Arnold era concentrato sul colore da usare per quell’angolo del viso che addolcisse  l’espressione un po’ amara del suo autoritratto.

Forse era solo una questione di luce che giungeva troppo di taglio o forse il tempo aveva lavorato scavando solchi ed imprimendo emozioni sul suo viso ma in ogni caso quello era il suo volto nello specchio e lui in effetti non era affatto sereno. Sarà stato forse per quella dolenzia al braccio sinistro che da un po’ sentiva o forse era per quella giornata uggiosa con il cielo carico di nuvole plumbee… Stava giusto per dare la pennellata quando sentì una ventata fredda alle spalle.

“ Debbo chiudere la finestra, il tempo si mette a pioggia”, pensò.

Alzò lo sguardo dalla tavolozza e la vide.

Un brivido lo percosse tutto: era lì, Thanatos,la figlia della Notte e lo osservava fissamente con le sue orbite cave in fondo alle quali guizzava una luce sinistra.

Urlò lasciando cadere ogni cosa.

La dolenzia si stava facendo dolore quando, con voce cupa e tono perentorio, lei chiese:

“ Perché tu, umano, riesci a vedermi? Nessuno mai ci è riuscito prima dal momento che se ci sono io non ci siete più voi”

Arnold stava tremando e si era aggrappato al cavalletto per non scivolare a terra.

“ Sei bravo e mi piacerebbe avere un mio ritratto da donare ad Ipno, mio fratello, colui che vi fa solo addormentare. “

Arnold ricominciò a respirare ed il suo cuore a battere più lentamente.

“ Si”, rispose con voce tremante,” Se vuoi ti farò un bellissimo ritratto ma sappi che sono assai scrupoloso e per far bene le cose mi occorre tempo, moooolto tempo, tantissimo tempo”.

Lei, pensierosa, si grattò il cranio con un dito adunco producendo, così, un rumore stridente da far accapponare la pelle. Poi disse:” Va bene ti concedo il tempo necessario a completare l’opera. C’è talmente tanto lavoro in giro che nessuno farà caso ad uno in più o ad uno in meno”.

“ Verrò da te ogni venerdì alle 17 per controllare”

Arnold annuì esageratamente e così fu.

Come si può ben intuire, l’ispirazione fu pigra a venire e le pennellate si susseguirono lente, lentissime, spesso errate e quindi da ritoccare.

Arrivava sempre puntale la Morte ma una volta c’era da aggiungere un particolare, una volta da cambiare un colore…insomma gli anni passarono e ne passarono così tanti che Arnold vide andarsene tutti, amici e parenti.

Era solo, ormai, e nessuno si prendeva cura di lui se non gli addetti all’ospizio dove s’era portato quell’unico quadro da completare.

A 110 anni il suo corpo stava cadendo letteralmente a pezzi perché, se da un lato aveva fermato Thanatos, non c’era riuscito con Geras, dio della vecchiaia dal passo inesorabile.

Oramai riservava le ultime flebili energie all’uso del pennello ed a dialogare concitato ogni venerdì con un’invisibile visitatore che doveva essere molto insistente a giudicare dalla sua espressione agitata.

Era l’alba di un venerdì di marzo quando si svegliò al canto degli uccelli e stranamente sereno.

Un raggio di tiepido sole filtrava dalla finestra e parlava di vita, rinascita, speranza ed allora capì che il suo innaturale lunghissimo inverno doveva finire.

Diede l’ ultima pennellata e serenamente si mise ad aspettare.