PARTE 1

Dopo essere arrivato nella sua città in treno mi incamminai a piedi verso casa sua tra le strade di quella grande metropoli. Vagavo ormai da mezz’ora guidato dall’app del telefono e in quell’arco di tempo ebbi modo di riflettere sulle molteplici cose che mi avevano portato ad affrontare quella insolita situazione.
Se da una parte trovarmi li quel giorno mi sembrava l’ovvia conseguenza di come si era sviluppata la mia vita, dall’altra troppe cose ancora mi sembravano forzate per come fino a quel momento avevo sempre dovuto ragionare per nascondere la mia natura di sottomesso.
Essere di indole feticista e sottomesso dalla nascita non era mai stato facile ma fino a quel momento non avevo mai dovuto considerarlo un problema far coesistere questo mio lato più istintivo e quello di facciata che mi ero lentamente costruito per forza di cose negli anni, cioè stereotipato e conforme agli standard del classico uomo comune che fino a quel momento aveva sempre oscurato chi mi sentissi veramente nel profondo.
Mentre camminavo ricordai che sin dai primi anni adolescenziali quando provavo ad eccitarmi avevo sempre fantasticato solo su donne dominanti intente a sottomettere una o più persone, e negli anni avevo sempre sentito solo questa esigenza e non ero mai riuscito ad appassionarmi come tutti ai più classici film porno o riviste ecc..
Su certi aspetti intimi avevo sempre avuto l’impressione di sentirmi diverso praticamente da tutti e sessualmente mi sentivo sempre come una specie di alieno che si aggirava in mezzo agli esseri umani cercando di mimetizzarsi tra di loro o di trovare un proprio simile con cui sentirsi meno solo, ma sempre in vano.
Quando parlavo con gli amici di argomenti hot il mio punto di vista era sempre distante e spesso mentivo per non dire i miei pensieri reali, e il loro era sempre ed esclusivamente rivolto all’atto sessuale o a un rapporto orale ricevuto, ho sempre avuto l’idea che la maggioranza dei maschi fosse in un certo senso dominante, mentre io mi son sempre sentito all’opposto.
La cosa non si poteva ritenere di certo più semplice per quel che riguardava il mio rapporto con le donne, sin da ragazzo ne avevo conosciute e frequentate un buon numero nel mio piccolo, ma anche con loro spesso il mio coinvolgimento era troppo forzato e infatti non ebbi mai una relazione duratura nonostante lasciassi sempre un buon ricordo, specie per i miei preliminari infiniti.
Nessuna di loro però ha mai capito del perchè fossero così importanti per me quei momenti che si anteponevano al sesso, in cui cercavo semplicemente di stimolarle e vedere se in loro risedeva uno spirito dominante, ma si rivelò sempre vana la mia ricerca e presto mi accorsi che sarebbe stato difficile per me trovare una donna compatibile alla mia natura.
Quindi dopo l’ennesimo ma prevedibile buco nell’acqua sentimentale mi decisi a intraprendere una strada diversa dettata dal mio istinto e cercando un tipo di donna molto differente da quelli che erano stati fino a quel momento gli standard, in pratica mi convinsi che doveva esserci nata con la natura dominante come lo era stato per me con quella di sottomesso.
E dopo mesi di ricerche su internet conobbi su un sito dedicato agli annunci bdsm Missy, o come lei si faceva chiamare mistress Missy. Il suo era l’unico annuncio in cui si intuiva molto bene il fatto che non lo facesse per denaro, questo perchè aveva una relazione felice ma standard con un compagno che non era attratto dal mondo della dominazione femminile, mentre per lei era importante sfogare e appagare questo suo lato dominante con amici slave che selezionava con rigore e a cui chiedeva solo ore della loro vita da donarle sottomettendosi ai suoi voleri e capricci.
Quel giorno il momento di incontrarla e che attendevo da ormai troppi mesi era arrivato, e più sul navigatore del telefono diminuivano dall’arrivo prima i chilometri poi i metri, sottolineandomi impietosamente l’avvicinarsi dell’abitazione di colei che da li a poco avrei dovuto trattare come la mia padrona, più mi sentivo travolto dall’incertezza e dai dubbi che quella particolare situazione mi stava provocando.
Dopo tanti giorni di corrispondenza on-line, una breve telefonata e tanta immaginazione tutto ora stava diventando reale, forse troppo rapidamente dall’inizio di quella giornata e inconsciamente rallentai l’andatura sentendomi eccessivamente sopraffatto da quell’inaspettata incertezza dovuta a quei pensieri.
Eppure in relazioni e avventure con le donne non potevo definirmi un novellino, mi ripetevo di cosa dovessi essere preoccupato in fondo, ma nemmeno io ci credevo e sapevo benissimo che non avevo alcuna vera esperienza come schiavo e che lei non era una solo una donna come quelle da me frequentate fino a quel giorno, ma una padrona che si aspettava probabilmente una persona disinvolta nel ruolo come le dissi da quando la contattai.
Ma ormai era tardi per tornare indietro e non volevo farlo, era comunque un’esperienza che dovevo fare per il mio bene, se non fosse stata positiva avrei semplicemente continuato a essere colui che da sempre ero stato fino a quel giorno, sapevo coesisterci dopo così tanti anni in cui l’avevo fatto.
Poi tra un pensiero e l’altro arrivai al civico che mi aveva indicato, rimasi a guardarlo alcuni secondi quasi incredulo di poter vedere quel numero coi miei occhi.
Provai a ricompormi, non potevo mostrarmi in uno stato di agitazione e riuscii a calmarmi cercando di ragionare al meglio che potessi fare in quel momento.
Notai al di sotto del numero civico una serie di campanelli molto lunga, pensai che in quel palazzo dovevano vivere almeno venti unità, ma non era quello il “piano” concordato da lei e non sapevo neppure il suo cognome, per cui quei nomi sui citofoni sarebbero risultati tutti di estranei e di nessun aiuto nel caso ne avessi avuto bisogno.
Ma eravamo d’accordo che le avrei mandato un messaggio quando sarei arrivato e così provai a fare pronto a intraprendere quell’ultimo passo e a varcare quel grosso portone che sembrava rappresentare un simbolo di cambiamento della mia vita, quel cambiamento a cui ero arrivato dopo molti anni di riflessioni e dopo molte lotte interiori per decidere se fosse o meno il caso di liberare la mia natura, il mio subconscio. E finalmente seguire i miei istinti primordiali ed essere libero di donare la mia anima a una donna che potesse sistemarmi come un puzzle nella posizione corretta in cui avrei dovuto essere da sempre, cioè in ginocchio ai suoi piedi.
Come spesso però succede quando si hanno molte aspettative si rimane delusi, ma nel mio caso sembrava in maniera catastrofica. Di quel giorno ad oggi ricordo in maniera nitida due cose, una avvenne dopo e l’altra invece fu l’attimo in cui guardai il telefono pronto ad inviare il messaggio per farmi aprire il portone.
