Informazioni utili di sopravvivenza, ossia, come affrontare la vita con il sorriso!
Prima regola: non perdere tempo.
La mia giornata tipo è una lotta contro il tempo; mi alzo tra le cinque trenta e le sei quasi ogni mattina.
Appena sveglia, il mio incedere è come quello di uno zombi, ho gli occhi pesti e stanchi, i cappelli, simili alla criniera arruffata di un leone arrabbiato.
Caffè, un giretto veloce su Facebook per salutare gli amici ma, senza esagerare, l’orologio è seccato:
«Che cosa fai? Stai perdendo tempo!».
Per adesso la casa è silenziosa, tutti dormono, persino il cane non si è ancora fatto vivo ed io ho bisogno di questo momento tutto mio per iniziare bene la giornata.
Seconda regola: partire con il piede giusto.
Sei e trenta: spunta mia figlia, è in pigiama, la sua faccia è peggiore della mia, compresa la giornata che ha davanti; ci salutiamo appena, niente di clamoroso; diamine, il risveglio è sempre doloroso.
Lei, da quasi un anno, vive con me, con una figlia di nove anni che si è portata dietro un cane, tre pesci in un acquario e un piccolo criceto russo.
Da un giorno all’altro, la mia casa tranquilla è diventata viva, movimentata e simile a uno zoo.
La prima uscita con il cane stamattina tocca a lei, oggi sono fortunata.
Ed io? Sono le sette in punto: sono pronta a cominciare, indosso il mio miglior sorriso e parto all’attacco!
Terza regola: indossare un radioso sorriso.
Mi lavo, mi vesto, mi trucco al tempo record di venti minuti; preparo la colazione a mia nipote; la sveglio dolcemente, la aiuto a lavarsi, vestirsi, pettinarsi; alle ore sette e cinquantacinque esatte usciamo per andare a scuola; mia figlia, nel frattempo, è uscita da mezz’ora.
Sistemata la bambina, parto per il lavoro; bisticcio ancora con il tempo ma arrivo in ufficio entro le nove anche se ho il fiato corto.
Lavoro a ritmo serrato per tutta la mattina poi guardo l’orologio:
«Oddio, com’è tardi», esclamo disperata, mentre infilo nella borsa alcuni documenti.
«Eh sì, anche oggi, sono costretta a portare un po’ di lavoro a casa», borbotto tra i denti.
Esco a passo spedito, incontro un’amica di quelle un po’ “fissate”:
«Ciao, come stai?»
«Ti trovo in forma perfetta. Palestra, dieta?».
Io sono già lontano, volo via leggera come se fossi spinta e portata via dal vento. Se avessi il tempo di fermarmi, protei risponderle:
«Certo, vado in palestra tutti i giorni; vuoi che ti presti il cane?».
Invece le sorrido, la saluto con la mano mentre raggiungo l’auto e parto sgommando.
Arrivo a casa trafelata e, appena apro la porta, il cane mi viene incontro; è felice di vedermi, mi odora, saltella festoso, mi segue dappertutto; vuole uscire, è evidente.
È bello essere accolti con tanto palese calore, è quasi commovente!
Abbaia allegro, m’interroga con gli occhi ma sembra capire che non è ancora arrivato il momento.
Metto la pentola con l’acqua sul fuoco e apparecchio; tiro un sospiro profondo e prendo il guinzaglio in mano.
Non c’è bisogno di dirgli niente, scodinzola, si avvicina, si piega sulle zampe anteriori e aspetta che lo agganci.
Esco con lui che corre, che tira come un ossesso; mi trascina nel vento ed io guizzo via veloce come se fossi un razzo.
A volte immagino di prendere il volo e di diventare un aquilone ancorata al guinzaglio di un cane che tira come un pazzo.
Si chiama Manny, è uno Jack Russell, ha il pelo bianco e crespo con le orecchie nere; è un cane di piccola taglia, simpatico e affettuoso ma si comporta come un cane da slitta, impetuoso e furioso.
In casa mia, non c’è niente e nessuno di normale.
Guardo l’orologio, il tempo mi rincorre, non mi da proprio scampo.
Entro in casa con il fiato corto, preparo il pranzo; la bambina esce da scuola affamata, gira intorno al tavolo e guarda il cibo con l’occhio avido di un avvoltoio che ha avvistato la preda. Stiamo aspettando l’arrivo del fratello maggiore.
Arriva lui, ha diciassette anni, sono le tredici e quaranta, dai, finalmente si mangia.
Le quattordici sono appena passate, Manny abbaia felice, si avvia verso la porta d’ingresso e annuncia mia figlia che entra trafelata.
È stanca e un po’ provata dal lavoro ma il suo viso s’illumina con un gran bel sorriso quando guarda, orgogliosa e fiera, i suoi splendidi ragazzi.
Per me è ora di prendere fiato, il turno del mattino è appena terminato.
Adesso mi posso rilassare e, in questo non transigo: dalle quattordici e trenta alle quindici e trenta non ci sono per nessuno. Eh, che diamine!
Vado in salotto, mi metto in poltrona, chiudo gli occhi …
Mi sveglio con un sobbalzo e guardo l’orologio:
«Che ore sono? Accipicchia, mi sono addormentata!»
Niente paura, ho dormito abbastanza: realizzo che sono passati nove minuti esatti!
Eccezionalmente, quando il mio corpo è allo stremo, lo metto in stand by, ma il mio cervello no, continua a lavorare.
Allora lo lascio andare, gli permetto persino di sognare; mi ritaglio un momento piacevole e scrivo qualche breve racconto, socializzo con i miei amici, anche se virtuali, e sono felice; questo mi può bastare.
Mi rimangono: due uscite con il cane, la spesa, stendere il bucato, preparare la cena e un sacco di altre cose banali che non mi va di elencare.
Verso le ventidue e trenta, riesco ad andare a letto, tutto tace; sono distrutta, ma chi se ne importa, mi rilasso serena ripensando alla mia giornata piena.
Siamo una bella squadra, ci amiamo veramente, sono contenta e molto soddisfatta; mi complimento da sola perché anche oggi ce l’abbiamo fatta!
Chiudo gli occhi e penso beatamente al nostro motto:
«Stringere i denti, sorridere e andare avanti! La nostre regole di sopravvivenza!»
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