Il tassista aveva una barba a pizzo, una reticella sui capelli ed un codino legato con un nastro bianco. La barba poteva anche andare, ma il codino no, mai e poi mai. Liliana non aveva mai sopportato gli uomini che si legavano i capelli. Il codino – o la coda di cavallo, era lo stesso – le ispirava diffidenza e, persino, repulsione. Era così, senza un motivo preciso; una reazione tanto istintiva quanto razionalmente immotivata.
La reticella ed il nastro bianco poi… chiaro che eravamo davanti ad una lampante forma di esibizionismo. In ogni caso non era questo il punto. Fosse ben chiaro: per lei ciascuno era libero di conciarsi più o meno come voleva, per carità. Tuttavia si sentiva altrettanto libera di provare un rifiuto che era giusto definire viscerale, visto che le partiva proprio dallo stomaco e col quale, anche volendo, sarebbe stato impossibile, da parte sua, venire a patti.
Ovviamente s’era tenuta per sé il giudizio, e cercato di nascondere il disgusto. Forse con una punta di ostentata indifferenza s’era limitata a dare l’indirizzo ove voleva essere accompagnata. Da parte del codino era partito una sorta di grugnito che, lei immaginava, stava a significare una qualche forma di assenso visto ch’era stato immediatamente seguito dall’avvio del tassametro e dalla partenza del mezzo.
La giornata era radiosa, benché invernale e fredda. La luce pareva quasi esplodere sui colori delle case: Roma non era cambiata granché dall’ultima volta che c’era stata, benché di tempo ne fosse passato molto, a dire il vero. Nemmeno ricordava quanto, o forse non aveva nemmeno voglia di star lì a contare i mesi… sarebbe stato meglio dire anni. Non importava. Per Liliana quell’aria caotica che un tempo l’aveva persino disgustata, ora assumeva un sapore speciale, diverso, quasi esotico. Probabilmente era l’abitudine al grigiore delle nebbie del nord europeo a dare un senso speciale alle immagini che scorrevano dietro il vetro del finestrino.
Un film, ecco, era come vivere dentro un film, attraversare vie e piazze, quel che restava di antiche grandezze, che fosse una colonna, una fontana, un fregio sfarzoso sopra un portone. La luce pareva donare nuovo vigore ad ogni angolo e lei si sentiva come affogare in echi confusi eppur dolci, affettuosi, suadenti a modo loro. Sapeva di portarsi dentro quella città, era conscia di non aver mai saputo risolvere il nodo che la legava al proprio passato; quello che non s’aspettava era il fatto che ogni vecchio rancore paresse ora svanire ed ogni paura venisse in qualche modo metabolizzata. Dell’antica rabbia le restava dentro appena una sorta di stanca abitudine: neanche fosse in uno di quei caldi ed asfissianti pomeriggi estivi di una volta, quando in quella città stava diventando donna. Ed in cui, per sfuggire all’afa, finiva per lasciarsi andare ad una sorta di apatico dormiveglia, cullato dal canto stridulo delle cicale e dagli occasionali trilli delle rondini lanciate nei voli pazzi sulle tegole rosse degli antichi tetti.
Meno male, in un certo senso, che quell’avanzare a singhiozzo del taxi, mentre cercava di guadagnare metro su metro nel caos del traffico, le impedisse di lasciarsi andare del tutto a quella malia che pareva calata in lei dacché l’auto s’era avviata.
Si mise a guardare il codino del tassista, cercando in qualche modo di riprendere contatto con la realtà. L’uomo guidava impassibile: quel caos pareva non toccarlo. Magari era giusto una questione d’assuefazione, certo. Probabilmente era straniero, si disse Liliana, pure se quello strano acconciarsi da solo non giustificava certo la conclusione della donna. Roma di certo era sempre stata una città pronta ad accogliere nel suo seno le stranezze che gli umani avevano via via collezionato nel lungo corso della lunga storia. Non c’era quindi di che sorprendersi e già ai tempi in cui lei viveva in quelle strade era facile incontrare tipi originali e bizzarri. Ricordava altre capigliature dalle forme e colori improbabili, tatuaggi osceni, piercing degni delle famigerate torture medioevali… non era per nulla insolito sbatterci il naso in giro per la città. Per conto suo, appunto, non aveva mai digerito quelle mode, né mai ne era stata tentata, al di là del fatto che fossero, almeno allora, patrimonio dei giovanissimi. E Liliana, già allora, tanto giovane non lo era più.
Col tempo il rifiuto era sì cresciuto ma, al tempo stesso s’era stemperato in una sorta di forzata rassegnazione: c’era spazio per tutti, in qualche modo, no?
