Marco e Marta.

(seconda parte)

«Marco, c’è un confine, una terra di nessuno nella quale occorre districarsi per distinguere se andare oltre o tornare indietro; è lì che sbagli. Mi dispiace per quello che ti accade ma devi tornare indietro e cercare altri varchi. Sono passati tanti anni; come è possibile?»

«Non lo so, Marta, non lo so. Aldilà del confine io non vedo un nemico, forse è questo. Vedo invece un mistero».

«Ma per te le cose non sono andate avanti? Fammi capire, raccontami come vivi. Io nel frattempo ho preso tutto l’occorrente per cominciare a costruire e lasciare qualcosa a chi verrà dopo di me, sto oramai realizzando il mio futuro, ho famiglia, ho figli da accudire e condurre. Sono una madre, Marco, non ti fai remore? Non hai rispetto? I sogni li ho ampiamente selezionati, scremati. Ce n’è rimasto uno solo, Marco, ma continuate invece a rompere tutti quanti anche se capisco, sono fatta così, non è tutta colpa vostra e vi voglio ugualmente bene».

«Sei una madre, vero. Scusami Marta, hai ragione, sono un verme. Va bene, vado via subito. E poi è vero, per te stravedono tutti e non hai colpe. E mi metti nel fascio come tutte le altre erbe. Va bene, Marta, dai, sono felice che ti vada tutto bene. È stato bello vederti e salutarti. Vado via, corro al paese a fare le mie cose. Non so però cosa ti sia successo in questi dieci anni. Sai bene che a scuola volevano tutti quanti conquistarti per esibirti come un gioiello e l’unico che ti abbia amata davvero è stato il sottoscritto. Scusa la crudezza. Ciao, Marta. Sii felice, mi raccomando», disse Marco quasi strillando e alzandosi.

«No Marco, aspetta, siediti, voglio sapere di te. Perché ti offendi? Quasi non ti sei fatto vivo per dieci anni ed io nel frattempo ho lavorato sulla mia vita, Marco. Perché ti ritieni speciale? Mi fai capire cosa ti distingue dal fascio? Siediti, perché… va bene, tu non sei affatto come tutti gli altri ma razionalmente questo è quel che meriteresti, non ti pare?»

«Razionalmente? Chiediti perché non mi son fatto quasi sentire per dieci anni e perché sono qua dopo dieci anni, provaci. Sei brava a nasconderlo ma so che un gran cuore ce l’hai pure tu! Sfruttane almeno una parte!» disse Marco senza sedersi.

«Non gridare. Siediti e cercherò di risponderti».

«Sono qua, avanti!» disse Marco sedendosi nervosamente.

«Va bene, posso capire ma non approvo. Primo: sono sposata ed ho due bambini. Secondo: calmati e metti i piedi per terra. Terzo: sei arrabbiato perché dieci anni fa ti respinsi più volte? Ti capisco, hai il tuo orgoglio, la tua dignità. Io oggi vivo però serena e ne deduco che quando ti respinsi non sbagliai niente. Vuoi farmene una colpa ed arrabbiarti? Quarto: eravamo ragazzi. Quinto: la vita va avanti e ognuno sceglie la sua strada. Sesto: tu non ti sei fatto più vivo. Settimo: non è forse perché hai scelto la tua strada? Ottavo: tu hai scelto la tua ed io ho scelto la mia, non devi stare male, Marco, e per quanto mi riguarda ti sento sempre come un amico. Nono: va bene, ho sbagliato a dirti che sei come gli altri, scusami. Sei invece un caro amico, lo sei ancora. Decimo: non corteggiarmi, non è più tempo. Ho la mia famiglia e quindi non mi stai corteggiando ma stai insidiando la mia serenità e stai buttando via il lavoro che hai fatto per dieci anni e che ti ha portato a stare con Anna, lavoro che è invece prezioso perché immagino che Anna sia una creatura meravigliosa. Marco, per favore ragiona, cosa vai cercando? Io ho la mia vitae e tu hai la tua. Dai, raccontami di te e di Anna».

«Maledizione! Io so che ieri mattina ero tranquillo e che ora sto invece imprecando, come se la vita fosse stata ingiusta con me. Questo so e per il resto è tutto confuso. Non fraintendermi, se ho ben capito le cose ti sono andate bene e sono felice per te ma ora tocco con mano che soffro, che non mi è stata data la possibilità di vivere il più grande amore. Io ho Anna ed ora mi sento pure in colpa con lei ma… questo è, questo è».

«Ecco, lo vedi? Stai male per due motivi: stai maltrattando Anna e sai pure che stai insidiando me. Il caso è chiuso. Dicevamo? Come vivi a Roma?»

