Piccola Cla
Questa è la storia di Piccola Cla che aveva anche lei nel suo armadio, come tutte le bambine del mondo, un cappottino rosso che la faceva somigliare ad un folletto, soprattutto quando sorrideva con la bocca che s’allargava da una guancia all’altra come una falce di luna.
O un petalo di fiore.
O uno spicchio d’arancia.
O tutto ciò che di grazioso il sorriso d’una bimba può ispirare.

Piazza Dell’ Amor Perfetto
Piccola Cla abitava con i suoi genitori in Piazza Dell’ Amor Perfetto anche se, a dir la verità, di amore se ne respirava davvero poco in quei pressi, crocicchio di donne di malaffare e di filibustieri, di povera gente abituata a vivere con nulla, e di bambini rumorosi e precoci.
La casa di Piccola Cla, però, non era proprio sulla piazza, ma s’ergeva solitaria su una collinetta prospiciente che la delimitava dal lato destro, e così, per motivi pratici, il nome era stato esteso anche a quella minuscola montagnola.
Piccola Cla dal balconcino della sua camera agevolmente poteva osservare il frenetico, quanto oscuro viavai, che già dalle prime luci dell’alba animava la via sottostante, a cui però la mamma aveva proibito l’accesso.
Così rimaneva affacciata per ore, come una spettatrice dal palco del Teatro dell’Opera, a contemplare l’incessante andirivieni di uomini e mezzi, a cercar di carpire le voci che giungevano fino a lei trasportate dall’aria come un brusio indecifrabile, a catturare gli odori camuffati di verde e di azzurro, di mare e di collina, di alghe e di sterco.
In Piazza Dell’ Amor Perfetto, di amore non ce ne era così tanto, ma solo tentativi maldestri e commoventi, rare volte riusciti, spesso falliti: più tragedia che commedia.
Una rappresentazione complessa per una bambina a cui nessuno spiegava nulla di ciò che dabbasso realmente accadeva, e così lei fantasticava che un giorno sarebbe discesa dalla collina, e dal ruolo passivo di spettatrice sarebbe passata a quello più dinamico di protagonista.
Piazza Dell’ Amor Perfetto, con i suoi piccoli criminali, le donne malamente imbellettate, e i bambini precocemente svezzati, avrebbe costituito per Piccola Cla una specie di debutto in società.

Il cappottino rosso
Da quel balconcino lei vedeva le stagioni cambiare, crescere i bambini, diventar vecchi gli adulti.
Eppoi i regolamenti di conti, qualche serenata, disinibiti mercanteggiamenti, i carnevali vivacissimi e molesti, la festa del Santo Patrono con i fuochi d’artificio equamente distribuiti tra le colline ed il mare, matrimoni e funerali. Memorabile quella volta che, nello stesso giorno, la sposa aveva indossato al mattino l’abito bianco nuziale e la stessa sera quello nero vedovile.
Al balconcino però tutto questo arrivava a sprazzi, sfumato, confuso ed incoerente: difficile da decifrare

Nell’ennesimo giorno di tedio mortale, Piccola Cla maturò l’idea che infondo all’armadio giaceva avvolto nel cellophane il suo cappottino rosso, e che forse quello era l’ultimo inverno che avrebbe potuto indossarlo.
Un cappottino pressoché nuovo che di occasioni per sfoggiarlo non ne aveva avute molte, e solo per eventi noiosi e circoscritti all’ambito famigliare.
Ecco che la sua mente di bambina, fervida ed immaginifica, già istintivamente predisposta ad abbracciare idealismi  e sogni, aveva concepito l’innocente, quanto ardito disegno, di attuare una conoscenza più diretta con quel luogo fatato che era per lei Piazza Dell’ Amor Perfetto.
Nella sua giovanissima mente questo concetto era stato formulato in maniera molto più elementare e non contemplava nessun sofisma  riguardante moti di ribellione all’autorità genitoriale, cosicché  possiamo semplicemente riassumere il suo progetto in un innocentissimo “farò solo una passeggiata piccola piccola”