Quello fu un attimo molto intenso e carico di tensione perchè guardai il telefono e proprio in quell’istante lo vidi spegnersi facendomi temere da subito il peggio, cioè che la batteria si fosse scaricata. Avevo dato poca importanza alla cosa e con il lungo percorso a piedi sempre con il navigatore attivato lo avevo scaricato.
Pensai subito alle settimane in cui avevo atteso quel giorno, al fatto che avrei immediatamente perso credibilità e poi la sua fiducia, al bel rapporto che avevo instaurato e che temevo si sarebbe sgretolato per quella mia leggerezza, perché sicuramente lei avrebbe pensato che le avessi fatto il bidone nonostante fossi stato io a organizzare in primis quell’incontro.
Mi dissi che forse era il destino e che quel giorno doveva andare così da farmi capire una volta per tutte che quella in realtà non era la mia strada, ma non ci stetti e decisi di sfidarlo e reagire a quell’inconveniente, in quel momento il mio passato sparì e mi accorsi quanto ci tenessi veramente a fare quel passo. Pensai che il destino non poteva più fermare questo mio nuovo io deciso a conoscere il suo mondo che fino a quel momento gli era stato negato.
Ma come reagire? Suonare i campanelli a caso sarebbe stato fuori luogo e rischiavo di minare la sua privacy, ed era una cosa per me impensabile, e per quel poco che la conoscevo e mi aveva raccontato ero certo che non sarebbe uscita senza il messaggio solo per controllare. Eravamo d’accordo di passare insieme un paio d’ore tanto per conoscerci come prima volta e avevo il treno di ritorno appena in tempo, quindi dovevo trovare al più presto il modo di contattarla.
Furono minuti di grande frenesia che più passavano e più mi facevano apparire in ritardo e poi sicuramente inaffidabile ai suoi occhi e la cosa mi stava facendo perdere il controllo. Dopo aver provato in vano andando in un paio di negozi a chiedere se riuscivano a farmi caricare il telefono almeno un minimo per contattarla, trovai un tabacchino che vendeva il cavo per ricaricarlo, da me incautamente non portato da casa, e in un bar poco dopo riuscì a metterlo sotto carica così finalmente da poterla contattare.
Anche se avevo quasi un’ora di ritardo ero già molto più sereno perchè potevo dimostrarle almeno che ero li in zona, ma comunque appena acceso il telefono trovai due suoi messaggi in cui mi chiedeva che fine avessi fatto con toni abbastanza ma legittimamente irritati.
Gli risposi che avevo avuto un inconveniente, lei a sua volta mi disse che aveva aperto il portone e mi diede l’indicazione per arrivare al suo appartamento una volta entrato.
Finalmente dopo poco entrai in casa sua visibilmente provato, era fine estate e tutta quella frenesia in quello stato di ansia in cui già mi ritrovavo per le mie preoccupazioni mi portò a uno stato a dir poco affannoso e lo avrei evitato volentieri dato che era la prima volta in cui ci incontravamo di persona.
Lei era molto serena e accomodante, e dopo il saluto e due battute sulla sfortunata storia della batteria scarica mi portò in una stanza poco distante dall’ingresso, era una camera da letto coi muri rossi e mobili abbastanza comuni in stile moderno.
Parlammo un paio di minuti di argomenti futili trattati in passato per corrispondenza solo allo scopo di calmarmi al meglio dalla frenesia dell’ultima ora appena trascorsa.
Lei era una padrona atipica e di sicuro non aggressiva, per questo mi aveva preso molto conoscendola per corrispondenza, era riservata ma anche la classica ragazza socievole e scherzosa, però con l’indole di dominatrice e per me era perfetta da identificare come “la mia padrona” per queste sue caratteristiche contrastanti ma che mi rassicuravano molto essendo la mia prima volta.
Nelle settimane precedenti parlandole mi disse che mai nessuno per sua scelta le aveva leccato i piedi fino a quel giorno, perché lei era accompagnata e ai suoi slave fino a quel giorno aveva permesso solo al massimo di annusarglieli.
Sapevo che aveva un occhio di riguardo per il sottoscritto perché quando le scrissi a suo tempo che per me fosse fondamentale quella cosa del leccare, lei qualche giorno dopo acconsentì e arrivammo così ad accordarci per quella giornata senza spiegarmi nel dettaglio quella sua decisione.
Mi sentivo un privilegiato per questo dato che sarei stato il primo degno di poter passare la lingua in ogni angolo e millimetro del suo piede e mi rendeva la situazione estremamente speciale grazie a questa cosa.
Mentre eravamo li a pochi passi l’uno dall’altra durante quella breve chiacchierata distensiva lei me lo riconfermò e sentirglielo dire dalla sua voce fu molto importante per me, poi quando si esaurì l’ultimo argomento lei molto pacatamente disse con la sua voce molto delicata: “cominciamo?”
Quella parola mi provocò un blocco nei miei pensieri sapendo che da li in avanti tutto sarebbe cambiato e che ogni cosa sarebbe stata decisa da lei. E nonostante in quel momento mi sentissi finalmente schiavo come non mai prima allo stesso tempo paradossalmente sentivo un forte senso di libertà mai provato fino a quel momento.
Mi venne istintivo inginocchiarmi mantenendomi col corpo eretto a meno di un metro di fronte a dove lei nel frattempo si era seduta sul letto. Prese in mano un guinzaglio mentre io la osservavo in quello che faceva, lei se ne accorse e appoggiò l’altra mano delicatamente sulla mia testa facendo un minimo di pressione leggera su di essa e abbassandomi così dapprima lo sguardo e poi la indirizzò ulteriormente come buona porte del restante mio corpo verso il basso portandola a ridosso delle sue scarpe che ancora indossava.
Aveva un abbigliamento molto casual e domestico, una felpa chiara, pantaloni attillati in pelle nera e ai piedi sneakers nere con strisce bianche. Era un altro suo punto forte ai miei occhi perché traspariva dominazione senza bisogno di indumenti specifici al ruolo, cioè i classici vestiti in lattice, tacchi alti, ecc… Allo stesso modo mi aiutava molto a identificarla nel ruolo il suo viso da ragazza per bene, forse non bellissimo ma decisamente accattivante, particolare e raro. Era sicuramente una donna nel complesso molto bella e carismatica con un’espressione del viso spesso seria e malinconica però mai aggressiva, con dei capelli biondi lisci raccolti in una folta coda che le arrivava alle spalle di un bel corpo non eccessivamente formoso.
Oltre il discorso estetico trovai molto coinvolgente il suo stile e sapevo già da quello che mi spiegò prima di quel giorno che si ritenesse molto soft come padrona, avevamo accordato ogni cosa e sapevo cosa mi aspettasse a grandi linee ma rimasi oltremodo colpito dal suo atteggiamento sicuro e disinvolto.
Lei in pratica durante il tempo in cui dominava non parlava e non umiliava verbalmente, semplicemente “ti usava”.
