«Ma sei proprio sicuro che la strada sia questa?»
Hans alzò le spalle e indicò il navigatore.
«Quello lo vedo anch’io» insistette la moglie «ma qui mi sembra di essere in aperta campagna!»
«Be’, avevamo detto di voler evitare le autostrade» provò a difendersi l’uomo.
La moglie sbuffò e si voltò verso i bambini, seduti sul sedile posteriore.
«Tutto bene, voi due?».
Rachel, la figlia più grande, era intenta a guardare il paesaggio che sfrecciava fuori dai finestrini. Jurgen, l’altro figlio, non staccava gli occhi dal videogioco.
«Vedrai che presto ritorneremo su una strada migliore» disse l’uomo alla guida.
«Come se in Italia funzionasse qualcosa!» sbottò la moglie «neanche il navigatore!».
La potente BMW arrancava sulla strada malamente asfaltata, le gomme ribassate facevano sentire tutte le asperità e Fans non osava premere sull’acceleratore per paura che un salto o un buco improvviso potesse far urtare il fondo della vettura contro l’asfalto.
Stavano viaggiando a cinquanta chilometri all’ora, e anche a quella velocità era richiesta tutta la sua attenzione.
«Faremo notte in mezzo a queste montagne» disse la moglie, con la voce che saliva di un’ottava «finirà che dovremo dormire in macchina!»
«La vuoti piantare? È già abbastanza difficile guidare in queste condizioni!».
«Non sono io ad aver voluto prendere questa strada e…»
«Neanche a voler venire in Italia, lo so! Ora per piacere finiscila, altrimenti com’è vero Dio fermo la macchina e faccio guidare te!»
Magia si chiuse in un offeso silenzio, tirò fuori dalla borsa uno specchietto e tentò di aggiustarsi il trucco, ma gli scossomi della vettura glielo impedirono.
«Adesso lo fai apposta!» protestò, rivolta al marito.
«Prova tu a guidare su questa strada» rispose lui.
Lo faceva apposta, certo che lo faceva apposta, lo sapevano entrambi; per fortuna i bambini sembravano non accorgersi del litigio e continuavano a starsene calmi. Stranamente calmi, pensò per un momento la donna, poi si disse che ci mancava soltanto che si facesse venire delle strane fantasie. Erano anni che suo marito voleva compiere quel viaggio, diceva che era stata l’ultima richiesta di suo padre sul letto di morte: andare in quel piccolo paese italiano, Arcevia, e… Su questo Hans non era stato chiaro, ma doveva essere stato qualcosa che riguardava il passato di Gottfried, suo suocero, e qualcosa di non piacevole. Be’, si disse, glielo doveva: suo marito li aveva portati in Slovenia, in Grecia, alle Canarie, dovunque lei fosse voluta andare. Se adesso sacrificavano qualche giornata, neppure estiva, per adempiere alle ultime volontà di un morente non era un grande sacrificio.

