Riscontri e deduzioni
L’esame autoptico stabilì che la morte era stata causata da un solo colpo inferto a recidere l’arteria polmonare, con le conseguenze inevitabili di una emorragia: Jacopo Imperiale era deceduto, quindi, per dissanguamento dopo una breve agonia.
– Breve, quanto? – aveva chiesto tra le lacrime la giovanissima vedova.
– Neppure il tempo di ricordare un ultimo verso. Non ha troppo sofferto – l’aveva rassicurata il commissario Sangemini, perché l’esperienza gli aveva insegnato che i vivi, per continuare a vivere, hanno bisogno di credere nella clemenza della morte anche quando questa ha brutalmente aggredito con la punta aguzza di un coltello.
– Quanta forza è occorsa per far penetrare tra la strettura delle costole, la lama del coltello?- aveva domandato il commissario al medico legale.
– Non necessariamente una forza sovrumana, se l’arma è ben affilata come questa, e se la mano che l’impugna è ben motivata. Così come sembra – aveva stabilito l’altro.
Quindi, ad ucciderlo, poteva essere stata anche una donna.
Delitto scaturito dalla passione e non dalla predeterminazione.
E come potrebbe essere altrimenti?
Si tratta in definitiva di un poeta, un uomo capace di destar sentimenti tumultuosi e controversi. Un uomo d’acume e di successo, omaggiato ed invidiato, appartenente a quella categoria superiore a cui tutto è concesso, perfino i controsensi, come questo recente matrimonio con un’adolescente che, di certo, lo avrà sposato per il suo patrimonio. Lei e quella sua terribile mamma che riempie i rotocalchi con le sue rocambolesche avventure amorose. Due vedove nere, mi si perdoni l’humor, se la più giovane poi lo è diventata davvero, e a così breve tempo dalle nozze.
Ed ora si sarebbe aperta la fase degli interrogatori, dove avrebbe dovuto vagliare i particolari e cercare riscontro agli alibi: quella fase dove anche lo spostamento di una virgola all’interno di un verbale avrebbe potuto tramutare un’ affermazione in dubbio.
Il commissario Guerrino Sangemini maledisse sé stesso per non aver dato retta, tanti anni prima, a quel ragionevole istinto che gli aveva suggerito di laurearsi in archeologia, dove la ricerca della verità sugli eventi del passato è molto più semplice di quella sugli accadimenti del presente.
Un indizio
L’assassino indossava una sciarpa bianca.
Questo l’indizio che l’anonimo balbuziente aveva svelato, con una seconda telefonata, alla centrale di polizia.
Qualcosa di cui sparlare
I media, come da copione, si erano scaraventati come avvoltoi sul succulento cadavere del poeta, sezionandolo.
Ora che Jacopo Imperiale era morto nulla gli sarebbe stato risparmiato, soprattutto da chi in vita lo aveva adulato per opportunità o manierismo.
Le condoglianze vennero presto accantonate a favore di particolari inediti e piccanti che, pur se non ce ne fossero stati, si sarebbe provveduto con solerzia a fabbricarne, insinuando dubbi e modificando verità.
Alla fine non importava davvero a nessuno, almeno non nel modo più onesto, chi era stato e cosa aveva rappresentato Jacopo Imperiale, gloria nazionale di fama mondiale, seppellito sotto quintali d’illazioni.
I critici, pur continuando ad osannarlo come una delle stelle più luminose nel firmamento dei poeti, non dimenticavano di sottolineare che quella luce, dopo quel matrimonio bizzarro, si era andata notevolmente affievolendo, tanto che la sua ultima opera era stata definita, con verdetto unanime, un’antologia di filastrocche per liceali.
Gli amici lo rammentavano generoso ed empatico, che il successo mondiale non lo aveva reso arrogante né irraggiungibile, tranne forse negli ultimi tempi, che quel matrimonio così poco consono alla sua biografia lo aveva allontanato da tutti coloro che invano si erano spesi per farlo ragionare ed impedirgli una simile bizzarria.
A questo coro mancavano le voci dei familiari che Jacopo Imperiale più non aveva, per sua sfortuna o fortuna, che nel dubbio ci viene da congetturare chissà quali altre inique sperequazioni si sarebbero aggiunte a quelle già formulate.
Interrogativi e risoluzioni
Cosa fare?
Con chi consigliarsi?
Questi gli angosciosi interrogativi che s’agitavano nella testa di Oliviero Piscopo.
Ricordava poco della dinamica della notte trascorsa, quando secondo il suo solito aveva scavalcato il cancello del parco comunale per abbreviare il tragitto verso casa, e subito dopo era caduto su quel corpo steso a terra.
Era troppo buio, e lui troppo incosciente, per vedere e ricordare di più.
Se non ci fosse stata la sciarpa bianca macchiata di sangue avrebbe potuto benissimo archiviare il tutto come un brutto sogno.
Ma la sciarpa era lì, stesa sul bracciolo, a ricordargli che l’incubo era reale.
Distruggere la sciarpa e far perdere le proprie tracce, questa gli parve l’unica soluzione possibile.
Con questa risoluzione s’impose la calma, immaginando di avere ancora un po’ di tempo per porre, in qualche modo, rimedio a quell’orribile situazione.
Di stupidaggini ne aveva fatte tante nella vita, ma mai quella di macchiarsi di un simile crimine.
Accese la tv per sentire i notiziari del mattino e sapere chi era il morto, sperando che non fosse qualcuno di sua conoscenza.
Eh sì che di gente ne frequentava, soprattutto balordi, e di quel genere che benissimo possono finire ammazzati.
Quest’ultima constatazione lo sospinse di nuovo nell’angoscia.
Ma lui, in definitiva, cosa aveva da temere?
Era stato fino a tarda notte ad una mega festa dove molti lo avevano visto e dove,poco prima di andarsene, aveva fatto sesso con la moglie del padrone di casa, che avrebbe potuto chiamare in causa se le necessità lo esigevano, perché davanti ad un imbroglio così grande c’era poco da esser gentiluomini. E lui di sicuro preferiva il ruolo del fedifrago a quello dell’assassino: in definitiva non aveva nessuna reputazione da salvare, tranne quella della sua innocenza.
Prima di tutto occorreva far sparire la sciarpa, e dal momento che il suo monolocale era sprovvisto di un camino la cacciò in una busta di plastica che avrebbe riempito con delle pietre e poi gettato nel lago.
Chi fosse il cadavere su cui lui era caduto scavalcando il cancello lo aveva saputo dal telegiornale, e il poeta Jacopo Imperiale non rientrava tra le sue conoscenze. Tanto meno tra le sue frequentazioni.
Tra loro due non esisteva alcun legame che potesse in qualche modo ascriverlo tra i sospettati.
Nessun legame. Nessun movente.
In una nitida sequenza al rallentatore rivide se stesso nell’atto di scavalcare il cancello e poi cadere sull’uomo inerte. Rivisse la sensazione dell’affondo della lama nell’impatto della sua caduta sul corpo.Rivide gli occhi spalancati del morto che fissavano un punto remoto. E poi le sue mani contratte sul manico del coltello.
C’era quindi qualcosa di più serio di cui preoccuparsi che di una sciarpa sporca di sangue: le sue impronte.
E, a ben pensarci, forse non ci sarebbe stato bisogno di un vero movente per incastrare uno come lui.
A quella rivelazione l’angoscia dai visceri gli salì alla gola.
Oliviero Piscopo vomitò tutti gli eccessi della festa: cibo, alcool, fumo e droghe. E in ultimo anche l’odore della donna che gli si era concessa.