Ora però non sapeva dire cosa ci fosse di magnetico in quel codino. Perché adesso si rendeva conto di averlo sottovalutato. E che, profittando della sua distrazione, quella sorta di appendice aveva operato come una specie di magico pendolo sui suoi sensi e quel viaggio stava diventando un qualcosa di imprevisto ed esoterico. Doveva per forza essere stato lui, quel ridicolo ciuffo di capelli, ad averla prima inconsciamente attirata nel taxi. Ed ora si stava, piano piano, impadronendo dei suoi pensieri. Il languore che le stava invadendo le vene era una droga lieve che via via prendeva possesso del suo respiro e della sua volontà, spingendola a lasciarsi andare in un abbandono, una resa totale ed assoluta. Ma che diavolo stava accadendo, benedetto iddio?
Non le riusciva di capirlo ma con certezza assoluta sapeva che doveva liberarsi di quella malia, reagire, rompere l’incantesimo, prima che fosse troppo tardi. Ne fosse responsabile l’uomo alla guida o, più probabilmente, quella città che continuava a stregarla, poco importava. Non poteva accettare il gioco: ne era già fuggita una volta, ora lo ricordava con chiarezza, ed era perché sapeva che l’avrebbe svuotata e annullata. Tornare era stata una leggerezza, anzi un vero e proprio errore.
D’accordo, era stata costretta a salire sull’aereo: sua madre, l’ultimo legame col passato, tutto quel che restava della sua famiglia, se n’era andata all’improvviso, nel sonno. Qualcuno doveva pur occuparsene. Così s’era detta che ormai il passato era passato, buttato alle spalle e lei al sicuro, non più attaccabile dai vecchi fantasmi. Soprattutto, ora cercava di ribadirselo, il suo era un biglietto di andata e ritorno, non doveva dimenticarlo.
Ma poi quel maledetto codino… tutto era stato rimesso in gioco. Ed ora le sembrava di fluttuare leggera tra quelle braccia che un tempo l’avevano di certo cullata. Non poteva ricordarlo, ovvio; ma ne era certa perché tutto si poteva, volendo, negare, ma non certo l’affetto di sua madre. Mai cessato, neppure quando Liliana, senza dare spiegazioni, era fuggita via dalla casa dove con la madre aveva diviso una vita per nulla semplice. Quella cioè di una donna che aveva una figlia senza essere mai stata sposata. Il padre di Eliana aveva già un’altra famiglia e non intendeva lasciarla, ma non rinunciava neppure alla sua bella amante. E quella figlia non l’aveva mai riconosciuta.
Liliana ricordava ancora le paure della madre, la sua solitudine, i pianti che avevano diviso, la vergogna di cui non riusciva a liberarsi, quell’essere additata in giro come una puttana e come tale spesso trattata. E per lei il dolore continuo e sordo di non poter avere un padre. S’era ribellata. Era fuggita, lasciando sola la madre. Cercando di cancellare dentro il senso di colpa per questa scelta quasi disumana che però l’aveva salvata da una vita grigia ed anonima.
Ora la madre aveva smesso di sognare una vita diversa e nemmeno alla fine, almeno che lei sapesse, quell’uomo arido ed egoista aveva trovato tempo e modo di fare qualcosa per la donna che, assurdamente e contro ogni logica, l’aveva amato senza sosta per tutta la vita. Questo era il triste e grigio passato, legato indissolubilmente a quella città vanitosa e spietata, alle strade che scoppiavano di vita, agli angoli silenziosi dove la storia si raccontava instancabile, ai portoni ch’echeggiavano sussurri misteriosi, ai muri sbreccati dalle armi e dal tempo, alla luce che rimbalzava sulle finestre senza far rumore.
Doveva dire al codino che aveva cambiato idea, che la riportasse in aeroporto, che non poteva farcela, che aveva sopravvalutato le sue forze e che, soprattutto smettesse di tenerla prigioniera in quell’auto destinata a viaggiare nel tempo.
«Siamo arrivati, signora. Fanno 15 euro e cinquanta…». Il codino era ora sparito ed il tassista s’era girato guardandola con un’aria a mezzo tra il divertito ed il compassionevole. Qualcuno intanto aveva aperto lo sportello per farla scendere. Un uomo piuttosto anziano, magrissimo, quasi perso nel suo completo nero, con i capelli bianchissimi, lunghi e legati in una coda di cavallo, sorridendole aveva allungato una mano come ad offrirle aiuto. Era la prima volta che suo padre le sorrideva.
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