La strada sembrava non voler finire mai, e nonostante il paesaggio splendido ed il serbatoio pieno di gasolio anche Hans cominciò a sentirsi inquieto. Il giorno cominciava a declinare e l’Adriatico non voleva saperne di spuntare dietro le colline.
«Che ore sono?» chiese la moglie.
Lui guardò l’orologio sul cruscotto.
«Quasi le sette.»
«Non abbiamo niente da mangiare.»
«Hai fame?»
«Potrei anche averla, ma dicevo per i bambini.»
L’uomo represse la voglia di chiederlo direttamente ai ragazzi. La moglie aveva ragione, dovevano trovare qualcosa di aperto, ma la mappa non segnalava né ristoranti né alberghi in quella zona, anzi, da qualche minuto il navigatore mostrava assenza di connessione.
«Sono convinto che qualche locale deve esserci, non siamo fuori dal mondo!» disse, come tra sé.
«Dici? A me sembra di sì. Hai visto qualcuno nell’ultima mezz’ora?»
«No, ma… Ecco, vedi quella casa? Ha la luce accesa, magari possiamo chiedere a loro.»
«Che cosa? Se hanno pane vecchio e formaggio di capra?»
Hans non rispose, ma rallentò e portò la vettura a fermarsi nell’aia di quella che da vicino si era rivelata una vasta masseria che si estendeva intorno a loro a ferro di cavallo.
Come fu sceso alcune oche gli vennero incontro sospettose, starnazzando rumorosamente. Un cane nero li osservava dalla sua cuccia, senza muoversi.
«C’è qualcuno?» chiese, nel suo italiano approssimativo.
Nessuna risposta, la casa sembrava deserta, anche se una finestra era illuminata.
Hans si diresse verso la porta di legno e provò a bussare, una, due, tre volte.
Alla fine l’uscio si aprì e comparve una donna vestita di scuro.
«Cosa volete?» chiese, senza altri preamboli.
Hans cercò di raccogliere le parole meglio che poteva.
«Siamo tedeschi. Vogliamo andare al mare, l’Adriatico, ma il navigatore ci ha portati su questa strada e…»
La donna lo fissava senza espressione.
«Guarda che questa qui non capisce niente!» gli fece la moglie, che nel frattempo era scesa e l’aveva raggiunto «parlerà solo il suo dialetto.»
La donna si voltò verso di lei, poi ritornò a guardare il marito.
«La strada è quella giusta» disse, e fece per tornare dentro.
Hans la fermò, mettendosi tra lei e la porta.
«Ma quanto ci vuole?»
La padrona di casa non rispose. Rimase ferma dove si trovava e si limitò a fissarlo con due profondi occhi azzurri.
La scena era diventata surreale, e anche Magda rimase imbarazzata.
«Mi scusi, signora» intervenne «ma ci siano persi tra queste montagne e non sappiamo dove andare. Non abbiamo niente da mangiare e ci sono due bambini in macchina…»
Un sorriso tirato si allargò sul volto della donna, senza raggiungere gli occhi.
«Più avanti la strada è interrotta da una frana, dovete tornare indietro, ma se volete potete fermarvi qui da noi per la notte. Abbiamo anche delle camere dall’altro lato.»
Hans sorrise, sollevato.
«Hai visto, Magda, abbiamo trovato un agriturismo!»
«No, signore, questo non è un agriturismo» lo corresse la donna.
«Allora…»
«Se avete bisogno di una cena e un letto possiamo darveli, tutto qui» rispose lei.
I due tedeschi rimasero interdetti.
«Grazie, pagheremo il disturbo…»
La donna non rispose, si voltò e tornò dentro, lasciando la porta aperta affinché la seguissero.

I quattro tedeschi entrarono e si trovarono in un vasto locale in cui troneggiava un solido tavolo di legno, con intorno sette sedie altrettanto massicce. Le pareti erano di pietra non intonacata, così come il pavimento, ma gli elementi erano accostati con tanta precisione che non si vedevano quasi fessure tra una pietra e l’altra. Il soffitto era in travi di legno, sostenute da elementi portanti che attraversavano l’intera stanza. L’unica illuminazione era fornita da due candelabri murali su cui fiammeggiavano sette candele.
Magda, che era un architetto, si soffermò su quella insolita struttura.
«Sembra che questa casa sia rimasta inalterata da cent’anni!» disse in tedesco al marito.
Hans tradusse per la signora, che da quando erano entrati era ritornata a girare il mestolo in un grosso pentolone posto su di una stufa a legna che diffondeva nella stanza un piacevole calore.
«Splendidamente conservata» continuò l’uomo, nella speranza di avviare una conversazione.
«Qui non è cambiato niente» rispose lei, continuando a mescolare.
Dal soffitto pendeva una lampadina spenta.
«È saltata la luce?»
La moglie intervenne prendendogli il braccio: «Dai, Hans, vedi che le dai fastidio?»
Ma lui non si dette per vinto. «Volevamo passare da Arcevia» chiese ancora «è lontano da qui?»
Questa volta la donna smise il suo lavoro e si voltò a guardarlo.
«Questo è Monte Sant’Angelo» disse, come se bastasse a spiegare ogni cosa.
Magda era sempre più infastidita e fece per riportare il marito verso la tavola, dove i bambini si erano seduti obbedienti, ma questi era impallidito.
«Mo… Monte Sant’Angelo…» balbettò.
«Cosa c’è? Ti ricorda qualcosa?»
Lui si passò una mano sulla fronte. «No, no, è solo che…»
«Che?»

