INTENTI
– Il mio futuro non contempla il matrimonio, per quanto bella e ricca possa essere la ragazza, non ho propensione per l’intesa coniugale, e di certo la renderei infelice. La mia arte, d’altronde, non abbisogna di molto: uno spazio, gli arnesi per il lavoro, e le mie mani. E di tutto questo già dispongo. Riferite pure all’ottimo Scalavino che sono lusingato dalla sua proposta che però mi sento di rifiutare. E pregatelo che non l’intenda come uno spregio, che per altro sarebbe immeritato, sia nei suoi confronti che in quelli di sua figlia, ma di una mia congenita propensione alla solitudine. –
La risposta di Giandomenico aveva gelato l’allegria della tavolata e ricondotto tutti al silenzio.
– Rifiuti una così generosa proposta senza neppure aver visto la ragazza?-
– Il matrimonio non è mai stato nei miei progetti. Voglio prendere i voti, papà, e continuare i miei studi nella tranquillità di un monastero perché non sono tagliato per la vita sociale, né per il ruolo di capofamiglia –
– Sinceramente, vuoi farti prete per convinzione o per vigliaccheria?-
Questa domanda era rotolata fuori dalla bocca di Mimì Messinese prima ancora che riuscisse a riagguantarla e formularla in maniera diversa, consapevole, dopo anni trascorsi nel commercio, dell’importanza della forma, e del tono, per portare a buon fine una trattativa.
Pratico nel linguaggio degli affari, di cui conosceva codici e codicilli, si muoveva agile su un terreno sperimentato dove pur sapeva, nonostante la sua timidezza endemica, destreggiarsi e farsi valere.
Ma ora quella domanda dal tono perentorio, inusuale per lui, ben volentieri avrebbe ritrattato per non mettere in difficoltà quel figlio che così tanto gli somigliava, nelle luci e nelle ombre, ma che a differenza di lui, però, possedeva il genio: fattore che annullava quelle loro supposte somiglianze.
Così avrebbe dovuto ricordarsi di non stare a trattare con una persona comune (che davvero Giandomenico non lo era) ma con qualcuno di rango diverso e superiore e le cui necessità differivano da quelle prevedibili dei comuni mortali, e armarsi di pazienza per convincerlo a valutare gli indubbi vantaggi della sua proposta, consapevole che quanto più facilmente quei benefici sarebbero risultati al primo sguardo evidenti alle intelligenze più spicce tanto più paradossalmente sfuggivano, proprio a causa della loro apparente banalità, alle menti più complesse.
Questa psicologia esercitata da Mimì Messinese nella sua professione non era piaggeria e neppure una raffinata tecnica coercitiva, ma aveva compreso che mai sarebbe stato uomo d’assalto e quindi, qual’ora avesse voluto conseguire risultati di un qualche successo nell’impervio campo degli affari, avrebbe dovuto avvalersi di altri metodi, più morbidi e sofisticati, a lui più congeniali, cosciente che talvolta, per poter avanzare, strategicamente occorre rimanere qualche passo indietro.
Mimì Messinese si presentava senza infingimenti: la voce pacata e quell’arrossire spontaneo che lo rivelava come uomo timidissimo e schivo, al limite del farfugliamento emotivo, una summa di complessi dietro cui si nascondeva, invece, un uomo perspicace e colto, ma che agli occhi impietosi dei compaesani s’evidenziava solo come una folcloristica macchietta.
Così s’era subito pentito di quella sua domanda irrispettosa, scaturita di getto proprio da lui che mai aveva tentato di metter qualcuno con le spalle al muro, ed ora, invece, facendosi latore di quella allettante proposta aveva, al primo diniego, sovvertito le sue stesse regole a danno proprio di quel figlio del quale conosceva i travagli psicologici da lui ereditati.
– Prendo i voti perché è l’unico modo per me di continuare ad esistere senza dover rinunciare a quello che sono e a quello che al mondo posso dare. Tenermi fuori dai vostri schemi mediante una mia scelta consapevole, e dichiarata, non mi sarebbe possibile, per cui l’unico modo che ho di vivere con coerenza la mia vita, e la mia arte, è quello di ritirarmi da quel palcoscenico dove, mio malgrado, sono stato trascinato, poiché non sarei capace di recitare in nessun altro ruolo se non in quello di me stesso. –
Giandomenico, con dolcezza, aveva ribattuto alla domanda provocatoria del padre.
– Pecchi di superbia, figlio mio –
– Al contrario, papà, è modestia, questa mia. E della più umile –
– E questa modestia t’impedisce di conoscer la ragazza in questione? –
– Il fine delle vostre aspettative non è solo quello di una conoscenza –
– Nonostante i diritti derivanti dalla mia autorità di padre non ti ho mai imposto nulla, Giandomenico, ma questa volta devo farvi ricorso per non far torto a Concetto Scalavino che s’è mostrato, nel corso degli anni, degno della mia stima e del mio rispetto. Oltretutto egli è il nostro principale fornitore del legno, e sempre ci ha favorito riservandoci un trattamento privilegiato. Lascerò a te decidere, ma solo dopo che avrai conosciuto la ragazza, altrimenti recheremmo un offesa troppo grande all’uomo che così tanto ci stima. –
– Non mancherò di rispetto al nostro fornitore rifiutando il suo invito a cena, ma non cambierò idea. –
Aveva ribattuto, in tono tranquillo, il giovane ebanista.