Dal mio modo di interpretare il ruolo di schiavo invece mi venne spontaneo iniziare a venerarla quando mi ritrovai con la testa all’altezza dei suoi piedi e cominciai quindi a baciarle le scarpe che teneva appoggiate sul pavimento, e mi fece sentire inaspettatamente a mio agio stare in ginocchio prostrato come non lo ero mai stato prima fino a quel giorno. Poi lei sollevò da terra i piedi circa una spanna e senza che dicesse una parola mi fu chiaro che il suo era il segnale che volesse farsi togliere le scarpe e provai per dimostrarle più devozione possibile a farlo con la bocca, ma risultai credo un po’ goffo e impacciato, quindi dopo un breve tentativo gliele sfilai delicatamente e lentamente con le mani cercando di farlo nel modo più sensuale che mi fosse possibile.
Indossava calze nere corte velate con una bella fantasia di fiori ricamati che risaltavano e quella visione fu la seconda cosa che non dimenticherò mai di quel giorno. Per la prima volta nella mia vita vidi i piedi di una padrona dal vero e così da vicino, non erano ne i primi ne i più belli che avessi mai visto e potuto adorare ma erano di una donna che desiderava lei farseli adorare da me e usarli su di me per torturarmi, noncurante del fatto che io lo volessi o meno, cioè la sensazione che più mi era mancata di provare fino a quel giorno: essere dominato.
Lei rimase ferma e in silenzio seduta sul letto con me in ginocchio, credo volesse capire come mi sarei comportato se fossi stato autonomo nel poter decidere come adorarla, una specie di prova. Timorosamente scelsi di prendere una alla volta le scarpe che poco prima le avevo sfilato e le annusai entrambe all’interno con lunghi respiri rimanendo accuratamente il più remissivo possibile all’altezza del pavimento ma tenendo la bocca e soprattutto il naso accuratamente il più all’interno che riuscissi.
Non aveva acceso lo stereo o altri dispositivi e nell’appartamento non si udivano altri suoni a parte il mio respiro che si sforzava al massimo di dimostrarle quanto apprezzasse quello che stava accadendo, e solo di rado si udivano passaggi di veicoli dalla strada secondaria di quel quartiere di periferia in cui abitava.
Riappoggiai le scarpe a terra in disparte e mi venne da baciargli i piedi ancora nelle calze mentre lei li teneva sospesi davanti al mio viso, e finito di dimostrarle venerazione mi venne d’istinto appoggiare il naso e annusarli, ma a quel punto mi fermò quasi subito e come se nulla fosse mi allontanò con il piede quel tanto da poter scendere dal letto ma lasciandomi nello stesso punto in ginocchio. Andò a prendere qualcosa su una scrivania vicina per poi tornare verso il letto.
Mentre guardavo per terra ,sapendo di non dover alzare lo sguardo di mia iniziativa, vidi passare nuovamente i suoi piedi che camminavano per tornare sul letto e mi prese molto ideologicamente il suo modo naturale di muoverli in quella situazione, mi dava l’idea che camminasse come se con lei in quella stanza non ci fosse nessun’altro, in quel momento mi fece sentire inesistente e insignificante per la prima volta, in pratica un oggetto, ed essendo fondamentalmente il significato di schiavo mi provocò sensazioni stupende facendomi capire quanto solo in parte contassero le pratiche che si apprestava a farmi, e quanto un atteggiamento semplice come lo era quello potesse già di per se dare un senso di dominazione maggiore che per esempio cento frustate.
Si rimise a sedere sul letto e con un piede muovendolo dal basso verso l’alto spinse con leggerezza la mia testa a una postura più eretta portandola all’altezza del letto su cui era seduta. Mi applicò dapprima al collo il guinzaglio e poi in bocca una ball-gag. Concluse poi i preparativi di quel leggero ma intenso stato di bondage in cui mi mise con delle manette da bloccarmi le mani dietro la schiena.
Dopo di che tirò su maggiormente le sue gambe sul letto e regolò la mia testa col guinzaglio per portarla a contatto dei suoi piedi.
L’essere impossibilitato a prendere aria dalla bocca per via del bavaglio che mi aveva applicato mi fece capire che in quel momento ero sotto tortura da parte sua, potevo respirare solo col naso e lei abilmente col guinzaglio mi bloccava la testa e se la teneva nelle parti dei piedi che voleva farsi annusare, respiravo a fatica ma non mi sono mai sentito in pericolo e questa tranquillità mi permise di apprezzare al meglio il suo stupendo e inebriante odore che per me e le mie narici era un’essenza ipnotica della quale ero già in pochi istanti completamente assuefatto e dipendente.
Il giorno prima le avevo esplicitamente chiesto se alla sera potesse lavarli come faceva abitualmente e poi tenerli da quel momento fino al pomeriggio del giorno dopo quando ci saremmo incontrati nelle calze il più possibile evitando contatti a piedi nudi con pavimenti o altro. E di evitare di usare prodotti o creme nel caso ne usasse abitualmente alcune.
Questo perchè per me era molto importante percepirne prima l’odore e poi dopo il sapore naturale con la lingua, e dimostrai grande devozione nel farlo, in quanto in ogni respiro sempre molto profondo cercavo di tenere le mie narici sempre a contatto prima sulle calze e poi quando se le tolse sui piedi nudi.
Dopo un po’ mi slaccio il ball-gag e con la bocca libera feci quello che nessun altro uomo ebbe avuto fino ad allora l’onore di fare, cioè leccargli i piedi. Gli passai la lingua tra le dita, glieli leccavo con grande passione e intensità, lei forzò la mia bocca più volte infilandoci l’intero piede e gli succhiai le dita una a una molte volte, sarei potuto andare avanti ore.
Non era la prima volta che leccavo i piedi a una donna, ma fino ad allora lo avevo fatto solo con donne non predisposte a un ruolo di padrona e aveva un fine rivolto all’eccitazione reciproca per arrivare poi all’atto sessuale. In quella situazione tutto assumeva però una chiave diversa e non sapevo di preciso cosa lei provasse e quanto avrebbe voluto andare avanti, ma di certo quel giorno non avremmo fatto nulla di sessuale come era concordato sin dalle prime parole che ci scambiammo settimane prima.
E per me era imprescindibile questa regola, in quanto se avessimo avuto un rapporto intimo alla pari sarebbe crollato tutto l’aspetto sensuale che si era ricreato fino a quel momento non lasciandomi nulla di importante in quella esperienza.
Difficilmente riuscirei a compararlo con una relazione sessuale, era una complicità decisamente diversa e un appagamento da parte mia quasi esclusivamente mentale, l’eccitazione del mio corpo non aveva importanza e questa cosa del limite del rapporto sessuale per me era oltremodo gratificante, e probabilmente fino a quel giorno pochissime altre relazioni erano riuscite a provocarmi un appagamento tale.
Poi mi tolse le manette e mi portò dalla zona del letto a uno spazio libero della stanza accompagnandomi col guinzaglio come un cagnolino e mi fece mettere sdraiato con la schiena a terra.
Delicatamente posò il piede sulla mia pancia a constatarne la tenuta e con movimenti apparentemente timidi cominciò a salirmi sopra un po’ per volta con entrambi finchè non sentii tutto il suo peso comprimermi gli addominali e i pettorali che cercavo di irrigidire al massimo per attenuare il dolore. La loro pressione sui miei muscoli e le mie ossa mi fecero sperimentare un ulteriore sensazione molto piacevole mai provata. Quel dolore provocato dal suo peso su di me unito al sentire la forma dei suoi piedi adagiarsi sul mio corpo mi provocò molte scariche di forte erotismo e mi eccitai maggiormente di quello che avrei creduto in quella pratica da me poco approfondita e sottovalutata in passato.
