Quando abbiamo finito di leggere ci siamo guardate negli occhi. Se un osservatore esterno avesse dovuto descriverci, ci avrebbe definito due figure grottesche, al limite del ridicolo.  Amelia sembrava la comparsa di un film horror, con la bocca spalancata, gli occhi già immensamente grandi per quel viso minuto sembravano uscire fuori dalle orbite, in più continuava ad indossare quel suo buffo cappello che non so come le si era girato al contrario. Io ero quella più stupida, avevo gli occhi gonfi, il naso rosso, ero circondata da una moltitudine di kleenex usati ed accartocciati e, nel gesto auto-consolatorio di accarezzarmi i capelli, mi resi conto che indossavo ancora la mia cuffia di plastica della tenuta anti-frittura.

Amelia senza dire una parola si alzò, mi strizzò in un forte abbraccio e scappò via raccogliendo i cocci della sua anima e il suo buffo cappello che ormai andava per suo conto.

Non ci siamo viste per circa tre mesi, durante i quali ho pensato spesso ad Olga. Mi chiedevo, se avessi capito… forse avrei abbattuto il muro e rotto il suo silenzio, forse avrei costruito un legame empatico e le avrei ispirato fiducia, o forse no… chissà. Non avevo detto a nessuno della lettera ma, comunque sia, di sicuro lei mi aveva lasciato qualcosa. Cercavo di mettere in pratica il suo consiglio: pur nella routine della quotidianità ero attenta a non cadere più nel vortice del lavoro meccanicistico; cercavo di guardare oltre le rughe per capire… ed aiutare. Gli anziani trascorrono con noi gli ultimi anni della loro vita, hanno lasciato la loro casa e le loro cose, noi siamo il tramite col resto del mondo e dobbiamo dargli tutta l’attenzione che meritano.

Un giorno di punto in bianco, così come era sparita, riapparve Amelia. Mi chiamò al telefono, chiedendomi di andare a casa sua per una cosa importante. Durante il tragitto cercavo di immaginare cosa mi aspettava… un’Amelia distrutta probabilmente, ormai convinta di essere figlia di un Dio minore, frutto di un non amore tra una fata straniera ed uno stolto ubriaco. Mi chiedevo che effetto poteva aver avuto su di lei il sapere di essere un albero senza radici, perché quelli che da sempre aveva considerato i suoi veri genitori, in realtà, non erano neanche consanguinei.

Quando mi aprì la porta rimasi a bocca aperta. Il bruco era diventato farfalla.

Amelia era bellissima. Aveva abbandonato i suoi buffi cappelli, era leggermente truccata, aveva i capelli cortissimi color grigio perla che le incorniciavano il viso, donandole una straordinaria dolcezza, indossava un vestito bianco di lino, semi-attillato, adornato da una coloratissima collana che le dava un tocco di lucentezza e modernità.

Le guardai i piedi, quasi atterrita dall’idea di vedere le insulse ballerine e l’immancabile calzino corto che avrebbero catastroficamente rovinato quel grazioso outfit, invece no… con mio stupore Amelia indossava sandali gioiello con le unghie curate e tinte di  smalto rosso. Una sorprendente, inspiegabile metamorfosi!! La riempii di complimenti, ma lei sembrò non curarsene. Mi trascinò dentro casa sino allo scaffale della cucina, dove erano impilati i cereali. Prese un barattolo fucsia e lo posò sul tavolo.

Per un attimo pensai che per qualche strana ragione volesse prepararmi uno di quegli intrugliosi beveroni proteici degli sportivi e… invece no. Mi disse che lì dentro c’era Olga. Olga in polvere. Beh, per dirla tutta espressi le mie rimostranze. La povera Olga aveva conosciuto nella sua misera vita solo due posti: il fienile e la casa di riposo; pensavo sinceramente che almeno da morta meritasse una sepoltura più degna che finire in un barattolo, confusa tra biscotti e cereali. Amelia alle mie perplessità rispose con due parole: “ovvio”… ”andiamo”. Prese sotto braccio Olga in polvere, mi afferrò la mano e mi trascinò in strada.

In macchina, all’imbocco dell’autostrada mi fece due rivelazioni:

– la prima riguardava la nostra destinazione e cioè il mare. Quel mare che Olga aveva sognato ma non aveva mai visto da vicino. Avremmo assecondato il suo desiderio e sparso le sue ceneri nel mare proprio come lei voleva. Cercai di protestare con la flebile scusante che avevo abbandonato marito e figli ma in realtà non mi dispiaceva affatto se per un giorno se la fossero cavata da soli, abituati alla mia (a volte per loro) scontata e impalpabile presenza. Erano anni che non dedicavo un giorno a me stessa e quale momento migliore di questo?

