Avrebbe dovuto mettere la maglia di lana sotto la casula, altro che il camice di cotone!
Ma alla televisione avevano detto che ci sarebbe stato bel tempo, invece guarda qua, ci sono delle raffiche di vento che portano via.
In testa al corteo un chierichetto con la croce, poi lui, dritto come un fuso, non lascia trasparire nessuna emozione. Eppure dentro, una ridda di pensieri gli affolla la mente. In religioso silenzio guida la piccola processione lungo il viale di cipressi che si ergono maestosi, come dita puntate verso il cielo. I valletti dell’agenzia funeraria fanno fatica a procedere lungo il percorso ghiaioso del cimitero portando a spalla la bara di mogano massiccio.
Gli aghi secchi del cedro libanese, poco più in là, fanno mulinello e finiscono la loro corsa contro i mucchi di terra accanto alla fossa.
La stola viola intorno al collo si alza beffarda ad ogni refolo. Fortuna che dietro c’è una tomba con tanto di angelo con le ali spiegate che fa da frangivento.
Avrebbe preferito che ad officiare la funzione funebre fosse venuto padre Gustavo ma un attacco di gotta improvviso l’aveva costretto al riposo assoluto.
Così è toccato a lui accompagnare per l’ultimo viaggio l’amico di sempre.
Che poi lui…il prete…manco lo voleva fare…

“…In paradiso ti accompagnino gli angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri…”
L’aspersorio che disegna nell’aria una croce spruzzando una generosa cascata di acquasanta a benedire il feretro e la prima fila dei congiunti.

˗ Prego, padre Idelbrando, si allontani che dobbiamo calare la bara ˗ gli dice l’impresario delle pompe funebri.
Una corda che cede e con un tonfo sordo la bara tocca il fondo. Due moccoli a denti stretti del becchino agli aiutanti e l’ultima parte del rito funebre:“L’eterno riposo dona a lui, o Signore, e
splenda a lui la luce perpetua. Riposi in pace. Amen”
Si sposta di qualche passo per permettere ai parenti di pronunciare qualche parola di commiato. La prima è la moglie. Una rosa rossa tra le mani vestite di guanti di pizzo nero.
E poi via via tutti gli altri.
Qualcuno privo di fantasia dice: “E pensare che fino all’altro ieri eri così…così…così vivo!”

Beh, che fino all’altro ieri fosse vivo lo sapeva anche lui. Pio si era presentato come tutte le mattine alle otto in punto in canonica e cinque minuti prima, come sempre, lui aveva messo la caffettiera sul fuoco.

˗ Ciao Brando- gli aveva detto pulendosi i piedi sullo zerbino. Era l’unico a chiamarlo Brando. Da sempre. Da quando avevano i calzoni corti. Gli altri lo prendevano in giro per quel nome strampalato che i suoi si erano divertiti a mettergli. Avrebbe dovuto essere come quello dello zio monsignore, Ildebrando, che già di suo faceva vomitare, ma l’impiegato dell’anagrafe era riuscito a fare di meglio storpiandolo.
Per fortuna di cognome faceva “Vittorioso”, il che pareggiava un po’ i conti.
“Il destino sta nel nome” gli diceva sempre suo padre per mitigare un po’ quella scelta infelice, dovuta più che altro a una forma di riconoscenza verso il fratello vescovo che ogni tanto gli allungava qualcosa.
È che la natura si era un po’ divertita con lui e di Vittorioso ci aveva poco. Lungo allampanato, gracile, con i capelli tagliati alla “Paggio Fernando” perché così coprivano le orecchie a sventola. Il naso adunco sistemato fra due occhi enormi, per i quali si era guadagnato l’appellativo di Allocco per la vaga somiglianza con il pennuto notturno e non certo per l’intelligenza che al contrario di quelle capre dei suoi compagni di scuola era molto vivace.

“ Lungo lungo e fesso fesso Idelbrando pare un cesso”, gli pare ancora di sentirli. Maledetti!

