Arrivava come una folata di vento, un turbine che recava in sé odori nuovi, echi di un mondo per lei quasi estraneo.

Scombinava l’allineamento dei suoi pensieri, la verticale staticità delle sue certezze generandole uno stato d’instabilità emotiva mista ad ansia ma dal sapore dolce, tanto dolce da volercisi quasi affogare dentro, farne una scorpacciata, spalmarla addosso per conservarne l’odore.

Quell’istinto, quella voglia di sentirla, calda e profumata tra le sue braccia la spingeva a cercarne gli occhi, leggervi qualche risposta alle sue mille domande frenandosi nell’eccedere e piuttosto aspettando il momento in cui si sarebbe liberato il sorriso ed una luce calda avrebbe illuminato ogni cosa intorno.

Ma c’erano anche momenti in cui qualcosa di doloroso le separava, vedeva i suoi occhi farsi opachi dietro a pensieri alieni, figure sconosciute, eventi lontani che non conosceva. E allora la straziava non poter neppure allungare la mano per toglierle un solo granello di polvere addosso.

Non bastavano più le parole scherzose di un tempo, né carezze, né sorrisi.

Era ormai una donna, sua figlia.

Foto: lei