Nella pasticceria di Mangiafuoco e poi l’entrata in scena di una querula capretta
Ma, in Piazza Dell’ Amor Perfetto, Piccola Cla scomparve o, per meglio dire, venne  inglobata in quell’umanità irregolare e caotica che popolava la strada, divenendone parte.
E fu amore a prima vista fra la bambina vestita di rosso e la folla variegata che disordinata e chiassosa irrompeva dai portoni e vociava dalle finestre in quella domenica mattina, turchese e smeraldo, della città di Genova, dove l’impeto festoso della campane della chiesa della Maddalena accresceva quel trambusto da luna park.
Tutti quei colori e tutti quei rumori prodotti nello stesso momento, Piccola Cla, abituata a vivere in un mondo  ordinato, programmato e per volontà materna estremamente soffuso, non li aveva mai sperimentati prima di allora, così le sembrava di stare dentro un grande carillon e di girare ad un ritmo vorticoso ed inebriante, sicura che seppur fosse caduta non avrebbe riportato danni perché la folla avrebbe attutito l’impatto.
Nessuna escoriazione.
Nessuno strappo al cappottino rosso.
Nessun motivo per cui la mamma avrebbe potuto recriminare.

Irresistibilmente attratta, in egual misura, dalla vetrina della pasticceria e da quella del fiorista, i negozi strategicamente posizionati l’uno vicino all’altro, perché entrambi vendevano dolcezze, l’uno nella glassa minuta e friabile di un pasticcino e l’altro nei teneri petali sfumati, arancio e mandarino, di un tulipano.
Piccola Cla sostava tra i due usci, indecisa su quale per primo sarebbe entrata  semmai avesse avuto la possibilità di qualche moneta per fare acquisti, quando una voce possente dall’interno della pasticceria la invitò ad entrare e, ad accoglierla dietro il bancone, c’era il fratello di Mangiafuoco, mezzo zingaro e mezzo pirata, tale e quale il protagonista della favola di Pinocchio, con la bocca larga come un forno e gli occhi che parevano due lanterne di vetro rosso, che le porgeva un cartoccino profumato di frolle e meringhe: un gigante brutto ma dall’animo tenero, proprio come quello della versione originale di Collodi, non ancora incattivito, oltremisura e senza speranza, di quello della  Disney (ma questo, Piccola Cla, lo avrebbe scoperto solo in età adulta, svelando anche che la trasposizione materna della fiaba aveva di molto contribuito ad accrescere la cattiva fama di questo personaggio).
– Con questi non rischi di sporcare il tuo bel cappottino e la mamma non avrà di che rimproverarti. E ti garantisco che sono buoni, anzi di sicuro più buoni di quelli esposti nella vetrina che paiono più golosi ma, in realtà, servono ad invogliare la gente ad entrare, un po come un’esca, invece questi sono speciali, provengono direttamente dalla mia cucina e non sono  in vendita, sono per la famiglia e per gli amici –

Piccola Cla, per via dell’età, non poteva capire ancora che quello che le veniva offerto non era solo un semplice cartoccino di dolci ma qualcosa di più grande, una regola morale che un giorno, diventata adulta, avrebbe ben saputo comprendere: l’apparenza non sempre corrisponde alla sostanza, e i giudizi stabiliti solo in base a questo sono assolutamente da evitare perché pericolosi e danneggianti.

Piccola Cla educatamente ringraziò “il signor Mangiafuoco”, gratificandolo di un luminoso sorriso (non più solo una falce, ma una luna a tre quarti) predisponendosi ad assaporare la dolcezza casalinga contenuta nel goloso cartoccetto… quando da un vicolo, belando querula, sbucò una capretta.

 Una lunga conversazione confidenziale dove emergono verità manipolate ed altre sottaciute
Se ti stai chiedendo se le capre mangiano i dolci non saprei risponderti, ma se mi domandi se io ne mangio, ti rispondo di si, e che i miei preferiti sono proprio frolle e meringhe, e quelle del tuo cartoccio emanano un profumo delizioso, e così  non ne disdegnerei un assaggio, sempre che tu voglia offrirmene… ecco brava, così, nel cavo della tua mano…un po di più per favore che altrimenti non riesco a prenderne.

Una strana coppia, la bambina e la capra, accoccolate a terra, intente a condividere l’incarto di dolciumi di cui Piccola Cla aveva generosamente, con abbondanza, omaggiato quella sua nuova straordinaria conoscenza.
Querula e frastornante, per la verità, perché ad ogni frase intercalava un belato variamente prolungato secondo l’importanza attribuita al discorso. La bambina, nel corso della conversazione, aveva così scoperto che il bèèèèèè con sei echi finali rappresentava un punto di domanda, e questo particolare del linguaggio caprino si era rivelato essenziale per un più corretto svolgersi della conversazione che altrimenti sarebbe naufragata nell’incomprensione più totale, dal momento che la “signora capra” non aveva considerato la necessità, per un miglior intendimento, di frasi più corte e di pause più lunghe.

