La quiete di questi giorni reca un buio presentimento di caos imminente.
Sono come un animale che fiuta nel vento l’odore dell’incendio che si sta avvicinando, eppure si ostina a non lasciare la tana dentro la quale potrebbe, fatalmente, rimanere intrappolato.
Come una sentinella, in stato di allerta, presidio il mio perimetro.
Ma fuori, nell’immobilità del paesaggio, c’è solo il silenzio neutro dell’autunno.
Ed il percorso tracciato dalle orme, solitarie e consecutive, dei miei piedi.
La conta dei passi.
E l’ossessione del tempo.
E questa cupa quiete che incombe come un presagio ineluttabile.
Eppure, dentro questo abito mattutino, leggero per la stagione e per i miei anni, mi sento nuova.
Ed intatta.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, non più provvisoria.
Non ho bisogno di guardarmi allo specchio per vedermi.
Capelli, occhi, labbra, mani, gambe, ventre.
L’odore glabro della pelle.
E quello tenue dei capelli.
Le rughe sottili.
E le mani sciupate.
Tutto nitidamente mi appartiene.
Tutto è parte di me.
Della donna che sono.
Questo rifletto mentre vigilo, tremando di freddo, nel vestito troppo leggero.
Ma è un abito nuovo, e talmente bello, che vale la pena soffrire questo patimento.
E la vanità della femmina ha avuto il sopravvento sulle esigenze della sentinella.
Così oggi indosso quest’abito lieve, come un respiro dell’aria.
Senz’altra corazza.
Senz’altro ingegno.
Per sfidare il destino.
Che, alla fine, vorrei degno di questo vestito.