Ascolta l’audio-racconto:

Fammi tornare per un attimo da dove sono venuta.
Non sto scappando dal mondo. Ho solo il tremendo bisogno di riprovare quella sensazione. Non la ricordo ma il mio sangue mi racconta quanto fosse straordinaria.
Fammi tornare da dove sono venuta solo per riascoltare quel silenzio, godere delle carezze, nutrirmi di vita e danzare nell’acqua.
Fammi tornare dove c’era ossigeno perché qui fatico a respirare.
Ero figura. Poco definito era il mio volto e quelle ombre la migliore maschera.
Fammi tornare dove non potevo essere ferita o delusa e dove la solitudine era un privilegio sacro.
Fammi tornare da dove sentivo voci e musica in lontananza, ovattate, senza capirle fino in fondo, senza doverci prestare attenzione. Presente ma assente.
Movimenti naturali, luce soffusa, buio pesto senza timori. Calore.
E poi quelle carezze, ti sembrerà assurdo ma ho come la sensazione di ricordarle. Quasi a sorreggermi, quando non potevo cadere, quasi a corprirmi quando non potevo avere freddo.
Ora invece guarda quanti lividi e tremo anche in primavera. Dove sono finite quelle mani?
Abbandonare quel luogo è stato un ergastolo. Ora sono condannata a non potervi mai più tornare. Sono spacciata e destinata ad un altrove che non conosco e che mi fa paura. Dicono sia un posto pieno di luce. Me ne frego. Io non ci vado.
Di sicuro preferivo quell’oscurità tutta mia, senza spazio per nessun altro. Da lì osservavo senza vedere e sentivo senza dover ascoltare. Percepivo il mondo con la pelle, la stessa che ora profuma di donna che già ne ha viste e ascoltate troppe, di cose.
Fammi tornare un attimo in quel luogo dove il male non esiste, dove il giudizio è sospeso, dove l’amore crea dal nulla.
Lì, in quella perfezione inenarrabile che qui non trovo, perché qui non siamo perfetti. Qui c’è dolore ed io ho il sacrosanto diritto di dirti che non lo sopporto.
È da fragili? E allora sono fragile, sono vergognosamente fragile. Anzi debole, se preferisci umiliarmi. Un essere umano sfacciatamente debole.
E cosa pensi di farci con un essere umano così? Vuoi rimproverarlo? Punirlo?
Non mi fai paura.
Io sono uscita da quel buio che mi proteggeva, io ho visto la luce che mi ha accecata e non ho battuto ciglio. Dicono che dovrei ringraziarti per questo. Come minimo dovresti essere tu a ringraziare me e a concedermi di tornare lì, una volta soltanto, per un’ora o anche meno, per ricompormi, per fare ordine, ripartire da zero, riprendere coraggio, riposarmi, ricaricarmi, riassaporare quell’amore sconfinato che esplodeva ad ogni mio respiro.
Donavo gioia solo esistendo. Non dovevo fare altro. Qui invece ogni parola, ogni gesto è un essere messi alla prova, è un dare senza ricevere, è una continua sfiancante dimostrazione, è un dovere sociale scomodo e formale.
Era la vita stessa a farmi da scudo, mia alleata. Qui è la vita stessa a incutere timore. Una volta che sei fuori di lì, la vera pace non la sfiorerai mai più, sii sincero. E si ha paura. E ci si inventano le religioni per affidarsi a qualcuno. Qualcuno tipo te. Che poi, vai a capire se ci sei davvero….
Fammi tornare in quel luogo per un attimo soltanto. Dopotutto mi appartiene e hai deciso con arroganza che nove mesi fossero sufficienti. Nove mesi rispetto ad una vita intera sono un tempo eccessivamente breve, a mio modesto parere. Che poi sei sempre tu a decidere quando interrompere anche questo, di tempo.
Quello è il mio luogo, lì è da dove provengo. E da qui non si torna indietro.
O forse sì: gli occhi e l’odore di mia madre sono e saranno sempre il mio biglietto di sola andata.

Con orgogliosa disobbedienza
Cordialmente ti saluto.