimana indimenticabile: batterono a tappeto ogni quartiere, musei, grattacieli, negozi, teatri, cinema, discoteche, mitici alberghi, le Torri Gemelle, i ponti.
Era facile girare per New York, non esistevano barriere architettoniche, tutto era semplice e i Newyorkesi gentili.
Per Caterina era più complicato far la spesa nel suo quartiere a Genova, avrebbe voluto vivere lì.
Dopo la domenica dedicata interamente al Central Park, il ritorno a casa e alla realtà.
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Juan Les Pins era l’ultima tappa della tournèe prima del ritorno a New York.
Terminato il Festival la Band aveva qualche giorno di riposo e così Wendy e Nelson decisero di approfittarne e di sposarsi.
Si erano innamorati della piazza di Antibes che al mattino era un mercato di frutta e verdura e alla sera centro della vita notturna.
Lì sorgeva l’Hotel De Ville dove si celebravano i matrimoni.
E fu davanti a un francese con la fascia tricolore e sotto la scritta Libertè, Egalitè , Fraternitè che Miss Wendy Walker diventò Misses Stone.
Festeggiarono alle “Vieux Murs” una terrazza sul mare di Antibes.
Con loro oltre agli amici di Nelson c’erano Jean Jacques e Simone, anche Jacqueline li aveva raggiunti.
Fu l’addio di Wendy agli amici francesi e alla Francia che l’aveva accolta e dove era diventata donna.
Durante il volo per New York Nelson non la finiva di parlare, raccontava a Wendy della sua casa, della sua famiglia, della sua vita temendo che Wendy non si sarebbe integrata ma lei era fiduciosa e non vedeva l’ora di arrivare.
L’aeroporto era immenso, controlli della Dogana scrupolosi, ma gli amici contraffattori avevano lavorato bene e entrò negli USA, la sua nuova patria.
Aveva con sé la sua chitarra, qualche vestito ma Nelson vicino a lei; dopo un lungo tragitto in taxi arrivarono a casa.
Lui aveva scelto di vivere ad Harlem che, culla del Jazz, era ormai un quartiere degradato, ma, ottimista com’era, Nelson sperava sarebbe tornato quello di un tempo.
Anche il nome della Band l’aveva scelto lui, come tributo a quella zona dove locali mitici come l’Apollo stavano chiudendo e gli abitanti erano portoricani, ebrei, italiani.
La casa era un loft, Wendy non ne aveva mai visto uno, situato, nonostante il quartiere, in una bella posizione sull’Hudson River e vicino al Riverside Park.
Entrarono in questo enorme stanzone, più che altro un capannone.
Wendy andò subito alla scoperta: una bicicletta vicino alla porta, buon segno, un angolo con pianoforte, batteria e vari strumenti tecnici, una vera sala di incisione, un altro angolo con bancone bar e sgabelli, su una parete un cestino da basket, in centro un biliardo, divani, poltrone, l’altra parete era una vetrata che dava su un cortile con qualche pianta trascurata.
Nelson si divertiva a guardare lo stupore negli occhi di Wendy, la prese in braccio, salì una scala e la portò al piano superiore, in camera da letto, dove inaugurarono la loro nuova casa.

Continua….