Un’oretta di autostrada e poi la provinciale che s’addentrava tra i colli … ancora una trentina di chilometri di strade zigzaganti nel verde… ed ora eccolo lì più o meno com’era nei suoi ricordi ma più cadente, ferito e trascurato a causa dei mille abbandoni da parte dei suoi mille figli sparsi nel mondo.

Orgoglioso nella sua secolare immobilità che ne aveva conservate le forme aggraziate e raccolte dentro le mura di cinta poste su di un colle immerso tra colli, lontano dalla vita che pulsa, troppo piccolo e troppo privo di tutto.

Lo ricordava com’era allora: pieno di vita, di ragazzini suoi coetanei con cui inventarsi giochi col niente che c’era, di figure arcaiche dai caratteri marcati, dai volti segnati, cotti dal sole, mani callose ma generose e pulite.

Lì si che si sapeva dove inizia e finisce il sentiero! C’era un perché a quasi tutte le cose e se ne conosceva la causa, nessuno soffriva di quel buco allo stomaco generato da provvisorietà ed incertezza, l’esistenza era scandita da ritmi antichi, pacati e certi.

La memoria, poi, era cosa preziosa, consegnata dai vecchi all’ombra di pomeriggi assolati in narrazioni infinite dai toni epici, ogni volta più ricche di particolari, al limite della leggenda.

E lei era tutto questo, era quell’aria, quei vicoli, quelle voci e quei volti.

Lo era anche se lo aveva sempre negato.

Già! La città l’aveva inghiottita e stordita e lei s’era adeguata perdendo col tempo i contatti con cose e persone di lì. E come lei, tantissimi altri che se n’erano andati via dal paese; chi a Roma, chi a Milano, ad Ancona, Fermo…per ritornare poi solo d’estate a trovare i parenti restati, sempre più vecchi e sempre meno numerosi.

Così, oramai non c’era quasi più nessuno quando era arrivato quel fortissimo sisma; non c’erano stati feriti ma aveva rappresentato il colpo di grazia ad una lenta agonia. Che sapesse, nessun telegiornale aveva menzionato Sant’Ubaldo in Aso eppure era stato dichiarato totalmente inagibile ed interdetto.

Ed ora eccolo davanti ai suoi occhi, apparentemente intatto ma profondamente ferito, immerso in un silenzio per lei pieno di voci, di ombre guizzanti che le richiamano alla memoria figure amiche: Marietta, Ada, Arturo, Pippì, Paniccia, Nannì…

Quanto di lei era ancora lì e quanto di esso era sedimentato nelle sue cellule!

E dove mai erano finiti tutti loro… in quale sacca del tempo avevano trovato rifugio?

Il suo sguardo correva alla piazzetta teatro principale dei suoi giochi, al campanile da salire di nascosto di Don Alfonso, alla fila d’ippocastani sui cui tronchi le cicale cantavano ossessive nei pomeriggi estivi…

Ed ora più nessuno, tutto era fermo lì, raggelato nel tempo…

Poi, una voce: “ Dai, mamma, che noia qua! Andiamo via?”

E già! Quella rappresentava solo una sosta per sua figlia e forse, pensò, avrebbe fatto bene a renderla partecipe di un po’ dei suoi ricordi prima di giungere lì.

Si, durante il tragitto del ritorno le avrebbe raccontato di quella bambina lontana, lontana nel tempo e della sua vita.

Poi, Giulia era salita in auto per andarsene via ancora una volta mentre qualcosa di sordo, amaro e dolente le stava pulsando dentro.

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(Foto dal web del vero paese di cui sopra si parla ed avente altro nome, però.)