EN PLEIN AIR
Nel giardino inondato di sole, sedute sotto un patio, c’erano tre donne, che ad un primo sguardo potevano essere la replica di una stessa: capelli ramati, occhi scuri e pelle di porcellana.
Tranne per gli abiti, di colori diversi, verde, lilla e blu, si somigliavano anche nel tono della voce e nella grazia dei movimenti. Giovanni Basile, ammaliato, s’era fermato ad ammirarle: come in un quadro di Degas, il colore vivido degli abiti e il rosso luminoso dei capelli si fondevano con l’azzurro traslucido del cielo quasi estivo, sullo sfondo di un paesaggio senza tempo.
Alla sua vista, una di loro, quella vestita di blu, s’era staccata dalle altre e gli era andata incontro.
«Signor Basile, vi ricordate di me? Ci siamo incrociati nell’atrio, voi stavate uscendo ed io ero appena giunta. Sono Rebecca Scalavino, la figlia di Concetto.» Aveva detto porgendogli la mano.
«Certo che mi ricordo di voi.» Giovanni Basile aveva risposto togliendosi il cappello da mandriano e stringendole la mano.
Aveva una voce profonda, capelli lucidi e neri legati in una treccia, e sotto la fronte bassa, nel volto brunito dai lineamenti marcati, risaltavano gli occhi scuri dal taglio a mandorla, che gli conferivano una fisionomia straordinariamente esotica. Come la volta precedente indossava stivali da cacciatore e una camicia quadrettata da montanaro, con le maniche rimboccate sulle braccia.
«Avrei bisogno di parlarvi, ovviamente dopo che avrete fatto visita a mio padre. Non vi porterò via troppo tempo…è una faccenda breve.»
Lui aveva sorriso di nuovo: «Non è il tempo che mi manca, e sono lieto se potrò esservi di aiuto.»
«Grazie, per la vostra gentilezza. Vi attenderò sotto il patio.» Rebecca gli aveva indicato la struttura coperta dove era prima seduta con la sorella e la madre.
Giovanni Basile, toccandosi la falda del cappello con due dita, aveva fatto un cenno d’assenso.
«A dopo.» Aveva detto incamminandosi lungo il vialetto.
«Chi è l’uomo col quale stavi parlando?» Gemma aveva chiesto incuriosita.
«Giovanni Basile, lavora per papà.»
«E tu cosa hai a che fare con lui?»
«Vorrei capirne di più sull’ebanisteria.» Aveva risposto Rebecca, suscitando la risata divertita della sorella, a cui aveva replicato seria: «Non c’è nulla da beffeggiare, Gemma. Voglio una vita fuori dalle mura di questa casa e da quella futura, dove immagino sarò la moglie di qualcuno, intenta ad allevare figli, curare il giardino e ricamare centrini. E’ questo a cui siamo destinate. Ed io non lo accetto. Voglio essere padrona della mia vita e delle mie scelte. Ti pare un desiderio così orrendo? » La domanda era stata accolta dal silenzio. Con dolcezza, Rebecca, aveva allora chiesto: «E tu cosa desideri, Gemma?»
«Essere amata.» Aveva risposto in un sussurro. Ma subito dopo, pentita di quella confessione, s’era allontanata correndo.
Rebecca non aveva tentato di trattenerla e neppure di rincorrerla. Non era stata freddezza la sua, ma rispetto, intuendo, da quell’amara, schietta dichiarazione, la tempesta di sentimenti, emozioni e dubbi che albergavano nell’animo della sorella. Una confessione, quella sua, alla cui luce andavano analizzati i suoi recenti comportamenti. Il loro padre l’aveva illusa sulla sincerità del suo affetto, e poi umiliata per consentire a lei di trionfare. L’abietta scala dei valori su cui lui s’era mosso pienamente giustificava quel suo rancore che ora s’era esteso anche lei che s’affannava a prenderne le difese, facendosi paladina di quella supposta innocenza paterna, tutt’altro che limpida, sulle cause della morte di Mimì Messinese.
No, averla lasciata andar via senza tentare di fermarla con un gesto o una parola, non era stata una buona cosa: quello che nelle sue intenzioni voleva essere un segno di rispetto doveva esserle sembrare, al contrario, d’indifferenza o di superiorità.
Doveva immediatamente chiarire l’equivoco con Gemma.
Entrata nell’atrio s’era incrociata con Giovanni Basile che s’apprestava ad uscire.
«A quanto pare è nostro destino incontrarci nel corridoio.» Aveva detto divertito lui, ma s’era subito fatto serio davanti all’espressione smarrita della giovane. «Tutto bene, Rebecca?» Aveva chiesto.
Rebecca lo aveva rassicurato: «Sì, tutto a posto, ma dobbiamo rimandare la nostra conversazione in un altro momento, se siete d’accordo.»
«Certo. Quando volete.» C’era un’impercettibile nota di delusione nella sua voce, che Rebecca, però, non aveva rilevato.
«La prossima volta che verrete in visita a mio padre, se per voi va bene.»
Giovanni Basile aveva annuito in segno di assenso.
Sulla porta s’ erano salutati con una stretta di mano.
LA SCOPERTA DELL’INTIMITA’
Quando Rebecca era entrata nella stanza, Gemma, d’impulso, s’era alzata per uscire, ma stavolta, però, lei l’aveva trattenuta.
«Dobbiamo parlare, chiarire questo mostruoso equivoco che si è creato tra noi.» Aveva detto Rebecca tenendola per i polsi, ma Gemma, furiosa, l’aveva respinta facendola cadere a terra da dove, però, s’era subito rialzata e, per impedire che l’altra guadagnasse l’uscita, l’aveva placcata cercando d’immobilizzarla per le braccia. Gemma, con un colpo di ginocchio all’inguine, l’aveva costretta ad allentare la presa, facendola ripiegare su stessa. Di nuovo a terra, dolorante, ma decisa a non mollare, Rebecca l’aveva afferrata per una caviglia. Perdendo l’equilibrio, Gemma le era ruzzolata addosso.
S’erano così ritrovate entrambe a terra, ansanti, esauste e scarmigliate, i cuori in tumulto, blocco unico in un angolo del pavimento: il loro primo vero, materiale contatto fisico.
D’istinto, Rebecca, tramutò la presa in un abbraccio e baciò la sorella su una guancia.
Sorpresa da quel gesto, inusuale ed inaspettato, Gemma, confusa, si arrese a quell’intimità nuova, lasciandosi andare alle lacrime.
Unite in quell’abbraccio, il cucciolo di lupo e il cucciolo di cane, sperimentavano, entrambe per la prima volta, la confidenza del contatto fisico. Quell’intimità silenziosa, profonda, che non scaturisce dalle parole o dal legame del sangue, ma dal sentimento, e fino a quel momento a loro preclusa perché sconosciuta.
Rebecca, con quell’abbraccio spontaneo, aveva compiuto l’atto materiale del ricongiungimento con la sorella, abbattuto gli steccati dietro cui erano confinate e legittimato l’accesso illimitato nel proprio territorio: non una resa, quella sua, ma un’offerta, che forse Gemma avrebbe accettato oppure respinto. Ma non era quello il momento delle verifiche. In quell’angolo di pavimento, trasformato in una culla, Rebecca e Gemma s’erano addormentate abbracciate. Riappacificate. Come accade sovente alle sorelle dopo un litigio.