L’aria rovente che proveniva dal deserto le bruciava il volto, ma la mancanza di umidità rendeva quella tremenda temperatura almeno sopportabile. Il trucco consisteva nel non scoprire la pelle e non agitarsi, indossando abiti di lana leggera per conservare la temperatura del corpo.

Cat conosceva tutto questo perché era stata folgorata sulla via di Damasco (per così dire, in realtà in una biblioteca di Los Angeles) dal romanzo di Bowles, e da allora non aveva fatto altro che documentarsi sul mondo del Sahara, trovandolo sempre più misterioso e affascinante.
Il desiderio di recarcisi personalmente si era fatto sempre più forte, ma riuscire a realizzare il suo sogno non si era rivelato altrettanto facile: i soldi, prima di tutto, che per lei che lavorava come commessa al Walmart erano sempre un problema, e poi, quando questo ostacolo era stato superato attraverso oculati risparmi e qualche lavoretto extra di cui non andava affatto fiera, le guerre locali, gli attentati e tutti gli inconvenienti che secondo la legge di Murphy potevano verificarsi si erano dati da fare per impedirle di realizzare il suo sogno.

Così gli anni erano passati e Cat da ragazzina sdolcinata e sognante era diventata una energica signora quarantenne determinata a vivere la sua avventura prima che la vecchiaia le impedisse ragionevolmente di immaginarla.
«In fondo» si diceva «anche se non mi chiamo Kit sono pur sempre Cat!» e giù ad immaginare scene di soccorsi e rapimenti tra le dune del deserto, segregazioni e amplessi sotto l’ombra di tende profumate dell’odore di olii essenziali e pelo di cammello.
Sì, perché se Cat non era molto diversa dalle donne americane ed era prontissima a mettere sotto le sue scarpe tacco dodici qualsiasi uomo, nelle sue fantasie indulgeva volentieri a situazioni vagamente masochistiche, purché ammantate da un alone di mistico mistero.

Così, dopo tanto sognare, si era ritrovata infine a far parte di quella spedizione ai margini del Sahara, ma con sua profonda delusione aveva presto scoperto che il tour di annoiati turisti americani aveva ben poco a che spartire con le atmosfere de Il the nel deserto.
«Logico!» si disse una sera in cui si accingeva ad andare a dormire dopo aver respinto le audaci advances di un suo settantenne compagno di viaggio «se continui a farti scarrozzare da queste mummie ambulanti come vuoi che ti capiti la Grande Avventura? Se questi vedono un Tuareg farsi incontro sul suo cammello come minimo devono cambiarsi di corsa il pannolone!»
Che poi i nomadi sahariani usassero i dromedari anziché i cammelli era un particolare a cui Cat non aveva mai dato importanza: per lei, come per buona parte degli americani, che quelle bestie puzzolenti avessero una gobba o due non era affatto interessante.

Così, un giorno della seconda settimana di ‘adventure tour’, Cat decise di fare di testa sua e finse di avere un tremendo mal di testa per restare in hotel.
Quando i suoi compagni e gli operatori furono partiti per il consueto giro tra musei e vestigia archeologiche, lei sgusciò fino al mercato all’aperto e si comprò dei vestiti locali, indossati i quali, con molta buona fantasia, poteva essere scambiata per una donna del posto o più verosimilmente per una turista americana che voleva girare in incognito, che era poi quello che lei desiderava.
Il passo successivo fu di recarsi al serraglio, dove aveva pensato di affittare un ‘cammello’, ma quando si trovò davanti ai dromedari e realizzò quanto fossero brutte e soprattutto alte quelle bestiacce si ridusse a più miti consigli e ripiegò sul noleggio di una autovettura, che sebbene presentasse le sue difficoltà perché aveva il cambio manuale, perlomeno aveva il sedile a distanza ragionevole dal terreno.
Raggiunta così la sua autonomia, a Cat non restava che decidere dove andare. Dalla cittadina in cui era alloggiata diverse strade sembravano inoltrarsi nel deserto, ma la macchina non aveva né GPS né navigatore, e d’altra parte la donna non avrebbe neanche saputo leggere una cartina.
Decise così di chiedere informazioni: si avvicinò ad un uomo che conduceva un asino per la cavezza e lo fermò.
«Scusi, da che parte è il Sahara?» chiese.
L’uomo la guardò stranito, non comprendendo una parola d’inglese, ma poiché era una persona che voleva farsi i fatti suoi e non intendeva mettersi nei guai con gli stranieri, specialmente se matti, alla seconda richiesta di Cat indicò la strada da cui proveniva, dicendo qualche parola senza senso pure in arabo.
Lei lo ringraziò con un bel sorriso e partì in una nuvola di polvere.