– la seconda era più intima e un po’ più sconvolgente. Anche Amelia stava seguendo i consigli di Olga, per cui, decisa a non vivere una vita ipocrita, aveva fatto coming out e si era dichiarata omosessuale. In cuor suo lo aveva sempre saputo, ma non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo. Ecco la ragione della sua metamorfosi. Adesso stava sperimentando, come un’adolescente ai primi amori, ma con le donne. Mi chiese, un po’ preoccupata, se questo fosse un problema per me. Io le risposi, con ironia, che una volta arrivata al mare avrei cercato una tuta da palombaro per evitare che lei cadesse nella tentazione di voler abusare di me in uno squallido autogrill. Ci facemmo una bella risata. Questi pregiudizi non mi appartengono: li lascio a chi ha la mente chiusa, la bocca larga ed il cuore piccolo.

Tutto il viaggio fu piacevole e ce la raccontammo, come due vecchie amiche. L’unico elemento che mi metteva un po’ a disagio era il fatto che io sorreggevo Olga in polvere. Avevo una specie di timore reverenziale verso quel barattolo fucsia, forse perché inconsciamente volevo compensare le attenzioni che distrattamente non le avevo riservato quando era viva.

Amelia poi si comportava come se Olga fosse davvero lì con noi in carne ed ossa. Senza alcun ritegno verso chi ci circondava, parlava tranquillamente col barattolo, intavolando monologhi senza un visibile interlocutore. Le riservò persino un coperto al ristorante. Allo stupefatto cameriere chiese un tavolo per tre e posizionò Olga in polvere nel posto migliore, vista mare. Guardando con più attenzione il barattolo fucsia mi resi conto che le aveva persino disegnato due occhioni e una bocca sorridente. Fu l’unica nota stonata, ma divertente, di quella giornata stupenda.

Amelia mi raccontò che era stata nella vecchia casa di campagna; aveva esplorato il fienile dove aleggiava inevitabilmente la presenza eterea di Olga: il suo giaciglio era intatto, così come tutte le sue cose. Poi, sorpresa tra le sorprese, aveva trovato un cofanetto contenente delle favole scarabocchiate, scritte da Olga, che Amelia aveva riadattato e rielaborato per dar loro un filo logico.

Inoltre, durante quella gita aveva parlato col sig. Carlo, ormai ultra-novantenne, unico superstite di questa triste vicenda, convinta che magari invecchiando potesse provare una sorte di pietà o pentimento per come aveva trattato le donne della sua famiglia. Bastarono poche parole per  rendersi conto che a quell’uomo arido non importava nulla di nessuno. Se qualcuno lo avesse aperto in due non avrebbe trovato nulla, solo un deserto di sentimenti ed emozioni. Olga, poi, poverina, aveva avuto la peggio. Non appena morì sua madre il primo pensiero di quel vecchio stolto fu quello di farla sparire anche dal fienile e di rinchiuderla in un istituto dichiarandola incapace di intendere, in modo da appropriarsi del casolare di campagna. Amelia, amareggiata ma sempre più disinvolta nella sua “nuova pelle”, approfittando della ingordigia del vecchio che aveva ingolosito con un vassoio di pasticcini, gli tagliuzzò tutti i pantaloni, convinta che questa piccola vendetta dal sapore adolescenziale sarebbe piaciuta tanto a sua madre.

La nuova Amelia raccontò tutte queste cose mentre noi tre eravamo sedute, allineate su un telo da spiaggia, in riva al mare, con Olga in polvere nel mezzo. Aveva pianificato tutto, attrezzandosi con ogni mezzo, senza trascurare nessun dettaglio: aveva una di quelle diavolerie moderne per diffondere la musica, che funzionano anche senza elettricità. Al suono di una gradevole melodia iniziò a leggere le fiabe che Olga aveva scritto nella sua solitudine. Devo dire che erano belle, appassionanti. Parlavano di fate straniere, poeti, principi, regine, bambini e draghi. Olga non lo sapeva, ma aveva un dono: quello di rendere vivi i suoi personaggi. La sua fantasia le aveva dato coraggio e conforto. La mano scrive, l’occhio legge, il cervello elabora, il cuore si placa, la bocca sorride.

Poi, all’imbrunire, con la spiaggia semideserta, arrivò il momento fatidico. Amelia si alzò, prese Olga, mi affidò il lettore cd e mi pregò di seguirla. Entrò in mare vestita, incurante che il suo abito nuovo di lino fosse tutto bagnato e stropicciato, incurante dei pochi bagnanti ancora presenti che ci  stavano guardando. Con gli occhi chiusi e continuando a sorridere inscenò una specie di danza, sollevando Olga in polvere verso il cielo.

Sparse le ceneri nel mare alle note di “The Sound of Silence”… di Simon e di quell’altro tizio il cui nome impronunciabile inizia con la G.