«Marta, è vero, ti sto insidiando. Scusa per il mio disordine, per la mia scompostezza e per la mia reazione che non ha giustificazione. Sei affascinante più di prima ma io vorrei sapere una cosa. Tu con la tua ragione, col tuo intelletto risolvi tutto? Va bene, sei grande, ma sei felice? Ma col cuore, vivi? Glielo dai un po’ di respiro al cuore? Te lo chiedo perché io ho invece fame di cuore. Mi manca il grande amore, quello che ho sognato, quello che non ho potuto realizzare e quello che per questo ho cercato di dimenticare mettendoci dieci anni per capire che tutto si può tranne che dimenticare. Mi manchi tu Marta, maledizione!»

«Non bestemmiare, Marco, ti fai male e mi fai male. Amo mio marito. Tu non sai quanto mi dispiace vederti soffrire. Scorza coriacea un corno! Se così fosse la colpa sarebbe tua perché tu sei quello che quella scorza mi avrebbe aiutata a costruirla, a stare in guardia. Mi hai insegnato ad essere stronza, lo hai dimenticato? E stronza sono diventata».

«Per fortuna, altrimenti ti avrebbero stritolata».

«Ecco! Perciò ti ritengo un caro amico. Inutile arrabbiarsi. La vita è difficile, è complicata. Ti chiedi se io sono felice, se curo il mio cuore. Tu sai forse cosa è la felicità? Beh, beato te. Io non lo so. Mi pare un qualcosa di labile, di evanescente, di estremamente transitorio. Se la felicità è realizzare i desiderata del cuore…»

Marta si fermò.

«Che c’è? Vai Marta, vai! Prosegui. Dicevi? Parla, apriti, che se lo farai potrò forse capirti e se ti capirò potrò forse mettermi l’anima in pace o magari aiutarti se stai male. Prosegui».

Marta rimase in silenzio.

«Non ce la fai Marta, non ce la fai, esattamente come dieci anni fa non ce la fai a dirmi che la tua felicità sono io, non ce la fai a dirmi che mi ami e questo mi fa impazzire. Non so cosa ti impedisce di essere felice con me, Marta, ti rifiuti di spiegarmelo. Si tratta del fatto che non mi ritieni all’altezza del tuo sangue blu? Dimmelo, cribbio! Sii sincera, parliamone, che se il problema è questo lo superiamo».

«Marco, mi spaventi. La tua sicumera mi infastidisce, non credi di esagerare e di essere presuntuoso?»

«Non ti spaventare, scusami, sono stato violento, hai ragione, però stavi dicendo una cosa importante, continua, ti prego. Cosa succede se la felicità è realizzare i desiderata del cuore?»

«Succede che seguiamo il cuore e realizziamo la felicità. Sì, va bene, e con ciò? Sarebbe splendido se non fosse che così facendo finiremmo sul lastrico perché la felicità è sempre qualcosa di transitorio mentre la vita va avanti e sorpassa il momento di felicità. Dobbiamo opporci al disordine, dobbiamo lottare, dobbiamo costruire, dobbiamo metterci al sicuro, lì sta la vera felicità. Di soli sogni non si vive».

«Lo sapevo! Lo sapevo! Ti sei fermata per non concludere che mi ami, ti sei ingegnata, hai sfoderato la corazza e non hai risposto alla mia domanda: sei felice? Non puoi liquidarmi dicendo che la felicità è transitoria omettendo di dire che vivere significa inseguire gli attimi di felicità ed acchiapparli sempre».

«Smettiamola con questo gioco, Marco. Tu hai Anna, tienila stretta, hai un tesoro, altro che illusione! Altro che maschera! Stai lavorando pure tu sulla tua vita, esattamente come faccio io. Comunque… non sei cambiato. Irrequieto e sensibile, schietto e franco come ai vecchi tem…»

«Macché! Oggi sono sporco e falso. Sporco perché ti sto forse insidiando e falso perché ieri ho detto delle mezze bugie ad Anna. Mi faccio schifo. Dovevo pagare bollette, salutare parenti e così via ma in realtà son venuto qui a trovare te e non potevo portarla con me. Sto nascondendo ad Anna chi sono io, la sto ingannando».

«Va bene ma non mi sembra grave, può succedere a tutti. Non siamo maschere un po’ tutti quanti? Aspiri forse alla santità? Fai bene e ti auguro di riuscirci ma insisto col dire che sei franco e schietto come ai vecchi tempi e questa tua sofferente confessione lo conferma. Sei però disordinato; non tieni conto della mia condizione. E certo! A volte però mi chiedo se ci sia un senso a parlare di ordine nel caos generale. A me pare a volte che siamo folli tutti quanti. Io ho la ragione ma non ho il cuore? E chi lo sa? Tu sei convinto che io ragiono? E se fossi più folle di te? Io passo la mia vita a mettere ordine nel caos. Questo mi si comanda e questo eseguo ma non sono forse una pazza? Non sono forse una pietruzza che ha la presunzione di poter arginare il mare? Tu, col tuo disordine sei forse più saggio di me, ti adatti meglio al caos, non lo so. Sei forse più equilibrato ma…»

«E allora parliamone, apriti, fammi capire perché mi hai sempre rifiutato pur amandomi, forse una soluzione la troveremo e, se invece no, mi metterò almeno l’anima in pace».