Ma Pio lo aveva sempre difeso. Oddio, non è che lui fosse messo meglio, Pio Depretis, si chiamava. Depretis tutto attaccato, che poi da grande aveva trasformato, perché il “De” da solo faceva fine. Il fatto è che a lui nessuno osava prenderlo in giro. Era il più forte, il più popolare e decisamente il più bello. Ed era suo amico.
Brando! Uhm, come gli piaceva pronunciato da lui. Aveva un suono così pieno, così sensuale.
Che lo mandasse pure all’inferno il creatore, per questi suoi pensieri peccaminosi, ma in fondo lui, il prete… manco lo voleva fare…
Lo aveva amato da subito, Pio, e aveva continuato a farlo anche quando era in seminario. I suoi erano poveri, non potevano permettersi di mandarlo a scuola, ma con lo zio ammanicato con la curia erano riusciti a farlo entrare. “Per studiare”, aveva sottolineato suo padre, comunista fino al midollo, ”solo per studiare!”
Pio lo andava a trovare, ridevano, scherzavano, si raccontavano cose, a volte gli portava dei giornalini di Tex o di Diabolik e quando gli andava bene anche delle sigarette di Marlboro sgraffignate al padre. Si nascondevano in giardino, dietro la statua della Madonna dell’Incoronata e fumavano. Era capitato che padre Serafino affacciandosi alla finestra notasse il filo di fumo uscire da dietro la Vergine e urlasse al miracolo: “Correte, correte, l’anima beata sale verso il cielo!” Ma non se lo filava nessuno perché aveva un principio di Alzheimer. Poi un giorno, nel chiostro, seduti all’ombra del loggiato Pio gli aveva confidato di essersi innamorato.
Per un attimo aveva perso il respiro e il cuore si era aperto alla speranza, ma poi Pio aveva aggiunto: “Sai Brando, non si tratta di scopare, io Giulia l’amo davvero”
Gli era crollato il mondo addosso. Si era sentito come quella volta che si erano rotti i freni della bicicletta e si era stampato contro un muro. Aveva sentito il pomo d’Adamo, grosso come una nespola salire e scendere lungo il collo magro, poi con un sorriso forzato e una vocina stridula era riuscito a dire: ”Sono contento per te…”
È per questo che si era avvicinato al sacerdozio, perché nulla ormai aveva più importanza per lui.
Se lo ricorda ancora quando lo aveva detto ai suoi; era la vigilia di Natale. Se lo ricorda perché avevano passato la notte all’ospedale perché suo padre aveva avuto una colica di fegato.

Caffè corretto alla sambuca e un cucchiaino di zucchero, così piaceva a Pio.
Non lo avrebbe confessato neanche sotto tortura che ogni volta, appena Pio usciva dalla sua cucina, metteva le labbra sul bordo della tazzina esattamente dove si erano appoggiate le sue.

˗ Brando ti devo parlare-, gli disse quella mattina, ˗ Dell’associazione. Ho deciso di mollare. Troppe beghe, troppe complicazioni. E poi Giulia ed io vorremmo ritirarci in un posto tranquillo, al mare…magari all’estero… –
-All’estero…?
Per poco non s’era strozzato con la mollica di pane che stava intingendo nel rosso d’uovo, la sua colazione.
Voleva mollare? Ma come? Era stato lui a proporgliela l’associazione.
E lui aveva accettato senza battere ciglio, non che gli interessasse più di tanto, i poveri sarebbero sempre stati poveri, ma lavorare fianco a fianco con lui, averlo vicino, era quello che più desiderava al mondo.

“Tu con i tuoi poveri ed io con il saperci fare realizzeremo grandi cose”, così gli aveva detto.
E ora? Abbandonava tutto. Ma soprattutto, abbandonava lui.
Gli aveva confessato quanto si sentisse mortificato per la delusione che gli stava dando. E che doveva fare lui? Lo aveva ascoltato, lo aveva assolto… e gli aveva dato la giusta penitenza.
In fondo era un prete, anche se lui il prete… manco lo voleva fare.

Ed ora eccola lì, Giulia, la vedova inconsolabile, la legittima, che asciuga lacrime inesistenti.
La guarda e sorride, di un sorriso cattivo, di chi sa e non può raccontare. Nel segreto della confessione si viene a conoscenza di tante cose.

“Lei lo ha avuto per se per trent’anni” pensa con rabbia, “ma non le appartiene più ora”.
Pio è seppellito sotto due metri di terra e lui verrà a trovarlo tutti i giorni che gli restano da vivere. Oh, si, lo farà! Potrà finalmente raccontargli del suo amore per lui. È tutto suo ora. Suo e di nessun altro. “Era destino”, pensa guardando l’incisione sulla lapide. Pio De Pretis. Perché il destino sta nel nome.