L’uomo non ebbe tempo di rispondere, perché la donna aveva tolto il pentolone da sopra la stufa e l’aveva portato in tavola. Da una credenza tirò fuori piatti e posate e li dispose in bell’ordine, insieme con dei tovaglioli di stoffa e una grossa pagnotta.
«Stufato di coniglio con patate lesse» disse.
Dalla pentola si levava un odore delizioso e come i piatti furono riempiti i bambini ci si avventarono sopra come se non avessero mangiato da giorni. Anche i due tedeschi dovettero ammettere che la cena era ottima. La donna intanto era uscita e ritornò con due brocche di terracotta piene d’acqua freschissima, appena presa dal pozzo.
«Lei non mangia?» chiese Hans, vedendo che la padrona di casa si era messa in un angolo.
«Ho già mangiato» rispose quella, prendendo tuttavia alcuni piccoli pezzi di coniglio per dimostrare che partecipava alla cena.
Il pasto proseguì in un silenzio imbarazzato, ma quando fu finito tutti erano sazi.
La donna si alzò. «Se non vi dispiace posso mostrarvi le vostre camere. Come avrete notato qui non abbiamo la luce.»
Li precedette di nuovo fuori, nell’aia, e poi dentro l’ala posta all’altro lato del fabbricato, portando un candelabro e diverse candele.
«Ecco» disse mostrando una vasta stanza in cui era posto un letto a baldacchino «se volete i bambini possono dormire nella stanza accanto, oppure potete spostare i loro letti qui dentro, c’è posto.»
I due tedeschi si guardarono: i bambini da sempre dormivano nella loro stanza, ma in casa.
«Per voi ragazzi va bene?» chiese Magda.
«Certo!» rispose la più grande, basta che prima di dormire ci racconti una storia.
«Di fantasmi!» fece eco il piccolo.
«Useremo entrambe le stanze» disse la tedesca rivolgendosi alla padrona di casa, «dove si trova il bagno?»
«Proprio qui accanto» rispose la signora, accendendo le candele e posandole su una cassapanca.
Hans le prese e ne mise un paio nelle camere dei ragazzi, tendendone due per sé.
«Grazie signora» disse «buona notte.»
«Buona notte» rispose questa, e dopo un attimo era già sparita nel buio.

Magda aprì una valigia, tirò fuori i pigiami dei bambini e glieli fece indossare, poi li accompagnò in bagno e si assicurò che si lavassero i denti, quindi li mise a letto.
Stranamente, nonostante fuori l’aria fosse piuttosto fresca, la temperatura nella stanza era gradevole, e la coperta si mostrò più che sufficiente. Mentre il marito si preparava, raccontò ai bambini una storia non troppo spaventosa e spense le candele.
«Buona notte» disse, baciandoli entrambi sulla fronte «per qualsiasi cosa chiamate me o papà.»
Una attimo dopo i due si erano già addormentati e poté tornare nella stanza principale. Il marito era già a letto.
«Spengo la candela?» chiese.
«Sì, spegnila, non vedo l’ora di dormire.»
La donna soffiò sullo stoppino e un odore di cera si diffuse nell’aria.
«Se lo faccio con le dita mi brucio» disse.
«Basta che le bagni con la saliva.»
«Non ne sono mai stata capace: chi usa ancora la candele al giorno d’oggi?»
Hans non rispose.
«Non ti sembra strano tutto questo?» chiese la donna, ma il marito aveva già cominciato a russare piano, così si rassegnò e si girò dall’altra parte.
Dall’imposta filtrava un raggio argenteo di luna, rompendo l’oscurità della stanza.

