Niente impronte sulla neve

Sospesa nel vuoto.
Tutto intorno domina un bianco accecante.
Non sa dov’è, non sa chi è, ma soprattutto, non sa cos’è.

Il vento soffia gelido procurandole un inaspettato benessere.
Alle sue spalle la presenza di qualcuno, di qualcosa.
Due sentinelle mute, spettatrici del suo stupore.
Di tutte le sensazioni che prova solo la paura le è sconosciuta.

Rimane immobile, ancorata alla sporgenza di una roccia. Gli occhi si muovono frenetici alla ricerca di qualcosa che possa darle il benché minimo indizio del posto in cui si trova.
Monti, neve, nuvole bianche, ancora neve.
E il sole, maestoso e potente.
Si scopre a guardarla, questa palla infuocata, senza essere costretta ad abbassare lo sguardo.
I raggi non scalfiscono in alcun modo i suoi occhi.
Perché?
Questo, più di tutto, la stupisce.

Prova a fare mente locale, ad accostare i tasselli della memoria e lentamente come le stelle alpine che intravede qua e là spuntano i ricordi.
Cate. Si chiama Cate.

Ha contato tanti inverni nella sua vita ma in nessuno di questi ha visto la neve.
Ne ha sentito parlare, una vita fa, ma non si aspettava tanto splendore.
Ne è affascinata. Sa di pulito la neve, di puro. Attutisce i rumori, copre le miserie del mondo, ti avvicina a Dio. Ma qui, dove si trova ora, non ci sono rumori. Tutto tace.

E poi dei flashback a ritroso nel tempo.
Lei vecchia che lentamente si spegne fra lenzuola odorose di lavanda.
Sulla testata del letto un mazzolino essiccato di Verbena, l’erba dei sognatori,utile a conservare nitido ogni frammento di sogno.
E poi ancora, lei madre, lei sposa, lei fanciulla.
I ricordi belli, quelli, chissà perché lasciano l’impronta di una piuma, mentre gli altri, quelli che fanno male rimangono scolpiti nella mente, sulla pelle, nel cuore.

Le immagini ora le appaiono nitide.
Cate e le sue amiche.
Chiara e Maddalena.
Sempre insieme.
Le confidenze, il ricamo, il lavoro nei campi. La mietitura, la vendemmia. La povertà.
Tra i seni acerbi un pezzetto di pane, da annusare quando si sentono i morsi della fame perché l’odorato inganna il cervello appagando per un po’ lo stomaco.

Cate e le sue amiche.
Lungo il fiume, con le gonne rimboccate fino alla cintola e i piedi nell’acqua, intente ad immergere la ginestra per farla macerare per poi batterla ed estrarne il filamento.
O a giro per i campi, cercando cicoria, buona per farci il caffè o da mangiare scondita con contorno di nulla.

Cate e le sue amiche.
Su per i monti in cerca di foglie di sambuco per farci cataplasmi e guarire il fuoco di Sant’Antonio. Anche il giovane medico del paese si fece curare con quelle. Con quelle e con una moneta d’argento per “segnare” le lesioni.
Si era presentato una sera che pioveva come Dio la mandava, chiuso in un tabarro di panno nero e un cappello a bandeau calato sugli occhi, continuando a guardarsi dietro le spalle come un cospiratore.
Sua madre lo aveva fatto entrare accennando ad una riverenza.
Il cerusico, così era definito il dottore, aveva la stessa importanza del prete e del sindaco.
Dopo averlo fatto accomodare sull’unica sedia buona gli aveva offerto un bicchierino di cordiale non più alto di un ditale che il medico prontamente aveva rifiutato.
“Vengo al dunque, donna Carmela”, aveva detto,“vi chiedo il permesso di farmi curare da vostra figlia, so che ha guarito altre persone da questo morbo. Sono settimane ormai che mi perseguita, la medicina tradizionale non mi è stata di alcun aiuto, non ne posso più!”
Lo aveva curato Cate e lo aveva fatto per tutta la vita, perché quell’uomo qualche anno dopo era diventato suo marito.

Una folata di vento resetta i suoi pensieri, è altro quello che deve ricordare.
Fili invisibili aggiustano il tiro.
Lei vecchia, lei madre, lei sposa, lei fanciulla. Le amiche. Le erbe.

Conosceva bene le erbe, Cate, non avevano segreti per lei. Sapeva dove trovarle, quali evitare, come trattarle.
Ed erano in cerca di erbe quel giorno.
Cate e le sue amiche.
Si erano divise, Chiara e Maddalena in cerca di finocchietto selvatico, lei lungo il fiume dove l’acanto cresceva rigoglioso.
Cate aveva cominciato la ricerca camminando scalza sulla terra umida, ai margini del corso d’acqua, scansando le pietre più aguzze e raccogliendo le foglie più tenere.
L’aria era tersa ,i suoni della natura erano musica.
Lo scorrere dell’acqua faceva da sottofondo al canto degli uccelli, al gracidare delle rane, alle risate in lontananza di Chiara e Maddalena.

Ma come un violinista che stecca sbagliando un passaggio, una nota stridula vibrò nell’aria violando l’armonia dei suoni in quel mattino di piena estate.
Una nube grigia, rumorosa e sguaiata si era abbattuta nella vallata. Si sfaldava e si univa, abbaiava ordini. Soldati. Il nemico.
Cate si era appiattita al suolo e aveva strisciato fino ad una insenatura dove una grotta di rovi le aveva fatto da nascondiglio. Le spine le si erano conficcate nelle carni, ma non le sentiva, la paura aveva un suono più assordante.
Si era tappata le orecchie ma non era stato sufficiente. L”inferno che si stava consumando poco oltre il fiume trovava il modo di farsi sentire.

Risate, sberleffi, suppliche, pianti, urla. Due spari. Il silenzio.
“Qual è?” si era domandata Cate,”qual è il posto più sicuro al mondo dove la malvagità dell’uomo non arriva?
Il mare forse? No. Questi uomini venivano dal mare. Forse i monti, quelli altissimi dove ci sono le nevi perenni, lassù dove vivono le aquile? Vorrei essere un’aquila, vorrei lo fossero le mie amiche…”

Così come era arrivata la nube si era dileguata, rumorosa e sguaiata.
Era ormai il tramonto quando Cate aveva trovato la forza di uscire dal suo rifugio. Le spine avevano lacerato le sue braccia, le sue gambe, il suo volto, ma niente era paragonabile alle ferite che quel mattino d’estate aveva inciso nella sua anima.
Il sole, rosso come non mai, stendeva i suoi ultimi raggi sul sentiero, gettando una strana luce su quei fiori abbattuti, margherite, papaveri… Chiara, Maddalena.

Buio.
Poi di nuovo la neve, le vette che graffiano il cielo.
Il vento tra le piume. I ricordi svaniscono, in dissolvenza. Sei occhi a sfidare il sole.
Cate e le sue amiche.
Ancora insieme.
Sono altro ora.
Non ci sono orme d’uomo lassù.