Saverio
Le fotografie sparse sul tavolo lo guardano severe. Disapprovano. Qualcuna è caduta in terra, vorrebbe raccoglierla ma le sue ginocchia malandate non glielo consentono. La cartilagine si è consumata, colpa dell’artrosi e del lavoro di una vita. Il dottore ha detto che dovrebbe farsi operare, sostituire le rotule con protesi di titanio.
“Che le servono due ginocchia nuove? Per andare dove? Con chi?”, pensa con amarezza.
Non si fa la barba da settimane ormai, tanto… chi lo deve vedere? Lei se n’è andata, senza avvisare, senza chiedergli il permesso. L’ha lasciato solo. E lui non è capace a stare solo. Alla solitudine devi essere preparato.
Il telefono ha smesso di squillare. Anche gli amici si sono arresi.
Non è né giovane né vecchio. Sessantacinque anni, secondo la sua carta d’identità.
Fra non più di due settimane il mondo festeggerà l’arrivo del terzo millennio e i Maya hanno previsto che sarà la fine di tutto. Immani sconvolgimenti ambientali devasteranno la terra.
Lui aspetta.
Aspetta che tutto sia resettato.
Si è alzato un vento gelido e una persiana batte insistente distogliendolo dai suoi pensieri.
La legna nel camino ha smesso di ardere, i ciocchi spenti gli ipnotizzano lo sguardo. Fuori, da qualche parte, la musica struggente e passionale di Libertango di Astor Piazzolla lo riporta indietro nel tempo straziandogli il cuore.
Guarda la vecchia poltrona di pelle che lo ha sempre accolto come un figlio. Sul tavolino a fianco una tazza di latte ormai freddo. Il cattivo odore di qualcosa che sta marcendo in cucina ammorba l’aria diffondendosi in tutta la casa. Ma a lui non importa, non importa più di niente. Lei. Reeina. Solo lei nei suoi pensieri. E la rabbia, la delusione.
Vaga per la stanza come un pazzo. Poi si ferma, sfinito, e si arrende ai ricordi. La sua vita sta tutta lì su quel tavolo, impressa in quegli scatti.
Poche foto di lui bambino, il battesimo, la comunione, ma quella che più gli è cara lo ritrae alla recita della scuola, vestito da gladiatore romano, mentre brandisce una spada di cartone con l’elsa tenuta su da due giri di spago. Dietro c’è scritto: “Saverio festa di fine anno scolastico 1943.” Aveva 8 anni.
L’aveva scattata il fotografo Don Lorenzo detto “Chierica”, per il particolare taglio di capelli alla francescana, un voto fatto a Sant’Antonio per averlo fatto guarire dall’influenza spagnola.
Se lo ricorda ancora quel giorno. Lui e i suoi compagni si erano messi in posa sgomitando per guadagnarsi la prima fila. A un certo punto il maestro persa la pazienza aveva cominciato a tirare manrovesci a destra e a manca. Qualcuno si era messo a piangere mentre il fotografo urlava: “Sorridete!”
Fotografie. Frammenti di vita catturati da fotogrammi che ti spingono indietro e ti proiettano in altri tempi, in altri luoghi. E sono solo bei ricordi. Perché le foto si fanno solo per le cose belle, quelle che non vuoi perdere, quelle che esisteranno anche dopo di te, quelle che vai a cercare quando la mente vacilla, quando il cuore fa male.
E poi… lui grande, la prima moto, il duomo di Milano, gli amici, Reeina.
Reeina che ride, che fa le boccacce, Reeina col suo abito bianco, Reeina che promette “per sempre”…
-Perché?- si chiede, -perché?-
Si sente svuotato, senza peso.
Con lo sguardo tocca ogni singolo oggetto che le apparteneva. Anche i suoi abiti sono ancora là. Fanno capolino da un’anta aperta dell’armadio. Neanche quelli si è portata via. Aveva fretta di andarsene.
Stupido, mille volte stupido!
Trent’anni. Tanto erano stati insieme. E lui l’amava come il primo giorno.
“Promettimi che non ci lasceremo mai, promettimelo Saverio!”
Quante volte glielo aveva detto?
E lui glielo aveva promesso. Aveva mantenuto, lui!
Poi era successa quella cosa.
“Sono stanca, vado a dormire”, gli aveva detto.