Mentre era ormai con entrambi i piedi su di me ne allungò uno sul mio viso e provai uno dei moment più belli immaginando quella rappresentativa scena di dominazione e giovandone nel mentre di quel piacevole ed intenso sublime dolore.
Dopo alcuni minuti di calpestamento mi mise nuovamente a gattoni in ginocchio e si sedette sulla mia schiena, e dopo aver posato i piedi sulla mia testa prese da una tasca uno smalto e cominciò ad applicarselo sulle unghie delle dita dei piedi.
Fu molto bello anche quel momento, in pratica mi fece diventare uno sgabello umano con la mia testa usata come poggiapiedi, un suo tocco di classe che non mi aspettavo ma che difficilmente dimenticherò.
Quando finì si fermò e disse semplicemente “stop”, in quanto purtroppo il tempo scarseggiava e dopo poche chiacchiere generiche per tornare alla normalità la salutai ringraziandola e presi la strada del ritorno lasciandomi alle spalle quel portone ormai molto simbolico per me.
Nel tempo che passai a tornare in stazione mi sentivo più vivo che mai, l’odore del suo piede era rimasto percepibile sul mio naso e mi faceva sentire ulteriormente meglio aiutandomi a tener vivo il ricordo di quei bei momenti.
Quel giorno presi consapevolezza del mio essere e di chi fossi in tutto e per tutto, da quel giorno nulla fu più uguale perché finalmente per la prima volta mi sentii libero di essere me stesso e non repressi mai più la mia natura…

Erano passati ormai tre anni da quel giorno in cui tutto cominciò e di Missy non sapevo ormai nulla da almeno due, cioè da quando smettemmo di sentirci.
O più che altro smise lei di rispondermi dopo che le mandai la mia ultima lettera e che spesso nel tempo rimpiansi molte volte di averle inviato:
“Ciao, spero di non deluderti eccessivamente dicendoti che il nostro rapporto si sta rivelando insano per come sono fatto e per come la stò vivendo male ultimamente. Mi hai aperto a un nuovo mondo bellissimo e in questi tre incontri sono stato bene come non mai, ti ringrazierò sempre per avermi concesso questo privilegio. Ma non ti nego che il troppo tempo che trascorre da un incontro e l’altro mi sta eccessivamente logorando e non credo di avere abbastanza forza per andare avanti, adesso mi sembra tutto troppo all’opposto e poco spontaneo. Troppi piccoli problemi che mi fanno stare male perché vorrei riuscire in ciò che mi ero preposto con te di esserti completamente devoto ma so già di non essere in grado di assecondare le tue esigenze. Credo sia meglio così per entrambi. Spero tu possa in parte capirmi e perdonarmi almeno un minimo. Grazie di tutto, Mike”
Omessi però la parte fondamentale e che l’avrebbe aiutata al meglio a capire di questo mio inspiegabile voler rinunciare ,tra l’altro dopo averle fatto sapere la terza e ultima volta mentre ero da lei che mi sentivo felice per questo rapporto da me fortemente voluto e molto speciale. E le dissi che avrei aspettato tranquillamente una sua prossima chiamata quando avrebbe ritenuto che fosse il caso riorganizzarci.
Se però avessi concluso la lettera spontaneamente dicendole dei forti sentimenti che ormai provavo avrei rovinato i ricordi positivi che aveva in me e ho creduto fosse meglio polemizzare su questioni futili e irrilevanti così da distaccarla definitivamente per il suo bene dal mio malessere in quella situazione.
Ma ho voluto essere coerente con il ruolo che avevo e ritirarmi da codardo omettendo il vero motivo, cioè che stavo male e non riuscivo a sopportare il tempo in cui non la vedevo o sentivo durante quegli interminabili periodi dei tanti giorni che passavano da un incontro all’altro.
Non so se avrei mai potuto avere un rapporto sentimentale con lei, anche se i miei sentimenti per lei erano chiari o almeno molto intensi, e ormai alla mia attuale età di 43 anni li conoscevo come le mie tasche e potevo metterci la mano sul fuoco.
Forse non era amore ma egoismo del mio subconscio da sottomesso, ma di sicuro non sopportavo più di vederla così raramente e forse anche maggiormente per il fatto che avesse già un uomo al suo fianco e altre persone con cui faceva quello che volevo fosse solo per me, la sua dominazione perfetta.
O forse semplicemente per la prima volta nella mia vita senza saperlo provavo a combattere inerme contro un sentimento per me fino ad allora sconosciuto: la gelosia.
Pensando a lei mi sentivo un ragazzino alle prime esperienze con le cotte adolescenziali, ma non potevo permettermi questo lusso perché invece per lei ero sicuramente solo un oggetto con cui giocare una volta al mese per poche ore. E non potevo rimanere nullo in quello spazio sconfinato che mi attraeva ma che dal quale non avrei sicuramente mai più trovato la via d’uscita se fossi andato ulteriormente avanti.
E in quel periodo di pochi mesi in cui la frequentavo non ero in grado di andare avanti parallelamente provando a conoscere altre donne, perché ci tenevo a sentirmi solo suo in ogni millimetro della mia anima e in ogni secondo della mia inutile vita.
E quell’evento del telefono scaricò nel preciso istante in cui dovevo contattarla appena arrivato davanti a casa sua continuava a perseguitarmi facendomi sempre riflettere se quel giorno feci la cosa giusta ad insistere o se non sarebbe stato più opportuno abbandonare dopo quel segno a cui davo sempre un minimo di valore soprannaturale e spirituale per il tempismo perfetto in cui accadde.
Però non riuscivo a smettere di adorarla anche solo mentalmente nonostante il tanto tempo trascorso da quelle ultime parole che decretarono la fine di tutto. La mia vita da quel primo giorno in cui la incontrai ebbe una trasformazione radicale. Non so se in bene ma sicuramente estrema di certo e probabilmente senza accorgermene mi sentivo ancora suo. Da quello il mio problema a rimettermi a cercare chi potesse essere in grado di prendere il suo posto come proprietaria della mia anima. E anche il mio abbandonarmi a questa nuova vita da cui sempre di più volevo tirarmene fuori lo ritenevo legato a lei, perchè lasciare questo lavoro era come smettere di percepirla.
Specialmente in questo periodo, dopo che da tanto tempo ero riuscito a provare una sensazione minimamente simile a quelle che solo lei era riuscita a farmi sentire. E non a caso in questi ultimi giorni era tornata sempre di più presente nei miei pensieri, non potevo e non volevo sottovalutare quel segno insolito e inaspettato che mi capitò due sabati prima a quell’incontro di gruppo per lavoro.
