Era un sabato mattina, di primavera inoltrata, l’aria era frizzante e la giornata luminosa.
Avevo stranamente la giornata libera e intendevo dedicarla a me stessa.
La settimana precedente era stata intensa, piena di riunioni e impegni di ogni genere, ero stanca e bisognosa di evadere dalla solita routine.
Anche la mia schiera di familiari turbolenti sembrava impegnata in altre faccende e nessuno mi cercò.
Decisi:
«Questa mattina andrò in centro a fare shopping».
Piena di entusiasmo, presi dall’armadio un completo, giacca corta con bottoni dorati, gonna a tubino blu intenso, con lo spacco posteriore, che mi stava d’incanto, un maglioncino color lavanda scollato a vu, un paio di decolté neri, una sciarpa di seta di una fantasia sfumata dal blu all’azzurro, appoggiai tutto sul letto e mi diressi verso la doccia.
Mi vestii e truccai con cura, mi affacciai con un ultimo sguardo allo specchio, presi la borsa e uscii canticchiando.
Ero piacevolmente sorpresa e felice nel costatare che nel mio cuore regnasse tanta leggerezza.
Mi diressi in centro in auto e realizzai che c’era poco traffico e trovai facilmente il parcheggio.
Sembrava una giornata tranquilla, iniziata sotto ogni buon auspicio e intendevo sfruttarla al meglio.
Percorsi la via centrale della mia città, abbellita da alti portici e fiancheggiata da splendidi palazzi del primo novecento, dove ci sono i negozi più lussuosi.
«Vado a fare colazione», dissi mentre mi dirigevo verso il mio bar preferito e mi sedetti fuori nell’aria frizzante del mattino.
Mentre stavo gustando un cornetto al cioccolato, davanti a una tazza di caffè, lessi alcune pagine del quotidiano per informarmi sulle ultime notizie.
Poi proseguii il mio giro guardando le invitanti vetrine e osservai con attenzione i capi di abbigliamento esposti.
Controllai i prezzi e feci un confronto con le mie possibilità finanziarie per verificare quanto potevo permettermi di spendere.
«Tutto bello e interessante ma troppo caro, devo cercare altrove», commentai tra me.
Lasciai la via principale e mi avventurai nella parte più antica e caratteristica della città, nei classici carruggi, dove ci sono piccoli negozi pieni di capi graziosi e con i prezzi molto più abbordabili.
Nel frattempo, le vie si erano popolate di passanti che camminavano affollando i marciapiedi e il traffico si fece più intenso.
Mi guardavo attorno gustando ogni particolare come se fossi stata una turista qualsiasi.
Le strette e caratteristiche viuzze, custodite da alti palazzi che s’innalzavano a cercare il sole, profumavano di storia antica.
Gli edifici sono stati costruiti uno accanto all’altro quasi a sfiorarsi, dando l’impressione di sostenersi a vicenda e di farsi compagnia, forse anche coraggio.
Sono vecchi e consumati, ma conservano un fascino particolare e, le vecchie mura, sembravano sussurrare segreti misteriosi, come comari intriganti e sfaccendate.
L’odore di umidità dei muri e quello di muffa che usciva da un vecchio tombino si mescolavano nell’aria fondendosi all’aroma di caffè dei bar, all’odore del pesce fresco di una pescheria, al fragrante profumo di pane e focaccia appena sfornati da un caratteristico forno a legna.
Da una cioccolateria usciva un peccaminoso aroma che mi fece venire l’acquolina in bocca …
Il tutto era accompagnato dal chiacchierio dei passanti che passeggiavano tra i vicoli.
M’immersi in questa pittoresca atmosfera e osservai con piacere tutto quello che stava succedendo intorno a me.
In una bancarella si vendevano piante di aromi: salvia, rosmarino, timo; alcuni piccioni si rincorrevano bisticciando per un pezzetto di pane; un piccolo laboratorio di ceramiche dipinte a mano metteva in bella mostra l’arte antica e tramandata della mia città.
