LA FIGLIA ESULE DELLA REGINA D’AFRICA
Kalifa aveva molti talenti, alcuni innati ed altri improvvisati, come quello d’indovinare il sesso di un nascituro dalla pezzuola intrisa del sudore della mamma.
Amaro, per una femminuccia, aspro, invece, per un maschietto.
Odori difficili da individuare perché su tutti primeggiava quello della stanchezza delle puerpere.
Così le gravide le portavano il loro straccetto d’annusare e Kalifa dava la notizia buona di un maschio o quella meno buona di una femmina, che in tutto il mondo valevano gli stessi principi, in terra d’Africa così come in Italia, dove la nascita di una femmina quasi mai era motivo di festa.
Aveva un fiuto infallibile e non sbagliava un pronostico, cosicché la voce si sparse in fretta, ed ecco, allora, capitani e mozzi portarle i fazzoletti intrisi del sudore delle loro donne per conoscere in anticipo il sesso del nascituro.
Era una divinazione che non costava nulla, che mai Kalifa avrebbe speculato su un evento di nascita, cercata o casuale, fonte di gioia o di tristezza, secondo i punti di vista e le necessità.
Quando questa novità giunse alle orecchie di donna Reparata, l’ostetrica dell’Isola, e a quelle di don Saverio, il prete, si ebbero sussulti e reazioni opposte.
La prima cercò di scoprirne la tecnica, giungendo alla conclusione che si trattava di un dono congenito, nessuna stregoneria, come qualcuno teatralmente supponeva con  ipotesi fantasiose e dal prete avvallate, seppur con tatto ed in attesa di riscontri, prima di ricorrere ad anatemi e scomuniche.
Ma perché quelli come don Saverio, che pure credevano al parto di una vergine, s’intestardivano a negare le capacità divinatorie di Kalifa?
Una vergine che da alla luce un figlio è una santa. Una donna dall’olfatto diagnostico, è una strega.
Questo il ragionamento scettico di donna Reparata, cattolica per tradizione di famiglia  ma che al momento giusto, però, riusciva  a far chiarezza nell’intrigo tra scienza e fede, mentre don Saverio dal suo pulpito esortava i fedeli a non essere indotti dall’arroganza a credere che fosse dato all’uomo possedere poteri appartenenti solo a Dio, che già  il supporlo era peccato mortale.
Ad ognuno il suo, concludeva filosoficamente il popolo, che di domenica gremiva la chiesa e tutti gli altri giorni, invece, il patio dove Kalifa intratteneva i bambini con le storie rivisitate della vita dei santi, e gli adulti con lo spettacolo straordinario dell’uccello delle tempeste che la seguiva appollaiato sulla spalla, e quello del gallo orbo che lanciava i suoi aggressivi richiami tutte le volte che qualcuno tentava di varcare l’uscio di casa.
Farina, zucchero, semi per il giardino, qualche pesce, uno scampolo di tessuto, era questo il contante con cui Kalifa veniva pagata dagli isolani per la sua opera di maestra e d’indovina, che di denaro ne circolava poco ed il baratto costituiva la moneta corrente.
In quello stesso patio, nei giorni di festa, si ritrovavano gli adulti, alla luce fantasmagorica delle luminarie, per sorseggiare un liquore d’erbe, fare un po’ di musica o ascoltare le storie di Kalifa,. Quelle stesse che le aveva raccontato il Dottore alla Missione, allo scopo di suscitare stupore e conclamare le sue virtù di veggente.
Ma quale veggenza! Piuttosto una straordinaria carica di empatia, aveva stabilito donna Reparata, che sempre più spesso si avvaleva della collaborazione di Kalifa, della sua mano ferma e delle sue capacità intuitive, per mandare avanti la piccola condotta medica. I marinai e i turisti, invece, facevano la fila sull’uscio della casa di Kalifa, con le pezzuole intrise di sudore e di speranza. Per tutti, lei, aveva una parola buona, ma non illudeva nessuno sulla sua presupposta attitudine a compiere miracoli, limitando le sue divinazioni alle pezzuole e a ciò che il buon senso le suggeriva.
Il nome di Kalifa veniva sempre più spesso associato all’Isola, e la sua casa divenne meta di pellegrinaggi, incrementando così l’economia collettiva.
Nonostante l’opera dissuasiva di Don Saverio, gli isolani continuavano a frequentarla e, soprattutto, ad affidarle la figliolanza, così che in seguito, addossata alla casa, venne costruita una nuova ala adibita a scuola, e lei insignita dell’incarico ufficiale di maestra, con un piccolo stipendio elargito dalla comunità.
Quell’edificio aggiunto fu il primo di uno svariato numero di costruzioni e rifacimenti che avrebbero trasformato, negli anni, la sua casa in un bizzarro, quanto suggestivo, monumento.