Io lo dicevo. Il rumore provocato dai lavori nel bagno degli inquilini al piano di sopra mi sembrava troppo, come dire… vicino.

Il primo tentativo di intrusione è liquido.

Come tutte le mattine la reticenza, anche psicologica, a mettere a fuoco sagome e colori e attribuire loro una connotazione semanticamente coerente è forte.

Il momento in cui, ogni giorno, mi scaravento acqua ghiacciata sul viso per accelerare un processo che se stessi a da retta durerebbe ore è già abbastanza traumatico: potete immaginare cosa possa implicare aggiungere a questa circostanza l’evidenza che nel mio bagno, nel mio amato ed unico bagno, di quelli che sembrano usciti fuori da un catalogo di arredamento, stia piovendo.

Una enorme macchia di umidità interrompe e deturpa la continuità del bel soffitto bianco. Di quelli che se li fissi e incroci un po’ gli occhi puoi raggiungere l’infinito.

Non si tratta di semplice disagio: è qualcosa di più. Perché il danno comporta l’obbligo di relazionarsi con i famigerati, spaventosi, pericolosissimi inquilini del piano di sopra.

Rendo l’idea? Con quegli individui dai quali hai accettato performance di tip tap in piena notte senza battere ciglio, proprio per evitare qualsiasi tipo di contatto o peggio, contrasto. Li hai sentiti urlare, sproloquiare, saltare, prendersi a parolacce con quelli del piano di sotto, che si beccano tutta la laniccia della scopa, che tu eviti protetta dalla tua veranda abusiva, provvidenziale lascito degli inquilini precedenti della tua casa.

Perché al di là di quanto si vede nei telefilm americani, dove nei condomini nascono intrighi amorosi e amicizie eterne, qui a Roma si cerca di evitare di prendere l’ascensore insieme: quante volte vi è capitato di vederne la porta chiudersi con particolare slancio proprio davanti al vostro naso? Una coincidenza dite?

Niente, mi tocca: mi consegno, salgo. La mia mano sul campanello trema, preparo mentalmente tutta la frase da dire in un solo respiro “SalvesonoIlariaabitodisottoe…”

Lei mi apre, è allegra, sembra non aspettasse altro. Mi invita ad entrare e con un buon caffè mi avvicina un po’ di più ad una condizione umana. E poi si scusa, costernata. Torno giù contenta di me stessa e la pioggia finisce in un attimo, come per miracolo. Il mio coraggio è stato premiato.

Secondo giorno: l’intrusione diventa totale e… ehm materiale.

Da principio fu una crepa, poi i calcinacci cominciarono ad impolverare i mie bellissimi sanitari sospesi… e poi BUM!
Un bel buco, non c’è che dire! Per fortuna nessuno è rimasto offeso o stava… ehm, beh avete capito.

Lei, l’abitante del piano di sopra forse ha un muratore nell’armadio, perché attappa e ripara il buco dalla parte del suo pavimento in tempi record. Presto la riparazione sarà completa anche dalla parte del mio soffitto: mi manderà lei qualcuno dice, liberandolo dalla credenza, suppongo.

Comunque devo ammetterlo: non è stata affatto la tragedia che sembrava. Forse ho imparato la lezione! Essere un po’ meno misantropi, concedere almeno il beneficio del dubbio… Non dico di diventare come in “Friends”, ma forse è proprio da questi semplici rapporti che potrebbe rinascere un po’ di civiltà e attenzione in questa città, dove non sembriamo più in grado di guardare al di là del nostro naso. Dove fermarsi davanti ad un pedone per farlo passare sembra essere un disonore. Dove i marciapiedi sembrano un campo minato per via di cacche e buche. Dove si parla al telefono davanti ad un film al cinema. Dove incontrare ragazzini in gruppo sugli autobus è un accadimento traumatico, se non pericoloso… Dove… Dove… Naaaa!

