Ritratta a piedi nudi in una notte lunare di cicale, estiva come una carezza di vento, estiva come la sua veste bianca.
Si osserva l’anziana diva, mentre giochicchia con le unghie sul calice di Chateu Petrus, di ottima annata le pare. O meglio osserva la se stessa che fu, procedere di spalle verso una passeggiata crepuscolare. Accarezza le sue perle bianche in cerca di conforto e contempla a lungo quella figura succosa, quel procedere morbido che oggi appare innaturale, o sovrannaturale come in effetti è la giovinezza.
Non riesce a perdonare quell’avvenenza senza volto, colpevole, sì colpevole, di essere sfumata senza troppi convenevoli, come le inebrianti esalazioni di questa bottiglia, sì 2010 è una delle annate migliori ne è certa, che appena stappata quasi inibisce i pensieri.

Alza comunque il calice, l’unico concessole a render più sipida la chiusura di giornate troppo uguali, in segno di saluto verso la fanciulla nel quadro, che oggi sembra appartenere ad una icona, conosciuta solo grazie ai manifesti.
E invano cerca di rievocare quelle fattezze irriverenti nello specchio: tratti che le è sempre più difficile improvvisare in un ricordo. Lineamenti ed espressioni che avrebbero potuto accendere moti nell’animo più indifferente. E pensare che di solito la sua nenia preferita è proprio raccontare alle nipoti, le sue uniche fan rimaste, di quando gli uomini si accendevano al passaggio della sua capigliatura lucida, di quando morivano se solo rivolgeva loro, per un solo istante, lo sguardo: quello fatale, quello allusivo di promesse mai concesse.
Ma oggi è diverso.

Oggi si perde nell’aria rafferma della donna allo specchio, alla ricerca di una somiglianza o un indizio, anche solo di una vicinanza di indole. Ma è andata persa nel lontano tempo delle suggestioni. Ci prova, e insiste, che non è facile accettare sia spezzata come un incantesimo anche l’audacia dell’età immatura.
Ma è inutile qualsiasi confronto, e risulta crudele la ricerca di quella fiamma sotto la ruggine degli anni, che invece si traduce in lasciapassare per pensieri cupi, in un richiamo per dolori vissuti che invano stavolta prova a distanziare. Prosit.