Purtroppo le speranze dell’americana andarono presto deluse: la strada correva in un paesaggio desolato, e né a destra né a sinistra si vedeva l’ombra di dune di sabbia, e tantomeno di beduini.
Intanto il sole le picchiava sulla testa e cominciava a farle rimpiangere l’aria condizionata del bus turistico, mentre la mancanza dell’autoradio contribuiva a peggiorare il suo umore.
Cat continuò la sua ricerca fino a quando la sera cominciò a calare sul deserto. Solo allora si rese conto che si era allontanata parecchio, e seppure a malincuore si decise a tornare all’’hotel.
Girò così la vettura, accese le luci e… scoprì che i fari non funzionavano. Soltanto le luci di posizione erano rimaste a segnalare la presenza dell’auto nella strada che si faceva sempre più buia.
Con il cuore in gola, spinta dalla paura e dal desiderio di levarsi da lì al più presto, Cat accelerò e si lanciò sulla via del ritorno, ma l’agitazione e la scarsa luce le giocarono presto un brutto scherzo: la macchina si accostò troppo al margine destro della strada in terra battuta, le ruote sprofondarono in un grosso buco e con una violenta sbandata l’auto si fermò sul bordo. Cat scese barcollando e nonostante la sua competenza in fatto di autovetture si limitasse alla considerazione ‘Funziona’ o ‘Non funziona’, la ruota anteriore che si era staccata e giaceva qualche metro più in là le disse che si era messa in un brutto guaio.
Si guardò intorno, sbigottita dalla vastità del deserto intorno a lei.
«Poco male» si disse per farsi coraggio «tra poco si renderanno conto che non sono rientrata e mi cercheranno. L’uomo che mi ha indicato la strada dirà da che parte sono andata e verranno qui. Poi non dicono che con i cellulari siamo sempre rintracciabili?»
Quest’ultima considerazione se la fece con minore convinzione, anche perché particamente da quando era partita il suo iphone non aveva campo.
«E poi» si disse ancora «se qui non c’è nessuno non corro alcun pericolo!»

Cat non era stupida – non completamente, almeno – e si rendeva conto che diceva così solo per rassicurarsi, ma cosa poteva fare, tutta sola nel deserto, con la notte che avanzava?

In previsione del viaggio si era portata da mangiare e da bere, ma non aveva pensato a torce elettriche o cose del genere, quindi l’unica fonte di illuminazione erano le luci della macchina, sempre più fioche. Con il cuore che si faceva ogni momento più piccolo, la donna si apprestò a stendersi di traverso sui sedili della vettura, che non aveva nemmeno gli schienali reclinabili, quando…
Forse era un miraggio, forse era un frutto della sua fantasia, ma cos’era quell’ombra che avanzava a cavallo, stagliata sull’orizzonte?
Cat si rialzò. Non c’era dubbio, era un cavaliere vestito di scuro! Un tuareg, forse? Possibile che, proprio quando pensava di avere fallito, il suo sogno si stesse per realizzare?
Per un attimo la donna ebbe un’esitazione: davvero era convinta di avere sognato quell’avventura? Ma fu solo il pensiero di un istante: certo che l’aveva sognata! Si alzò, si tolse dal capo il velo scuro, liberando i lunghi capelli biondi, scese dalla macchina e si avviò incontro al suo salvatore.
O rapitore? Beh, non importava molto, ormai era nel sogno. Fatti alcuni passi  si rammentò che dal tempo delle sue fantasie erano passati una ventina d’anni, così pensò bene di slacciarsi ancora un paio di bottoni della camicetta, giusto per ovviare con la quantità alla qualità su cui aveva qualche dubbio, e sfoderò un incerto sorriso.
In pochi minuti l’uomo fu davanti a lei.
Con il cuore in gola Cat vide che era proprio un nomade, elegantemente seduto sul suo altissimo dromedario, che portava anche due grosse some ai lati della gobba.
L’animale piegò le zampe anteriori e l’uomo scese a terra con eleganza, scoprendosi il capo con un gesto galante.
Cat si raddrizzò in tutto il suo metro e sessantacinque, maledicendo di non avere portato i tacchi, e sfoderò un seducente sorriso.
«Il cielo la manda!» cinguettò «la mia vettura si è guastata e sono dispersa in questo deserto! Per fortuna ho incontrato lei? Può aiutarmi?»
Nel dire queste la camicetta si era ulteriormente aperta ed era un po’ scivolata di lato, rivelando la spalla destra nuda.
L’uomo fece un ampio sorriso e scaricò una delle some dal dromedario.
«Ecco!» pensò Cat «adesso mi solleverà di peso e mi caricherà dietro di lui per portami alla sua tenda!»
Ma il beduino intanto aveva disteso a terra il bagaglio e l’aveva aperto all’incerta luce del tramonto, rivelando una quantità di cianfrusaglie.
«Ma… ma cosa significa tutto questo?» farfugliò lei, confusa.
«Tutto bello signora, tutto bello! Vu cumprà?»