Lena mi ci mandò senza alcuna precauzione o alcun consiglio specifico, ma presumevo già di mio che sarebbe stata una serata tra le più sicure e tranquille. In quanto le signore o signorine come in questo caso non eccedevano mai in gruppo, probabilmente per il minimo di pudore che gli rimaneva, ma era singolarmente che davano il meglio o il peggio di loro e spesso erano da temere in quelle determinate circostanze.
Ma quella sera sarebbe stata l’ennesima fiera dell’eccesso di un gruppo di ragazze viziate degli alti borghi che per divertirsi al meglio dopo qualche bicchiere di troppo non avevano altro da fare che umiliare e torturare uomini costretti di mestiere a stare al loro controllo e volere. Ma dato che non si dovrebbe mai sputare nel piatto in cui si mangia, e io mangiavo bene e abbondantemente, contente loro e contenti tutti, me compreso che avevo accettato di farne un mestiere e adesso ci tenevo a essere il migliore perché era l’unico obiettivo che potevo pormi.
Mi guardavo le ferite ancora evidenti sul corpo e non potei fare a meno di tornare la con la mente.
Ripresi ad analizzare nuovamente come facevo spesso negli ultimi giorni i vari momenti ancora freschi nei miei ricordi alla ricerca di indizi del perchè fosse successo. Mi rivedevo nei preparativi prima di uscire di casa, di quando poi mi recai sotto sera nell’ennesima villa di campagna con un discreto anticipo, ma dal momento che per arrivarci dovetti fare almeno cinquanta chilometri preferivo sempre non rischiare arrivando prima piuttosto che incappare in ritardi, inconcepibili per quella che è da sempre la mia etica professionale.
Alla soglia del grande cancello notai una figura maschile elegante ferma davanti. Mi accostai poco distante da lui su quel sentiero privato che da un chilometro mi condusse in quel punto cieco che si fermava davanti al cancello della villa.
Mi chiese se fossi un ospite, e quando gli dissi che ero dell’intrattenimento mi indicò uno stradello laterale che non avevo inizialmente notato e che portava girando intorno al giardino recintato verso il posteriore dell’abitazione, probabilmente l’ingresso di servizio.
Mentre girai il volante gettando lo sguardo notai tra le fessure del cancello il parco fiabesco di quella dimora con alberi secolari a ombreggiare quasi ovunque la zona tutta recintata da siepi alte tre metri molto curate, e si poteva notare che non c’era un filo d’erba fuori posto in ogni decorazione floreale e di piante ornamentali curatissime.
E in lontananza a fianco della grande casa bianca, che mi ricordava oltre dal colore anche dallo stile proprio la famosa casa presidenziale americana, vidi una piscina molto grande con una specie di statua nel mezzo e i bordi bianchi rialzati e arrotondati che mi diedero l’idea di essere realizzati in un marmo molto pregiato perchè il poco sole rimasto nel tramonto che vi si rifletteva ne esaltava la bellezza.
E si notavano vari addobbi, luci e credo anche una console da dj e mi fece dedurre che quella zona sarebbe stata il centro della festa, considerando anche la giornata abbondantemente estiva.
Mi chiedevo quanti fiumi d’alcol e droghe si sarebbero consumate quella sera su quei tavolini che vedevo in lontananza e soprattutto quanto tutto questo si sarebbe potuto ritorcere nei miei confronti.
Solitamente Lena alle più giovani si raccomandava un pò di più contattandole qualche giorno prima e cercando di sensibilizzarle nel possibile, ma purtroppo spesso l’alterazione dell’alcol e della cocaina in primis facevano si che le sue raccomandazioni risultassero vane. In quanto loro pagavano per avere uomini oggetto e quindi volevano trattarci come tali e senza compromessi. E il rischio maggiore per l’attività di Lena era la consapevolezza di queste donne nella vastità di quel mercato in continua crescita e in modo particolare nel mercato illegale dove di limiti non ce n’erano.
E considerando sempre che poteva solo provare minimamente a sensibilizzare le clienti, perchè sapeva anche che eccedere in questo poteva voler dire perderle e screditare l’attività nei confronti di altre società che senza scrupoli concorrevano con schiavi da macello rivenduti senza limiti ne ritegno. Quindi c’era sempre da sperare in un minimo di buonsenso da parte di queste donne dominatrici e spesso fuori controllo, un pò come esser messi in una gabbia con un leone affamato e sperare che esso sia magnanimo.
Parcheggiai sotto alcuni alberi in mezzo al tanto verde del campo adiacente all’ingresso posteriore, era un paesaggio di campi disseminati in lungo e in largo, in cui si vedevano di contrasto nel paesaggio solo le montagne in lontananza. E tutto questo vasto spazio intorno mi dava una sensazione di isolamento. E nel fare quel mestiere da preda la trovavo una condizione che preferivo decisamente evitare e che non apprezzavo per niente, in special modo in case di dominatrici con cui non avevo mai avuto a che fare prima e di cui non sapevo niente.
Mi godetti qualche istante di quelle ultime luci naturali del tramonto ed entrai da un cancelletto che sentii aprirsi mentre mi avvicinai. Era il modo di qualcuno di farmi presente che sarei stato tenuto d’occhio a mia insaputa, erano espedienti degli addetti alla sicurezza a cui ero abituato volti a intimorirci un po’ nel caso qualcuno pensasse a una qualche azione incauta, ma nel mio caso ormai non ci davo importanza e andai oltre come se nulla fosse senza dargli la soddisfazione di qualche mio movimento del corpo o espressione del viso che destasse stupore o incertezza di cui loro avrebbero goduto vedendomi dagli schermi di qualche sala di sorveglianza probabilmente lì vicina da qualche parte.
Dopo un breve tratto a piedi nel giardino posteriore trovai l’incaricato di turno che avrebbe dovuto indicarmi i dettagli della mia prestazione e aiutarmi nei preparativi, raramente mancava una figura di questo tipo agli incontri.
Era un bel ragazzo molto alto e giovane, con il completo classico da cameriere molto elegante, selezionato probabilmente per compiacere anche alla vista la padroncina che lo aveva assunto, ma ormai erano molto comuni nell’ambiente bdsm d’alto rango questi ragazzi immagine.
Solo a volte trovavi qualche uomo maturo che rimaneva a lungo in servizio e non veniva rimpiazzato da figure più giovani perchè eccelsi in affidabilità e per un eventuale fiducia conquistata in anni di devozione ed esperienza, ma perlopiù li trovavi con signore di mezz’età o almeno non più giovanissime.
Il ragazzo di turno in questo caso si assicurò chi fossi e mi accompagnò all’interno della grande abitazione passando da una porta di servizio.
Appena entrati fummo in una specie di sala che sembrava adibita a cambiarsi gli abiti per uscire e viceversa, lo pensai dai numerosi indumenti appesi agli attaccapanni e alcune scarpe e ciabatte a ridosso della porta da cui eravamo entrati. Sulla parete a sinistra il ragazzo aprì una porta laterale da cui si intravedeva una scala che scendeva, ma non riuscii ad esserne sorpreso.
Ormai in quasi tutte queste ville di dominatrici sadiche si trovava un dungeon sotterraneo adibito ad attività bdsm. E dal modo in cui erano arredati e nei dettagli comprendevo spesso facilmente il carattere e il tipo di dominatrice con cui avrei avuto a che fare.