Lui si era attardato a sfogliare l’album di fotografie. Dopo averle sparpagliate sul tavolo della sala aveva cercato di darle un ordine. Il tepore del camino e un bicchiere di latte caldo a fargli compagnia. Poi la stanchezza aveva avuto il sopravvento ed era andato a letto lasciando tutto come stava. Il mattino seguente si era alzato presto ed era uscito a fare la solita passeggiata domenicale.
-Faccia delle belle camminate e mantenga un’andatura come se stesse per perdere l’autobus-, gli aveva consigliato l’ortopedico.
Non era un sacrificio per lui, camminare gli piaceva. Avevano avuto la fortuna di abitare in prossimità del lago di Como e il paesaggio a quell’ora del mattino aveva un fascino irresistibile.
Nonostante il freddo pungente si era fermato a sedere su una panchina a godersi quella pace in compagnia di una brezza leggera e di due splendidi germani che scivolavano sull’acqua quasi immobile.
D’un tratto aveva avvertito una vertigine, un senso di vuoto, uno strano dolore al petto.
Per un attimo il paesaggio aveva perso i contorni. I colori, sfumati, erano diventati un tutt’uno con il cielo, compatto e lattiginoso.
Un istante, un secolo, non avrebbe saputo quantificare il lasso di tempo intercorso tra il malore e la piena coscienza di se.
“Calo di zuccheri”, aveva pensato, visto che non aveva fatto colazione.
Aveva guardato l’orologio le lancette erano ferme alle 7:30. Aveva deciso di tornare a casa.
La strada di ritorno era stranamente affollata per una domenica mattina di Novembre.
Si era sentito come un salmone che risale la corrente mentre un fiume di gente gli scorreva a fianco.
Avrebbe voluto fermare qualcuno e chiedergli il motivo di tanto movimento ma qualcosa di invisibile lo spingeva irresistibilmente verso casa.
Tutto era accaduto in una manciata di secondi.
Era quasi arrivato quando aveva visto Reeina abbracciata ad un uomo. O meglio, era lui che l’abbracciava. Le cingeva le spalle con ostentata possessività e lei scarmigliata e ansiosa di andare si lasciava condurre abbandonandosi a quelle braccia muscolose e forti.
L’aveva chiamata, anzi, aveva urlato il suo nome, ma il suono della sua voce si era perso nell’aria.
I vicini affacciati alla finestra in pigiama e infreddoliti avevano assistito alla scena.
Sinceramente addolorati e inconsapevoli che lui li stesse ascoltando lo avevano commiserato: “Povero Saverio, non se lo meritava.”
-Allora anche loro sapevano, dunque! Chissà da quant’è che la storia andava avanti.
Rabbia, dolore, umiliazione. Inchiodato al suolo, impotente, si era accasciato dentro. Un sacco vuoto ripiegato su se stesso. In lontananza il suono delle sirene a ferire il silenzio del mattino.
Tutto tace ora. In casa regna un oblio irreale, i rumori esterni arrivano ovattati fino a scomparire del tutto.
Il tempo scandito dall’orologio a muro si beffa di lui, segna ore impossibili. Quanto tempo è passato? Dovrebbe andare via ma qualcosa lo trattiene. E’ ancorato alla sua casa, i suoi muri sono impregnati di ricordi, di risate. Così rimane fermo, statico, in attesa.
Avverte qualcosa alle sue spalle, una presenza lieve, come un battito d’ali.
Non ha bisogno di voltarsi per capire chi è. La sente.
L’universo si capovolge e la consapevolezza arriva come un pugno nello stomaco. Finalmente capisce.
Come ha potuto dubitare di lei?
Si vergogna. Tutto è chiaro, ora. Fa per dirglielo ma lei gli appoggia dolcemente un dito sulle labbra, sorride, lo prende per mano ed escono nel sole. E come in un film montato al contrario rivede le ultime scene della sua vita. Lui che ha un infarto, lui che vede il suo corpo dall’alto, la gente, le urla, un unico pensiero: Reeina.
Reeina e la sua angoscia a seguito della notizia appresa da un funzionario di polizia. Reeina pazza di dolore che si regge a stento sulle gambe, spettinata e folle sorretta dal poliziotto. Reeina e il suo cuore che non regge quando arriva in riva al lago e lo vede privo di vita. Le ambulanze, la corsa inutile all’ospedale… e di nuovo insieme. Danzano sull’acqua ora, volteggiano leggeri…
Solo due germani se ne accorgono.
Patrizia