Terzo Giorno: il bagno alle 8 è stato già rivestito completamente di celofan. Dexter quando fa fuori una vittima è meno accurato. Per ottenere il risultato migliore possibile ho chiamato i rinforzi. La stratega dell’ordine. Mamma.

Divagando: voi non avete idea di quanti oggetti (recuperabili agevolmente attenzione!), mamma riesca a stipare in un metro quadro. Nulla sembra essere lasciato al caso. Il cambio stagione secondo mamma, ad esempio, viene sicuramente organizzato attraverso l’elaborazione di un complesso algoritmo attraverso il quale calcolare la probabilità di dover tirare fuori un indumento rispetto ad un’altro, combinandone tonalità, spessore, livello di logorazione, adattabilità stagionale, disponibilità attuale di accessori che vi si abbinino in modo impeccabile. Questa è mamma. Questa non sono io.

Quindi, per ottenere il risultato migliore possibile, come mio marito sperava, pur delegandomi un compito per il quale, lo leggevo nei suoi occhi, non reputava io fossi all’altezza, avevo assolutamente bisogno di lei.

Detto e fatto. Mamma è arrivata con i teloni trasparenti rubati alla scientifica di Miami. In un attimo mobili, sanitari e pavimento sono stati messi al riparo da qualsiasi schizzo di vernice.

Si tratta dell’ultimo step di riparazione del disastro provocato dai lavoro degli inquilini del piano di sopra. Tutto presto tornerà alla normalità. E nonostante sia stata costretta a prendere un giorno di ferie, sono felice!

Siamo pronte. Ma alla faccia della nostra levataccia passano le ore e nessuno si presenta. E di nuovo salgo al piano di sopra, spezzando un grande, ma che dico, enorme tabù mentale. Una vocina mi dice: Non farlo, aspetta, prima o poi arriveranno, limita al massimo il contatto!
La prima volta non trovo nessuno – Ehi! Io ho preso un giorno di ferie! Il mio bagno somiglia ad una confezione di Parmacotto! Ho scomodato la streatega dell’ordine appositamente!

Il momento di panico è durato poco. Coraggiosamente ripercorro la rampa. La mia condomina adesso era lì. Sono entrata nella sua casa. Il suo cane mi riconosce, mi lecca e mi salta addosso per festeggiarmi. Che crescita in un paio di giorni! Lo so, è un primo passo… a breve mi farò coraggio e andrò a chiedere il sale al mio vicino, così, per sport.

E invece del pittore neanche l’ombra. In ritardo, ma arriverà, dice.

Infatti dopo un po’ si presenta, ma il suo viso è perplesso. Forse non sapeva di dover imbiancare anche il soffitto del mio bagno? Entra, dà un’occhiata perlustrativa e mi dice con il forte accento napoletano che secondo lui il soffitto è ancora bagnato e che le macchie riusciranno fuori. Sconsiglia assolutamente la doppia passata di vernice. Al limite una ora, una tra un po’. Costernata chiedo tra me e me perché questa verifica non l’abbiamo fatta prima che io mi prendessi un giorno di ferie, “ok, meglio di niente”.

Non passano cinque secondi che mi chiama per farmi notare come sia inutile insistere a passare la vernice. Troppo presto, dice. Mi suggerisce al limite di fare dei buchi con il trapano sul soffitto per fare asciugare prima…

Rabbrividisco. Ci vorrà quel che ci vorrà perché si asciughi, ma io non mi metto a bucare il soffitto, né ora né mai! Ognuno ha i suoi tabù, ed io me li tengo stretti, accidenti! Se ne va. Lasciando in sospeso il definitivo ripristino del soffitto. Ma almeno non ci sono dei buchi, e per me per oggi è già tanto.

Un messaggio di mio marito, che nel frattempo si trova in America per lavoro, mi aiuta a sentirmi liberata: “Tranquilla amore. Anche se non è perfetto, l’importante è che sia un buon equilibrio fra decenza, quantità di stress e quantità di tempo”. Grazie. Grazie.