ALLEANZE
Concetto Scalavino e Mimi Messinese avevano instaurato, per via delle proprie attività, cordialissimi rapporti, circoscritti, però, all’interno dei rispettivi uffici, così quello sarebbe stato il loro primo incontro informale. Incontro a cui si sarebbero recati Mimì e Giandomenico Messinese, senza la scorta del resto della famiglia, con la motivazione ufficiale di una cena di lavoro.
Una discrezione, questa, che si sarebbe rivelata utile se per qualche malaugurato motivo la faccenda non fosse andata in porto.
Il mercante aveva organizzato una tavola sobria, di soli quattro coperti, che a quella cena non avrebbero presenziato né la moglie demente e neppure Gemma, addetta alla sua custodia.
Sorvegliata e sorvegliante sarebbero state relegate nella stanza più lontana da quella dove si sarebbe
svolto l’evento.
Concetto Scalavino avrebbe però dovuto dubitare della docile adempienza di entrambe le figlie ai ruoli da lui imposti per quella cena, piuttosto che intenderlo come un ritrovato buon senso, seppur sotto minaccia.
Un grave errore di valutazione questo suo cantar vittoria, che in realtà nessuna delle due aveva intenzione di assecondare quel suo disegno
Gemma, defraudata ed usata, s’era chiusa in una sorta di silenziosa impenetrabilità che
aveva reso lieve, come aria, il suo passo e il suo respiro. E la connaturata assenza di odore aveva contribuito a renderla eterea come una presenza ultraterrena, che se non fosse stato per la scia luminosa dei suoi capelli di lei non ci sarebbe stata alcuna visibile traccia.
Quanto più Gemma andava rendendosi invisibile tanto più Rebecca acquistava materialità non
cedendo e né indietreggiando davanti al cipiglio severo del padre, anzi, dominandolo con la naturalezza del suo essere.
Sotto quel suo sguardo, chiarissimo e diretto, Concetto Scalavino si sentiva a disagio, cosicché il più
delle volte era lui a battere in ritirata, con la sensazione che lei potesse leggergli nel pensiero.
Questa suggestione lo faceva sentire vulnerabile e in un costante stato di all’erta.
Si viveva ormai in stato di guerra dichiarata, ognuno trincerato nella propria postazione e senza ipotesi d’armistizio.
Con la sua sensibilità istintiva, Rebecca, aveva però intuito che perseguire quell’atteggiamento apertamente ostile avrebbe avuto come conseguenza una repressione sempre più dura e più difficile da osteggiare.
Non si poteva espugnare una polveriera muniti solo di un coltellino.
Occorreva una strategia di alleanze.
E l’apparente remissività di Gemma e di Rebecca, quella sera era il risultato dell’alleanza clandestina, tacitamene concordata tra loro, anziché la vittoria dei metodi repressivi di Concetto Scalavino.
Era ben conscia, Rebecca, che a quella cena nessuno avrebbe recitato, neppure quel Giandomenico Messinese, l’introverso artista dalla buia aura, a lei destinato come futuro marito.
Di lui che si sapeva poco ma si mormorava molto.
Persino suo padre, che ora ambiva a diventarne il suocero, s’era lasciato sfuggire un qualche commento, talvolta impertinente e talvolta compassionevole, con mezze parole e con termini oscuri, cosicché lei pur nutriva una qualche curiosità nei riguardi di quell’ospite illustre e renitente, di cui era nota era la scarsa predisposizione all’intrattenimento e ai rapporti sociali.
Così immaginava che anche lui doveva aver subito pressioni tali da non potersi rifiutare di partecipare a quella cena che volentieri avrebbe disertato.
E questa congettura alquanto la rincuorava, intravedendovi possibilità di strategie alternative.
E forse perfino l’ipotesi di una loro futura alleanza.
Quella sera le veniva offerta la possibilità di stabilire un contatto diretto con lui e l’opportunità di agire in maniera più adeguata, dopo aver valutato quanto fosse consapevole del ruolo che in quella farsa gli era stato assegnato, per opporsi al disegno del padre.
Non aveva voluto porsi pregiudiziali nei confronti del giovane, cosciente che un giudizio affrettato, e privo di qualsiasi riscontro diretto, avrebbe potuto negativamente condizionarla da subito.
Aveva bisogno di tutta la sua obiettività per capire se il copione che ci si apprestava a recitare intorno a quella tavola sobriamente imbandita fosse opera di uno o più sceneggiatori.
Così s’era predisposta a partecipare a quella cena svestita di ogni malanimo nei confronti di colui che le era stato designato come marito, indossando il suo abito più semplice e il suo sorriso più onesto.
Encomiabile questa strategia riduttiva di bellezza, messa in opera da una ragazza giovanissima, consapevole di voler lealmente condurre il confronto nel campo della ragione e non in quello della seduzione, che pur consente alle più dotate, e alle più scaltre, di ottenere facili vittorie.
Ma Rebecca, per sua natura, avrebbe rifiutato a priori una siffatta astuzia, l’equivalente della trappola di una buca profonda ricoperta di foglie, dove condurre, attraverso un ingannevole sentiero di petali di rosa, l’incauta preda, con lo scopo ultimo di farla cadere nel precipizio.
Troppo leale, Rebecca, per aspirare ad una vittoria ottenuta con l’imbroglio, non avrebbe però avuto alcuna misericordia se davanti alla sua offerta di uno scontro ad armi pari l’altro avesse ceduto alla tentazione dei colpi bassi.
Rischio che istintivamente aveva presagito non avrebbe corso quando Giandomenico Messinese aveva fatto il suo ingresso nella sua sala da pranzo. E nella sua vita.