In questo caso una volta scese le scale ci trovammo, dopo un breve corridoio realizzato in muratura antica, dentro uno strano posto che mi ricordava una cattedrale in miniatura e che mi spiazzò per la sensazione di maestosità che trasmetteva. Era molto grande come quasi un campo da tennis e aveva un grande letto a baldacchino in mezzo.
Mi colpì particolarmente il soffitto diviso in quattro da archi merlettati e sembravano quattro cupole unite e intrecciate in uno stile molto raffinato e di certo non banale, tutto in una muratura meticolosamente sagomata che richiamava lo stile di una struttura antica e spirituale. E quattro colonne bianche in stile romano lo sorreggevano formando nella stanza un quadrato in cui in mezzo c’era il letto perfettamente centrato tra di esse.
Vedevo la testiera del letto da dietro e intuii che eravamo arrivati da un ingresso secondario posteriore, infatti di fronte a noi oltre il letto si vedeva una grande porta bianca a due ante con vistosi ornamenti ricamati in rilievo di un materiale lucido molto chiaro simile all’argento.
C’era un grande lampadario di cristalli appeso nel mezzo di quel maestoso e altissimo soffitto, c’erano piccole applique su ogni parete con luci soffuse a dare un atmosfera molto adatta al contesto e bellissimi quadri da galleria d’arte raffiguranti paesaggi o forme astratte con stupende cornici in legno chiaro lavorate arredavano da sole rendendo l’ambiente molto raffinato. Sul pavimento di grandi piastrelle lucide color avorio dei tappeti persiani ovunque tra varie poltrone e tavolini in tonalità chiare di beige posizionate nelle varie zone della stanza, e altri due grandi tappeti di pelliccia bianchi ai piedi del letto. Probabilmente era il più bel dungeon che avessi mai visto, anche perchè sembrava tutt’altro e avrebbe potuto essere tranquillamente l’atrio d’ingresso di un castello e in quella circostanza non riuscii assolutamente ad immaginarmi che tipo di dominatrice si potesse nascondere dietro a quel suggestivo tempio della dominazione.
Oltre a tutto questo cominciai a notare le innumerevoli strumentazioni bdsm e di tortura di alta qualità sparse e appese in giro. Poi poco oltre il letto mi focalizzai su tre gogne in legno molto reali in stile medioevale messe in fila di lato tra la porta e il letto. Posizionate in modo che il volto dello schiavo fosse indirizzato verso il letto e dando le spalle alla porta.
Il ragazzo facendo alcuni passi avanti e indicando quella di mezzo mi disse: “la tua è quella, vado a prenderti l’abbigliamento così puoi prepararti” .Sapeva di parlare con professionisti in quel campo ma aveva un tono sicuro, mi resi conto che non doveva essere un novellino e sapeva il fatto suo, di sicuro non era la prima volta che doveva gestire una situazione come quella.
Mi portò un abito in lattice nero con varie aperture sulle braccia, sul petto, sulle cosce e un apertura nella zona genitale e interno sedere.
Mi disse che dall’agenzia aveva saputo la misura e se comunque non fosse andata bene mi avrebbe dato quella più grande dal momento che ne aveva di svariate taglie.
Ma andava perfettamente e mi ritrovai pronto, ero completamente nudo sotto il lattice e scalzo. Ma ormai sempre meno a disagio in quell’ennesimo modello di abbigliamento da lavoro che non mi faceva di certo impazzire ma ai quali mi ero dovuto abituare per forza di cose.
Mancavano ancora pochi minuti all’orario di inizio del lavoro concordato che nel mentre mi stavo già finendo di preparare. Suonò un cellulare, il ragazzo rispose dicendo “ok, pensaci tu che adesso non riesco” probabilmente rivolto a un collega.
E mi disse di posizionarmi con polsi e collo nella gogna che nel mentre lui aveva aperto.
Era la classica gogna in cui si stava in piedi chinati in avanti e aveva alla base una T rovesciata in legno in cui si potevano bloccare le gambe dello schiavo con delle manette da caviglia fissate alle estremità della struttura e costringendolo a tenerle aperte e divaricate. Non mi piacque da subito facendomi temere pratiche cruente tra cui la mia più odiata in assoluto.
Una volta che chiuse la gogna con un lucchetto bloccandomi gli arti superiori e la testa si apprestò poi a bloccarmi le gambe divaricate.
Mi rasavo sempre i capelli a zero dal momento che per le maschere attillate ,spesso richieste in quelle occasioni, i capelli davano molto fastidio. Poi mi ero abituato e affezionato a quella mia immagine di schiavo molto minimalista e poco appariscente. Ci tenevo che fossero i fatti a parlare per me e non la mia immagine.
Quella volta al posto della maschera il ragazzo mi mise una fascia nera elasticizzata sugli occhi e vi girò più volte un nastro adesivo intorno alla testa a fissarla e togliere ogni dubbio che potessi vedere qualcosa di quello che da li a poco sarebbe successo, e credo soprattutto fosse per non permettermi di riconoscere nessuna delle partecipanti. Era per quello che quasi sempre gli occhi venivano rigorosamente coperti e spesso non sapevo mai che viso avesse la dominatrice di turno.
Mi lasciò scoperto parzialmente il naso ma funzionante per respirare e In bocca mi applicò un divaricatore. Anche in quel caso il ragazzo lo fece con grande maestria evitando di farmi male e tirandolo nel modo giusto senza eccedere ne lasciandolo troppo largo.
Prima di essere bendato notai anche una serie di quattro o cinque sgabelli alti simili a quelli da bancone nei bar con sedute in pelle bianca aperti sui lati e senza schienale. E sapevo che le avrebbero usate per le pratiche dal momento che la nostra testa era all’altezza del busto di una donna media e per molte pratiche sarebbe stata troppo in alto senza rialzi tipo quelli.
Poi con le fasce che mi coprivano anche le orecchie riuscii a sentire a malapena i passi di altre persone avvicinarsi poco dopo e immaginai che probabilmente erano arrivati gli altri due slave per le gogne restanti.
Sapevo che non c’eravamo solo noi dell’agenzia di Lena a contenderci il mercato, ma ero certo senza sapere nulla di loro che il mio ingaggio da solo sarebbe stato molto più alto di quello degli altri due messi insieme. In quanto Lena era riuscita a valorizzarci al massimo utilizzando strategie di marketing votate a mitizzarci. La mia figura era una di quelle più richieste e rinomate del settore nonostante ci fossi da solamente due anni, avevo la nomina di schiavo d’acciaio per la mia predisposizione a sopportare il dolore o almeno a saper fingere di farlo. Ritenevo di esser maggiormente portato per altro ma rispetto a molti colleghi la mia soglia di sopportazione del dolore era effettivamente notevole.
Dopo pochi minuti di vaghi rumori che sentivo in sottofondo minimamente, in cui probabilmente indossarono i costumi e i vari preparativi nelle gogne, ad un tratto piombai nel silenzio più assoluto e non udii più nulla per molti minuti e forse anche un’ora.