La vetrina di quest’ultimo attirò la mia attenzione e mi fermai ad ammirare la creativa abilità di una giovane artista che stava dipingendo un piatto con i caratteristici colori bianco, blu e azzurro chiamati Vecchia Savona; affianco, alcune piante verdi adornavano la porta di un negozio di antiquariato, mentre, più avanti, un bar era abbellito da ciclamini rossi e bianchi che rendevano accogliente e piacevole il grazioso dehors.
Mentre camminavo, aspiravo l’odore salmastro del mare che arrivava dal porto antico poco lontano e mi sentivo felice e piena di vita.
«Questi sono gli odori, i rumori e i sapori della mia terra», riflettevo beata.
Poi, guardai la merce esposta nelle vetrine e decisi di entrare in un negozio dove avevo notato maglie e golfini molto carini.
Attraversai la strada ma, distratta forse dalla merce esposta o non so da cosa, nell’appoggiare un piede, il tacco della scarpa rimase incastrato in una fessura delle consumate e sconnesse pietre rettangolari che pavimentavano la strada, facendomi perdere la calzatura e l’equilibrio e scivolai in avanti sollevando istintivamente le braccia.
Cercai invano di non cadere ma precipitai invece sul suolo ruvido, atterrai sul ginocchio destro e, nel vano tentativo di tenermi in piedi, strusciai una mano sul muro ferendomi il palmo.
Rimasi un momento ferma in ginocchio, controllai di non avere nulla di rotto poi mi alzai barcollando.
Il cuore mi batteva furiosamente nel petto e, mentre stavo cercando di riavermi dallo spavento, ricordo che pensai:
«Che iella, come hai fatto a infilarti lì dentro?», rivolta al tacco della mia scarpa.
Tornai indietro, recuperai la calzatura ma, un signore anziano, che si trovava sulla soglia di un bar poco distante, con le mani in tasca e la faccia severa e che aveva evidentemente osservato la scena, mi disse in tono sarcastico e brutale:
«Voi donne ve le andate proprio a cercare le grane, perché non indossate scarpe più comode?».
«Con quei tacchi alti era scontato …», lanciandomi poi uno sguardo critico e accusatorio.
Tutto si svolse in un tempo brevissimo e mi sentii mortificata, nessun passante si era fermato a prestarmi aiuto, qualcuno mi aveva lanciato uno sguardo frettoloso e indifferente continuando impassibile per la propria strada.
Pensai:
«L’unico che mi rivolge attenzione mi critica in malo modo?».
«Che maniere raffinate!»
Mi ripresi dallo shock e m’infuriai:
«Guarda questo cretino presuntuoso, non mi chiede se mi sono fatta male, mi tratta, invece, come se fossi un’incapace e un’idiota sbadata; e nessuno si ferma …», commentai a voce alta guardandomi attorno con il preciso intento di farmi sentire da tutti.
Il tizio scorbutico scrollò le spalle, si voltò e si allontanò; i passanti proseguirono indifferenti ed io rimasi ferma in mezzo al via vai di gente votata all’egoismo.
Non avevo più voglia di fare shopping, volevo soltanto tornare a casa, la giornata era rovinata, insieme al mio umore.
Camminai zoppicando leggermente, il ginocchio e la mano mi bruciavano, ma non erano quelli a farmi male.
Giunta a casa, mi cambiai, indossai una tuta comoda, disinfettai le ferite e mi sdraiai sul divano.
Non ero più arrabbiata, ero solo triste e delusa, e riflettei amareggiata:
«Lo so, sarò una stupida e un’illusa, ma ciò che mi addolora di più non sono le ferite che mi sono inferta, è cosa da poco; è il costatare l’indifferenza della gente di fronte alle disgrazie altrui».
Presi un libro, inforcai gli occhiali, m’immergersi nella lettura e decisi di lasciare fuori, almeno per un po’, le bruttezze e le delusioni della vita.