Un rumore destò Hans nel cuore della notte. Sembrava un lamento portato dal vento, fioco, come se provenisse da molto lontano. Si voltò verso la moglie, ma Magda dormiva e sembrava non aver sentito niente. Hans si levò dal letto e alla luce della luna si portò fuori dalla stanza, nel lungo corridoio che portava all’esterno. Il rumore sembrava provenire da fuori, ma più che un lamento parevano voci che parlavano sommessamente. Voci di adulti e di bambini.
Con cautela aprì la porta. La luna illuminava quasi a giorno l’aia, e proprio al centro c’erano sette figure vestite di scuro, rivolte verso di lui.
Il primo istinto fu di fare un passo indietro e rinchiudersi dentro, ma qualcosa in quel gruppo sembrava chiamarlo con una forza irresistibile. Incapace di opporsi, si diresse a piedi nudi verso quelle persone, e con stupore scoprì che una di queste era proprio la donna che li aveva accolti quella sera.
«Signora» disse, sforzandosi di nascondere il tremito nella voce «cosa sta succedendo? Chi sono queste persone?»
Mentre parlava si accorse che le figure di fronte a lui non erano perfettamente distinte, come se fossero lambite dalla nebbia. Ma la notte era serena e luminosa.
«Questa è la mia famiglia, Hans» disse la donna.
«Ma come fa a conoscere il mio nome? Chi è lei?».
«La stavamo aspettando da tanto tempo» disse la donna «lasci che ci presentiamo.»
E con la mano mostrò un uomo di mezza età.
«Questo è Mazzarini Marino» disse, «mio marito.» Poi indicò gli altri. «Questa è Mazzarini Santa, la mia figlia maggiore, aveva trent’anni. Questo invece è Mazzarini Nello, di vent’anni, e questa è Mazzarini Maria, di diciotto. Questo è Mazzarini Pietro, di dodici anni e questa infine è Mazzarini Palmina. Aveva solo sei anni. Io sono Cecchino Rosa, moglie di Marino e madre di questi figli.»
La donna aveva parlato con voce piatta, senza alcuna intonazione. Hans era agghiacciato e mentalmente stava andando alle ultime parole che il padre gli aveva detto in punto di morte, a quel debito da onorare.
«Il 4 maggio 1944 siamo stati trucidati insieme ad altre cinquantasei persone dai nazisti e dai fascisti che operavano insieme. Suo padre, Gottfried Weber, ero uno dei comandanti.»
Un vento freddo gelò le membra di Hans, che comprese in un colpo solo le ombre che avevano oscurato gli ultimi anni di suo padre. Ma cosa poteva fare lui per quelle persone?
Come se gli avesse letto nel pensiero, Rosa gli rispose.
«Non cerchiamo vendetta né pace. La vendetta è degli uomini e la pace appartiene a noi. Niente di quello che è stato fatto può essere cancellato».
«Ma qualcosa devo poter fare!» esclamò Hans «avrete dei discendenti, dei parenti. Lo so che la morte non si può risarcire, ma in qualche modo devo…»
«Deve cosa? Pensa che sia possibile rimediare a quello che suo padre ha fatto? Vuole redimere la sua anima?».
L’uomo crollò le spalle e si lasciò cadere in ginocchio.
«Ma perché, perché mi avete chiamato qui? Ci deve essere un motivo! Volete me? Volete la mia famiglia?»
La donna scosse la testa. «C’è solo una cosa che può fare.»
«Me la dica, la scongiuro!»
«Non dimenticare.»
Hans la guardò senza capire.
«Non dimenticare? Cosa?»
«Tutto questo» rispose Rosa, allargando le braccia «l’orrore della guerra, i massacri compiuti, il sangue. Noi.»
Dette queste parole la figura sembrò dissolversi nella notte, e allo stesso modo si dileguarono gli altri sei spettri.
Hans ritorno in casa, stravolto, si lasciò cadere sul letto e invocò a lungo il sonno, che venne solo sul far del mattino.

«Sveglia, dormiglione!» lo chiamò la moglie. «Dio mio, che faccia che hai, sembra che tu abbia passato la notte in piedi!»
Hans si girò nel letto.
«Non riuscivo a dormire, deve esser stato che ho mangiato troppo ieri sera» disse.
«Io sono stata benissimo, invece» rispose la moglie « e anche i bambini. Sono già fuori. Ma lo sai una cosa strana? Non c’è traccia di quella signora: la casa sembra essere vuota!»
Il tedesco scrollò la testa per schiarirsi le idee.
«Nessuno?» chiese.
«Te l’ho detto! Ma cosa hai? Mi sembri scemo.»
«Sono solo stanco.»
«Vieni a fare colazione, in macchina ho trovato un pacco di merendine, devono essercene rimaste ancora un paio, così poi ci rimettiamo in viaggio, ma stavolta la strada la scelgo io.»
Hans si tirò su, raccolse i vestiti e se li mise addosso.
«Va bene» disse.

Come furono sulla strada voltarono la vettura e ritornarono indietro per alcuni chilometri, poi imboccarono una provinciale che presentava un asfalto molto migliore.
«Questa sì che è una strada!» esclamò Magda «anche il navigatore ha ripreso a funzionare. Adesso accendo la radio.»
«No.»
«Come no?».
Hans guardò i figli nello specchietto retrovisore.
«Jurgen, posa il videogame, voglio raccontarvi una storia.»
I ragazzi si fecero attenti.
«Una storia? Che storia?»
«Molti anni fa, proprio in questo paese avvennero fatti terribili, a cui partecipò anche vostro nonno…»