Uno stralcio da altro

 

Nel  voltarsi per tornare indietro, ai piedi di una casupola di servizio notò un fagotto scuro a terra.

Che cavolo è, pensò. Sembrava un mucchio di stracci buttato lì in attesa di essere conferito in qualche cassonetto.

Però quella cosa si muoveva, allora la osservò meglio alla luce fioca e ballerina di un lampione che era sul punto di fulminarsi. Una voce biascicò: «Amico, hai da bere?»

Non aveva mai incontrato un clochard e, per quanto ne sapesse, doveva trattarsi di un individuo povero, sporco e spesso fuori di testa, una persona da evitare. Istintivamente ebbe l’impulso di ignorarlo e di andare via ma lo catturò il brillio di quegli occhi che spuntavano da sotto un berretto ‘i love NY’ calzato sulla fronte.

«No, però ho visto che c’è una fontana qua davanti alla stazione.» gli rispose.

«Fontana? Acqua? Amico, mica mi debbo fare il bagno!»

Un sorriso ironico era apparso tra la ragnatela di rughe di quel viso : «Vino, whisky, grappa … capisci?»

«Non bevo alcol, mi spiace.»

«Ah, vabbè, ma con un bel cicchetto ‘ bum bum’ avrei passata meglio la notte. Mi concilia il sonno e poi magari, che ne sai mai, sogno di fare l’amore con qualche donna bellissima.»

Rise, vedendo l’espressione imbarazzata di Vito.

«Ah ah… si vede che sei solo un pollastrello inesperto. Ne ho avute tante, da giovane. Che cavalcate mi sono fatto!»

Era davvero strano quel tipo e aveva decisamente voglia di chiacchierare. Vito taceva, allora l’altro: «Quanti anni hai, giovanotto?»

«Quasi diciotto.»

«E che fai qua?»

«Aspetto il treno per Bologna.»

L’uomo si era tirato su e  si era messo seduto, appoggiato al muro. Lo fissava in silenzio.

Si era  alzato un po’ di vento;  Vito rabbrividì dando la colpa ad esso.

La città iniziava a scivolare nel silenzio e tutto sembrava lontano e irreale.

C’erano solo lui e il clochard su quel marciapiede; il resto del mondo era niente, era al di là dei binari, nella notte.

C’era una sola domanda nell’aria: chi sei?

E il clochard gliela fece: «Chi sei?»

Questa domanda così diretta da parte di uno sconosciuto lo spiazzò; quel tipo che lo fissava con quello sguardo strano, sembrava essere capace di scardinare tutte le sue gracili difese mettendo a nudo le sue fragilità.

«Conosco tutti gli orari dei treni. Che ci fai qua due quasi due ore prima della partenza?», insistette l’uomo.

Vito provò a farfugliare una scusa dicendo che aveva sbagliato orario ma l’altro non gli credette.

«Ragazzo, ho capito: stai scappando da casa.»

Poi sospirò ed appoggiò la testa al muro, con lo sguardo rivolto in alto.

«Vedi, da ragazzo feci anch’io la tua scelta ma ho giocato male le mie carte, anzi, malissimo.» e lo guardò con un sorriso amaro.

«Stai attento ragazzo, la vita è un binario a percorrenza unica. Come ti chiami?»

«Vito.»

«Anche io. Che cosa buffa! Volevo trovare un mondo più libero, fare quel che mi pare, convinto che facilmente l’avrei trovato. Ma nessuno dà niente per niente, credimi. E tu cosa vuoi fare?»

Il silenzio imbarazzato di Vito era più che eloquente.

«Ragazzo, se non lo sai, avresti fatto meglio a startene a casa. Senza un programma chiaro sei fottuto.»

«Forse, con un po’ di fortuna…» provò a rispondere il giiovane.

 

«Bah! » scosse la testa il vecchio, «Allora, che dirti… buona vita, Vito» disse poi sorridendo all’involontario gioco di parole. Quindi scivolò giù e si riavvolse nella coperta come in un bozzolo.

Un bozzolo che non sarebbe mai diventato farfalla.

 

La conversazione sembrava conclusa e gli aveva lasciato addosso un senso di inquietudine ancora più forte ed insopportabile di quanto già non provasse prima.

Cazzo! Si disse, Che iettatore! Non sto mica scappando per un capriccio o per noia, io. Se dovrò lavorare duramente e sacrificarmi lo farò.

Si diresse quindi verso la sala d’attesa; lì sarebbe stato più comodo e, mentre camminava,  rifletté sulla stranezza di quell’incontro e su come quell’estraneo fosse stato capace di leggergli dentro più di tanti con cui aveva condiviso gran parte della vita.

Prima di entrare, si voltò ad osservare il punto in cui era avvenuto l’incontro, ma gli sembrò  che non ci fosse più nessuno. Forse quell’uomo se ne era andato a cercare un posto più comodo e riparato, forse non riusciva a vederlo a causa di quella luce ballerina che distorceva ed animava i contorni e le ombre delle cose. Forse era stato un sogno, una fantasia proiettata dal suo subconscio pieno di paura. Forse era sé stesso che, in uno strappo spazio temporale, era tornato ad ammonirlo affinché stesse ben attento nel giocare le proprie carte.  Quello avrebbe potuto essere davvero il proprio destino perché era molto probabile che avrebbe trovato mille ostacoli sul suo percorso.

In ogni caso, quel Vito lo aveva toccato dentro lasciandovi un segno indelebile che avrebbe ricordato per sempre.

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