Mi sono svegliato con un dolore lancinante ad una gamba. Già soffrivo di terribili emicranie, causa della mia testa  che non era mai stata normale, avevo gli occhi incavati, e il mio bel naso aquilino ormai era un ricordo di gioventù.

L’aria intorno era fredda, umida, in una notte satura di nubi. Le stelle non erano sufficienti a illuminare il luogo dove mi trovavo: dovevo aspettare l’alba per cercare di ricordarmi perché ero lì. E chi ero.

Arrivò l’alba, a poco a poco le nubi si tinsero di rosee sfumature. Per i miei miseri occhi fu luce su una piazza desolata, che non riuscivo a distinguere. Ero disteso per terra, provai a sollevarmi, ma senza un arto non riuscii nell’intento. Mi guardai intorno con i miei occhi incavati, alla ricerca di qualcosa che mi apparteneva. Vidi solo pezzi di marmo sparpagliati, e un rivolo rosso di sangue che scorreva sul viso del mio amico in piazza. Provai a chiamarlo ma non mi rispose.

La piazza di lì a poco fu presa d’assalto da gente curiosa e arrabbiata. Udii una sirena avvicinarsi – meno male –
pensai, hanno chiamato i soccorsi.

Che calvario che fu quel giorno, mi ritrovai in un immenso ospedale, ritrovai lì i miei amici di un tempo che fu. Tutti ammucchiati giacevano inermi, moncati, mancavano arti, teste ed erano deturpati da colorati spray.

Di lì a poco mi resi conto chi io fossi, e di cosa mi fosse successo.

Individui sconosciuti avevano scatenato la loro aggressività verso di noi, capolavori artistici.