DIETRO UN MURO D’OMBRA
Giandomenico l’aveva guidata in una stanza disadorna, composta da pochi essenziali arredi, quali uno scrittoio, sul cui ripiano era sparsi, alla rinfusa, dei fogli da disegno, una branda e una sedia. Una luce clandestina filtrava dalle assi delle persiane socchiuse. L’aria era immota, permeata dall’odore dolce del legno e da quello aspro delle vernici. E da quello remoto della disperazione.
In quella penombra da purgatorio lui le aveva indicato quell’unica seggiola: «Perdonatemi, non ho di meglio da offrirvi.» Aveva detto a voce bassa, impacciato.
Rebecca aveva con gentilezza respinto l’invito a sedersi: «Perdonate me, piuttosto, non avrei mai voluto importunarvi in un momento così particolare ed intimo se non fosse stato per una necessità indifferibile, e che direttamente vi coinvolge.»
A questa premessa era seguito un breve silenzio. Erano a pochi passi l’uno dall’altra, ma pure una distanza infinita li separava. Da quella distanza la voce di Giandomenico l’aveva raggiunta: «Continuate, vi prego.» L’aveva sollecitata con una nota d’impazienza.
«So che ritenete mio padre responsabile della morte del vostro, ma non è così. A modo suo gli voleva bene, lo stimava. Il dolore per la sua morte lo ha precipitato nel baratro della depressione.Temiamo per la sua salute.»
«Davvero, Rebecca, siete convinta che la causa della depressione di vostro padre sia la morte di Mimì piuttosto che la certezza di veder completamente fallito il suo progetto… o ancor meglio, il suo indegno affare? Mio padre era un ingenuo che si è fatto irretire dal vostro, così come ora voi state tentando di fare con me. E pensare che vi facevo diversa da lui! Ma io non sono…»
Lo schiaffo era risuonato secco e inappellabile, smorzando la frase sulla bocca di Giandomenico.
«Non sono venuta qui a difendere mio padre, ma siete così pieno di risentimento e di rabbia che nulla di quanto ho da dirvi riuscirà ad indurvi alla consapevolezza. State cercando un capro espiatorio perché altrimenti dovreste incolpare voi stesso. Ma sbagliereste ancora.»
Quello schiaffo lo aveva sorpreso, così come quell’invettiva, pronunciata, però, senza i toni della collera. Anche questo lo aveva sorpreso. Ma se non era venuta a difendere il suo indegno padre era venuta ad accusare lui: «Andate via. Non rendete più penosa questa vostra messa in scena. Per un momento mi sono illuso che voi…che tu… che tu fossi diversa da tutti. Ho pensato che valessi la pena della mia rinuncia che ho poi brandito come una spada contro di lui. E con quella gli ho trafitto il cuore. Hai ragione, non devo cercare un capro espiatorio: mio padre l’ho ucciso io, ma la mia mano l’ha armata il tuo!»
Rebecca, gli si era fatta allora più vicina. A pochi passi da lui, che i loro visi quasi si toccavano: «State delirando. Ma forse il delirio è il vostro ultimo rifugio. Un rifugio sicuro, accessibile solo a voi e alla vostra rabbia. Vi pensavo diverso: ho scambiato la vostra debolezza per la vostra forza. Un errore imperdonabile.»
Queste parole risuonavano accusatorie. Ingiuste. Come quel suo schiaffo. Giandomenico sapeva di dover reagire, di doversi almeno difendere, se non da lei dalla sua stessa impotenza.
«Non riesco a perdonare. Né perdonarmi.» Aveva mormorato dietro il suo muro d’ombra.
Ma Rebecca era già andata via.
ECCESSO D’AMORE
Vanni Basile e Rebecca Scalavino s’erano incontrati sulla soglia di casa mentre lei stava entrando e lui stava uscendo. L’uomo alto e scuro, che indossava stivali da cacciatore e un cappello da mandriano, cavallerescamente, con un sorriso, s’era fatto di lato per farla passare.
«Chi è l’uomo che ho intravisto nell’atrio?» Rebecca aveva domandato a Brigida.
«Giovanni Basile: il braccio destro di vostro padre. Da quando s’è infortunato viene spesso in visita. E a proposito di visite: come è andata la vostra?»
