Difficile dire chi fosse stato.
La scena del delitto era stata sconvolta, sembrava che ci fosse passato un esercito di vandali: gli specialisti della scientifica avevano raccolto tutti gli elementi di loro interesse, ma avevano distrutto il quadro generale. Prima di loro, chi aveva trovato il cadavere aveva calpestato accuratamente tutto intorno, e i militi delle ambulanze avevano fatto il resto.
Il vice commissario si guardò in giro e alzò le spalle: la ragazza era stata uccisa a coltellate, l’assassino si era portato via l’arma del delitto ma sull’erba erano rimaste tracce di pneumatici che avrebbero potuto essere identificati. Questo significava che se il delitto era stato commesso, come succedeva di solito, nell’ambito familiare o in quello delle amicizie e delle conoscenze avrebbero trovato presto il responsabile, altrimenti ciccia.Intanto lui era rimasto lì con il cadavere, in attesa che il giudice ne disponesse la rimozione.

Pur con poche speranze di trovare qualcosa di utile, il poliziotto le girò intorno, studiandone la posizione. Si chinò a scrutarle il volto, quasi per capire cosa potesse avere provato quando il suo assassino infieriva su di lei, ma i suoi occhi erano spenti, aperti solo a fissare la notte.
Delicatamente, posò una mano sul suo viso, a sfiorare la pelle liscia e pallida, eburnea. Fredda.
I capelli neri, lisci, erano sporchi di sangue. Le ferite principali erano nella parte alta del torace e al collo. I medici avevano tagliato i vestiti per tentare un disperato intervento, ma tutto era stato inutile, probabilmente si era dissanguata in pochi minuti.
Il vice commissario si rialzò. La ragazza era giovane, forse meno di vent’anni. Era vestita normalmente, una camicetta bianca sotto un giubbino di finta pelle, una gonna corta ma non troppo, scarpe decolletè con il tacco alto. Niente che facesse pensare ad una prostituta, probabilmente era stata accompagnata all’uscita di un locale da qualcuno che poi aveva cercato di violentarla, ed era finita così. In fin dei conti era sabato sera, era probabile.

L’avrebbero preso, quasi sicuramente, anche se non fosse riuscito nel suo intento. Sicuramente sulla ragazza erano rimaste tracce del DNA dell’aggressore, per confermare i sospetti, ma altrettanto certamente c’erano testimoni, la polizia aveva i suoi informatori nel giro delle discoteche e a nessuno interessava che fatti del genere restassero impuniti.
Però lei era lì, morta, in quella nebbiosa notte d’autunno, a vent’anni.
Qualcuno avrebbe dovuto avvertire la sua famiglia, ci sarebbero state le solite scene di rabbia, di disperazione, che non l’avrebbero riguardata. Le avevano portato via la borsetta, non aveva documenti con sé, chissà, forse volevano ritardarne il riconoscimento, forse l’assassino aveva agito d’istinto, ma sentiva che era uno sfregio, l’ultimo.

Non importava, lei era arrivata al capolinea. Avrebbe dovuto sopportare la solita trafila, l’autopsia, il ricomponimento della salma, il funerale, poi sarebbe finita in una fossa, da sola, nel buio. A vent’anni. Per sempre.