Erano momenti di attesa ed era facile mettersi a riflettere in quel buio forzato. E dopo un po’ di giorni in cui riuscii a non farlo in quella situazione ripensai a Missy. Anche perchè arrivando in quel posto mi accorsi di essermi avvicinato molto alla sua citta e passai quegli istanti a ricordare tanti piccoli momenti che mi legavano a lei.
Dopo quell’interminabile silenzio nel buio cominciai finalmente ad udire piccoli suoni acuti e poi dopo una breve pausa sentì più chiaramente la porta grande aprirsi e di nuovo quei rumori adesso più distinti e che si avvicinavano. Erano i tacchi di una donna e mi dicevo che probabilmente fosse la proprietaria e organizzatrice dell’evento, scesa li sotto per controllare di persona che fosse tutto perfetto nella sua location perversa.
La sentivo muoversi ma non riuscivo a capire da che parte, poi udii un rumore pieno alla mia destra seguito da un forte stridulo di dolore.
Sapevo già cosa stesse succedendo e i miei timori sulla posizione forzata delle gambe non erano infondati.
Dopo pochi secondi lo tornai a sentire nuovamente ma sull’altro lato e con un altro seguente urlo strozzato ancora più intenso e sofferente del primo. Con lo stesso intervallo di tempo dei primi due poi tocco a me sentire una punta di scarpa femminile arrivarmi con veemenza sulle parti basse, ma nonostante il dolore fosse lancinante volli per l’ennesima volta dimostrare le mie qualità strozzando a pieno la mia voce e non emettendo praticamente alcun suono che lei potesse ritenere associabile e rappresentativo del mio dolore.
Mi mise con fare deciso una mano sulla zona dolorante e contemporaneamente mentre si accingeva a stringere con forza mi disse avvicinando la testa all’orecchio: “bravo schiavo!” e mantenne la terribile presa per alcuni secondi. Poi se ne andò lasciandomi nuovamente nel silenzio e nel buio, ma stavolta lasciandomi anche i primi segnali di radicato sadismo in quei brevi ma feroci attacchi e da quello anche la preoccupazione che la serata forse non sarebbe stata così facile rispetto a come la ritenevo inizialmente.

Nuovamente ripiombato nel buio più assoluto non riuscii in quella seconda occasione di totale silenzio in cui mi ritrovai a ripensare a lei, mi sentivo troppo sporco e violato nell’anima per farlo.
Mi sforzavo di cambiare per poter andare avanti, cercavo di estraniarla dai miei pensieri a forza e il masochismo era paradossalmente un antidolorifico per la mia mente che mi aiutava a farlo.
Nonostante fossi nato come schiavo adoratore Il dolore fisico compensava quello nel mio profondo distraendolo. Ma se questo dolore fisico passava e le mie ferite sulla pelle guarivano nei giorni, quello della mia anima no ed era come cercare di guarire da una grave patologia assumendo aspirine ogni tanto.
Ero apatico, noncurante di eventuali danni permanenti, autolesionista e ci tenevo a pagare il conto di quella vita grottesca da me scelta e a cui non volevo chiedere sconti né scappatoie, affrontandola fino alla fine dei miei giorni a testa alta.
Mi ero sicuramente spinto oltre a quello che doveva essere inizialmente, mi chiedevo se mi ricordassi ancora almeno un minimo del perché cominciai tutto quando volli a suo tempo conoscere Missy.
Perché all’epoca ricordo che cercavo una persona speciale per la mia esistenza, non per starci male come stavo in quel momento ed ero stato in passato. E né tantomeno farne un’attività commerciale affittando il mio corpo ormai sempre più mercenario e screditandone così l’aspetto ideologico quel tanto da farmi quasi detestare la mia natura di cui quel primo giorno da lei andavo invece così fiero.
Ma dovevo pensare solo a quella situazione in cui mi trovavo e il meglio che potessi fare era gestirla in maniera professionale in attesa del peggio che da lì a poco sarebbe sicuramente arrivato.
Ricordai tutti i consigli specifici per quel tipo di situazione che mi diede agli inizi Lena. Mi disse che poteva servire mentre si era accecati valutare dagli elementi meno scontati il numero di partecipanti e che tipo di persone fossero. Capire da questi elementi la situazione come si evolveva e se poteva divenire pericolosa. Mi ripeté moltissime volte specie i primi mesi di non temere mai di usare il comando safe-life che ci venne impiantato sottopelle all’assunzione e che ci permetteva con le dita della mano libere di inviarle un segnale d’aiuto al quale lei sarebbe intervenuta prima telefonicamente chiamando il cliente e poi con il suo gruppo di sostegno nel caso il cliente non tornasse in sé, una vera e propria squadra d’assalto legalizzata.
Ma in casi estremi avrebbe comunque richiesto del tempo il loro arrivo e per questo temevo sempre le abitazioni o altro sperdute nel nulla come la casa in cui mi trovavo. Ma al momento ero ben lontano dal volerlo usare, in quanto sapevo che usandolo senza validissimo motivo sarei stato degradato e piuttosto avrei rischiato la vita in una situazione estrema per quello che avevo da perdere.
Sul consiglio degli incontri di gruppo e come intuire i dettagli cominciai nel tempo a fare esperienze durante le varie prestazioni cioè mentre lavoravo. Senza poter vedere e a volte sentire spesso mi allenavo cercando di riconoscere con altri sensi colei o coloro che mi avessero ingaggiato in una determinata occasione.
L’olfatto si rivelò molto prezioso in questo, mi accorsi quando tornavo più volte dalla stessa dominatrice che sapevo già come aspettarmi i suoi odori spesso dei piedi e del sedere, e quando mi capitavano anche piccoli gruppi mi concentravo proprio per verificarlo e nel tempo mi feci un metodo personale nel quale con pochi respiri le riconoscevo e poi identificavo con nomi fittizi che ero costretto ad inventare dato che Lena quelli reali non ce li diceva di certo, professionale com’era e attenta a ogni dettaglio che gli si potesse ritorcere contro.
Quella che mi aveva deturpato i genitali poco prima era già per me “Regina” perché mi venne facile associarla al massimo ruolo da organizzatrice e associarla al maestoso dungeon che mi ricordava un castello.
Erano trucchetti apparentemente inutili che spesso non servivano, ma nel caso gli eventi fossero divenuti critici il poter identificare il prima possibile una situazione pericolosa poteva dare anche solo alcuni secondi in grado di salvarti rendendoti consapevole più rapidamente di riconoscere il pericolo e mandare anticipatamente il segnale d’allarme a Lena o a chi per lei.
Passarono ancora altre ore mentre cercavo di rimanere concentrato in attesa di quella che da lì a poco sarebbe divenuta la mia reale prestazione lavorativa nonostante che già da molte ore fossi preparato e operativo.