«No chiudiamola qua invece. Amo mio marito. Giusto o sbagliato, le cose sono andate avanti e non si può più tornare indietro. Hai qualcosa da ridire in proposito? No, non hai niente, sei disarmato, hai meno di zero. Smettila Marco!»

«Meno di zero un corno! Io una soluzione ce l’ho: buttiamo tutto all’aria, mettiamoci insieme e saremo felici. Lo vedi quanto è facile?»

«Vero, e che ce vo’? Non scherzare Marco».

«Non sto scherzando, Marta! Non sto scherzando, credimi, ti prego!»

«Se non stai scherzando allora sei completamente folle. Smettila! Ti auguro ogni bene con Anna. Parlami di te, parlami di lei. La ami?»

«Posso dire di amarla se dico che amo te? Che ne so, Marta, che ne so! Credo di amarla ma… è vero? O è una illusione? Una maschera che mi sono costruito? Non lo so. Quello che so per certo è che quando hai visto l’Everest e te ne sei innamorato, non puoi più dimenticarlo. E il mio Everest sei tu, Marta. Non scherzo affatto e non sono affatto folle, buttiamo tutto all’aria e mettiamoci insieme».

«Non vanifico il lavoro che ho fatto in questi dieci anni e non butto tutto quello che ho costruito, a cominciare dalla tranquillità della mia famiglia, dei miei piccoli. Non sei un gentiluomo, insisti con l’insidiarmi, mi dispiace Marco. Va bene, non scherzi e non sei folle ma allora… allora sei… scemo. Facciamo una cosa, Marco; non abbiamo nient’altro da dirci. Mi hai insidiata e basta, ciao Marco, buona fortuna».

«Marta, possiamo ricostruire la nostra vita, possiamo essere felici…»

«Vattene per favore!»

«Marta, ragioniamo un attimo…»

«Vattene!»

Marco rimase intontito per cinque secondi, si alzò e senza dire nulla si incamminò a testa bassa per andarsene.

Marta si alzò e lo raggiunse senza parlare, gli afferrò il braccio destro è cercò di trattenerlo ma Marco si sottrasse con uno strattone e, senza guardarla, continuò a camminare.

«Marco fermati, scusami», disse Marta fermandosi.

Marco non si fermò.

«Marcooo!»

Marco non rispose e continuò a dirigersi verso il parcheggio.

«Perché devo fermarmi? Per farmi umiliare ancora? Per farmi altro male? Allora sì che sarei scemo!» pensò.

Arrivato alla moto si vestì e schizzò via per andare a mantener fede a quel che aveva raccontato ad Anna.

Si sentiva umiliato e attanagliato da un mix di vergogna e di rancore. Dopo una ventina di minuti, sulla provinciale all’altezza di Spongano, Marco si fermò alla Texaco, prese una coca al bar e si fumò una sigaretta prima di ripartire. L’aria era stagnante, il sole picchiava ma all’ombra dei pini c’era un minimo di refrigerio. Il frinire delle cicale era assordante. Un cane dormiva all’ombra di un fico sul prato rasato che circondava la stazione di servizio.

«Sto male per aver nascosto questa cosa ad Anna, evidentemente io Anna la amo. Sto male per aver insidiato Marta. Lei ha ragione, ha lavorato dieci anni per costruire la sua tranquillità e quindi non ho fatto altro che insidiarla. Sto però malissimo per come l’ho lasciata. Cribbio! Le ho fatto molto male. Mi ha chiesto scusa ed al mio amore per lei ho invece anteposto il mio orgoglio. Ora ho paura. Ho paura che stia malissimo. Lei mi ama ed ora sta malissimo. Forse lei mente a sé stessa sapendo di mentire e spera incoscientemente in un qualche aiuto, forse sta male ed io l’ho abbandonata mentre invocava la mia attenzione se non addirittura il mio aiuto. Maledizione, faccio schifo! Devo tornare subito da lei», pensò.

Venti minuti dopo Marco era nuovamente alla grotta verde. Parcheggiando la moto vide Marta che stava venendo via dagli scogli e le andò incontro.

«Marta!»

«Marco, non voglio più vederti in vita mia».

«Marta, ti ho fatto male? Scusami!» Disse Marco con gli occhi lucidi.

«Sì, mi hai fatto male. Sei scusato ma lasciami in pace».

«Martaaa!» Strillò Marco.

«Addio Marco, sii felice con Anna», disse Marta proseguendo.

«Marta perdonamiii!»

«Sei perdonato, addio Marco, cerca di determinare il tuo destino, acchiappalo, dagli due sberle e addomesticalo. Io determino il mio, non ti preoccupare per me. Addio», disse Marta senza guardarlo e senza fermarsi.

«Marta, se mi mandi via non mi hai perdonato. Perdonami», disse Marco con un filo di voce.

Marta non rispose e proseguì.

Marco tornò alla moto, indossò il casco e ripartì pensando di essere un mostro e di aver combinato un disastro.

RP 30/09/2020

(continua)