Ma Piccola Cla era una bambina curiosa del mondo e pronta ad accoglierne le meraviglie senza discriminanti né inopportuni scetticismi.
La “signora capra” dal canto suo, dopo aver spazzolato anche le briciole cadute a terra, era assai ben disposta nei suoi confronti.

Meglio del salato c’è il dolce, e non si discute! Ne hanno messe in giro di leggende per darci ad intendere il contrario, cara mia, ma senza riuscirci, dammi un bel tazzone di latte, piccola, con una manciatella di biscotti per fare una colazione degna di questo nome, che il sale lo lascio volentieri ai fornai e ai pizzaioli.
A proposito, come ti chiami? Io Clarabella Goat. Origini straniere, penserai, naaaaaaa…è che mia mamma era patita dei personaggi Disney, in particolare di quella mucca smorfiosa, Clarabella, appunto, e allora che ti va a pensare al momento di dichiarare il mio nome all’anagrafe dei caprini? Clarabella Cow! Fortuna che ha aggiustato il secondo nome in Goat. E tu come ti chiami? Cappuccetto Rosso? Ok, lo so, questa è scontata e chissà in quanti te l’avranno già detto, però un po le somigli. Io l’ho conosciuta personalmente sai, ed anche lì ci hanno montato una storia epocale, distorsione dei fatti, stravolgimento della realtà, piccola, e tutto per il business, che quel povero lupo…ma ti pare davvero credibile che i fatti siano andati così come sono stati raccontati? Al solito, non sapevano che pesci prendere, abbisognavano di un capro espiatorio (non volevo dirla sta frase, che mi  provoca subbuglio e sudori freddi) e il lupo, con la cattiva fama che da sempre lo perseguita, ben si prestava allo scopo. E il ruolo del cacciatore? Quello vero, intendo! Mai fatta un indagine approfondita che ancora oggi in quel maledetto affaire, la verità non è mai emersa. « Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto! » Così recita Clint. E il povero  lupo non era neppure armato! Sai che se fossi nata maschio mi sarei chiamata col suo nome e cognome? Clint Eastwood,  perché mia mamma non fa mai le cose a metà. Ma come vola il tempo quando si è in così piacevole compagnia, è ora di pranzo ed i miei si staranno chiedendo dove sono finita. Bé, piccola, è stato un vero piacere conoscerti. Arrivederci al prossimo picnic!

Piccola Cla non si era resa conto di quanto tardi fosse, della corsa che avrebbe dovuto fare per risalire la collina per essere a casa prima che sua mamma la chiamasse per apparecchiare la tavola.
Non avrebbe mai fatto in tempo, e stavolta si che sarebbero stati guai grossi.
Chissà se le rivelazioni di Clarabella Goat, quelle sulla predilezione caprina per il gusto del dolce anziché del salato, e quelle ancor più scottanti sugli omissis nell’affaire Cappuccetto Rosso, sarebbero state in grado di mitigare la collera materna e, seppur per miracolo avessero costituito un buon motivo per giustificare il suo ritardo a tavola, non avrebbero di sicuro rappresentato un valido alibi per la gravissima colpa di aver disobbedito al suo divieto perentorio di non scendere mai in strada da sola.

Ci sarebbe stata baruffa, e di sicuro le avrebbe buscate.
Ma non avrebbe pianto.
Piangere sarebbe stato abiurare quel suo desiderio realizzato, promettere che non l’avrebbe fatto più.
No, non avrebbe sottoscritto nessun trattato di resa incondizionata che l’avrebbe relegata ad un esilio forzato a quel balconcino, che da quel momento immaginava sarebbe stato sorvegliato a vista.
E non avrebbe neppure inventato una bugia per giustificare quella sua imperdonabile trasgressione, tanto sua mamma non avrebbe compreso, perché non le importava davvero capire, era il reato commesso l’unica cosa di cui avrebbe tenuto conto senza prendere in considerazione i motivi che lo avevano determinato.
Perché sua mamma, come tanti, non nutriva nessun reale interesse per la verità delle storie.
Proprio come aveva asserito Clarabella Goat.