«Un fallimento. Giandomenico Messinese ritiene, seppur per ragioni diverse, sé stesso e papà colpevoli della morte di Mimì. Nello stato d’animo in cui versa non sono riuscita a farlo ragionare.»
Rebecca, succintamente, ma senza omettere nulla, le aveva raccontato la dinamica dell’incontro: una cronaca sintetica ma esaustiva dell’accaduto. Un resoconto esposto con voce ferma, imparziale, all’apparenza priva di emozioni, come se la cosa riguardasse qualcun’altra e non lei. Ma Brigida, che l’andava attentamente osservando, aveva intuito, dietro che quel suo ferreo autocontrollo, il turbamento. Una tempesta di emozioni sconosciute, che lei, cucciolo di lupo, andava al momento sotterrando nel fondo della sua anima, per impedire che il loro odore, propagando, venisse inquinato dall’esterno. Poi, quando sarebbe stata sola, le avrebbe dissotterrate, annusate ed assaggiate, supportando con l’istinto la mancanza d’esperienza.
L’istinto, però, non le sarebbe servito a decodificare i sofisticati machiavellismi delle emozioni, soprattutto a livello inconscio.
Brigida, da profonda conoscitrice dell’animo umano, aveva visto la trappola in cui il cucciolo di lupo si sarebbe andato a cacciare e aveva allora provveduto, ad erigere una barriera di protezione,
instillando il dubbio nelle sue percezioni.
«Non sempre tutto è come appare. Per emergere alla luce, talvolta, è necessario esplorare il buio più profondo. La fiammella che voi avete cercato di far filtrare nell’oscurità impenetrabile in cui Giandomenico si dibatte ha prodotto solo uno squarcio che gli ha ferito gli occhi, paradossalmente acuendo il senso di cecità e di smarrimento. Quel bagliore lo ha spinto a rintanarsi, ancor più se possibile, nel suo fondo. Respingendovi.»
«Se sapevate che la conseguenza era questa, perché non mi avete dissuasa?» Aveva chiesto Rebecca, stupita.
«Il risultato non era affatto scontato. Ad ogni modo era quello che sentivate di dover fare. Ed era quello che andava fatto.»
«Mi disprezza con la stessa forza con cui disprezza papà.»
«Al contrario: vi ama con la stessa disperazione con cui odia vostro padre e sé stesso. Ma lo avete destabilizzato perché vi immaginava dalla sua stessa parte. E così, per rinnegare quella sua illusione, ha dovuto deturpare la vostra immagine per punirsi, in maniera ancora più aspra.»
«Mi ama? E da cosa genera questa vostra deduzione? Vi ricordo che a quella cena non c’è stato seguito.»
«Sinceramente, Rebecca, avreste voluto ci fosse un seguito?»
«No, perché questo contemplava il matrimonio.»
«E quale altro seguito può esserci per una ragazza perbene e di buona famiglia?» Aveva controbattuto Brigida, con amara ironia.
«L’indipendenza. Il lavoro. Le scelte personali. Una vita come la vostra.»
« L’indipendenza e il lavoro sono conquiste, e le scelte personali una loro conseguenza. E tutto questo esige un prezzo. Io sono stata facilitata, o forse obbligata, in tal senso. Non ho dovuto lottare per avere la mia indipendenza che era già forse insita nel mio destino. Ma non per tutte è così. » Aveva concluso con un sospiro. Ma subito dopo, senza dar tempo all’altra di rispondere, aveva aggiunto: «Non c’è stato seguito a quella cena perché Giandomenico vi ama a tal punto da lasciarvi libera.»
«Amarmi? Come fate ad affermare che si tratti di amore e non piuttosto della sua mancanza? »
Rebecca aveva chiesto stupita dinnanzi a quell’incredibile paradosso. L’amore, che mai aveva conosciuto, lo aveva immaginato fino a quel momento come un sentimento piano ed elementare. Simile a quello che provava per Gemma. Ma ora lo andava scoprendo oscuro, intricato. Indecifrabile.
« Perché solo un eccesso d’amore può provocare un simile dramma.» Aveva sottolineato Brigida, con convinzione.