Le più ricche abbondavano nelle ore che prenotavano a Lena e per me economicamente era sicuramente meglio. Ma molto spesso mi trovavo tante ore bloccato in posizioni poco consone come nel caso in cui ero. Ci facevano arrivare abbondantemente in anticipo rispetto al nostro reale utilizzo per avere tutto sotto controllo ed evitare qualsiasi possibile inconveniente dell’ultimo momento. E poi terminavamo spesso l’orario prestabilito dell’ingaggio molto oltre che le pratiche di dominazione fossero già finite. Perché economicamente per loro il nostro costo era irrisorio e stavano molto abbondanti anche in quello nel caso le cose si fossero imprevedibilmente protratte abbondantemente fino al giorno seguente, ma era raro che si ci avvicinasse al termine dell’orario prestabilito mentre si era ancora sotto dominazione. E spesso dopo esser stati dominati si stavano interminabili ore sempre in condizioni di bondage in attesa di terminare il turno in cui qualcuno ti liberava. Ma si era pagati per quello e andava bene così e per me che ero molto riflessivo erano momenti in cui mi impegnavo al meglio a ottimizzare le varie situazioni o riflettere delle mie cose.
Quindi ormai che la mezzanotte doveva essere abbondantemente passata cominciai ad aspettarmi da un momento all’altro qualcuno arrivare dalla festa di facciata in piscina, per terminare la serata in quell’esclusivo privé bdsm a cui sarebbero arrivate probabilmente in stato abbondantemente alterato dagli eccessi.
Solitamente gli uomini non erano invitati e almeno nei miei confronti nel caso ve ne fossero stati presenti gli era vietata l’interazione diretta dovuto a miei scrupoli etici messi a contratto. Per Lena non era mai stato un problema questa mia esplicita richiesta che ormai si ponevano sempre in meno per bisogno di lavorare, perché per come mi disse nel 95% dei casi si escludevano da soli proprio perché le dominatrici in gruppo o da sole questo genere di cose preferivano farle di nascosto credo per pudore verso il sesso opposto. Erano più complici tra di loro e questo loro lato dominante probabilmente con amici e fidanzati preferivano non renderlo pubblico, isolandosi spesso appunto in dungeon segreti e spesso da cui si arrivava solo tramite delle porte nascoste.
Quindi mentre focalizzavo il quadro della ormai imminente situazione lavorativa in arrivo mi immaginavo sopra di me in atto una festa normalissima con uomini e donne presumibilmente nella zona piscina che vidi qualche ora prima, ed era facile aspettarsi che ci sarebbe stato un distaccamento di alcune privilegiate che sarebbero scese nel dungeon per i divertimenti più lussuriosi e perversi fino a notte fonda o addirittura all’alba.
E come mi aspettavo di fatti poco dopo sentii stavolta una serie di colpi acuti in lontananza come qualche ora prima quando arrivò Regina, ma molto più numerosi e accompagnati da urla e risate che nonostante l’udito strozzato riuscivo comunque a percepire per i toni molto alti.
Una volta che si aprì la porta principale alle mie spalle il rumore divenne sempre più nitido e in brevissimo tempo potei dai miei primi riferimenti uditivi percepiti e analizzando le voci intuire che ci fossero almeno quattro partecipanti e per il momento tutte donne non avendo sentito alcuna voce maschile come mi aspettavo.
Non capivo quasi mai le parole, ma distinguevo abbastanza bene le voci, quella di Regina che sentii già prima quando si trovava da sola la riconoscevo facilmente, urlava spesso e probabilmente era tra le più evanescenti. Forse era tra l’altro il suo compleanno ripensando a quell’allestimento sontuoso che vidi in piscina, ma sorvolai perché non era rilevante.
Probabilmente i tacchi erano quasi tutti andati ed erano scalze o al limite in ciabatte, in quanto sentivo nel camminare dei suoni maggiormente pieni e meno acuti di quelli che fece Regina la prima volta mentre indossava le scarpe.
Dalla provenienza delle voci almeno due di loro erano sul letto sentendo dialoghi distanti davanti a me, forse parlavano di fatti accaduti durante la festa dai toni di voce pacati, in cui si sentiva ogni tanto qualche risata. Altre voci più accese mi sembravano arrivare dalla destra ma più lontane, e nell’analisi che ricordai d’aver fatto prima di essere bendato in quella zona ricordai una struttura in legno artigianale dove vi erano appese molteplici tipi di fruste, oppure sempre da quella parte un’altra simile in cui si vedevano molti strumenti classici più piccoli tipo bavagli, manette, corde, catene e soprattutto ricordai di aver visto molti strap-on, quest’ultimo sempre da me vietato in contratto per questione di etica.
Ma arrivando quelle voci da una zona così munita sapevo che da lì a poco si sarebbe sofferto parecchio.
A un certo punto sentii aumentare un profumo che identificai e associai come di “Fiore” dando al nome fittizio della dominatrice in questione una caratteristica associata al buon profumo che aveva e che era l’unico elemento caratteristico che individuai, probabilmente si era avvicinata a me dal davanti perché lo percepivo bene, e dalle mie esperienze sapevo che i profumi durante una serata non rimanevano così intensi come sentivo quello se non mi fosse stata particolarmente vicina, pensai che forse mi stesse guardando incuriosita o studiando.
Ed ero sicuro che non fosse Regina perché il suo profumo lo avevo gia focalizzato in precedenza ed era diverso.
Non ci diedi un gran peso anche perché dopo una ventina di secondi si allontanò dato che smisi di sentirlo.
Ma cominciai a udire il suono e poi il dolore delle fruste.
Era un classico e andava di moda quindi fu un inizio prevedibile, feci in tempo a prepararmi al meglio perché le prime due frustate arrivarono al malcapitato sulla mia destra che non aveva i miei scrupoli e urlava senza ritegno probabilmente con un bavaglio alla bocca perché la voce era strozzata ma ben percepibile per quei forti gemiti.
Tocco a me sentire la frusta da circo, avevano nomi tecnici che conoscevo ma per semplificarmi le cose le ho sempre preferite chiamare a mio modo tra me e me.
Comunque molto lunga e a squame ledeva la pelle e le carni facilmente quando il corpo era colpito nella maniera giusta.
Era tra le mie preferite perché carismatica e amavo il suono che emetteva.
Ormai da masochista quale ero diventato catalogavo anche i dolori ed era uno dei maggiormente devastanti quello della frusta da circo e che sapevo mi sarei portato dietro per settimane, ma era un dolore che difficilmente poteva diventare pericoloso e dannoso in maniera perenne, quindi nel tempo ho imparato ad apprezzarlo e stranamente a gustarmelo.
E il gusto in quel dolore mi venne ampiamente ripagato quella notte, per alcuni minuti ne arrivavano di continuo, suddivise a piccoli gruppi con quelle dei miei colleghi ai lati che invece dalle urla sembrarono apprezzare meno del sottoscritto.
Colpivano spesso la schiena e meno il fondoschiena, erano almeno due fruste sentendole spesso colpire insieme su di noi e a volte anche contemporaneamente sul mio corpo, poi a tratti ne sentii un’altra più rigida da fantino che mi colpiva spesso anche sulle braccia e gambe.
Sapevo di avere già escoriazioni piuttosto fonde in buona parte del corpo, le riconoscevo dai dolori, ma continuai a non lasciarmi scappare lamenti tangibili, al limite emettevo a volte minimi gemiti impossibili da trattenere anche per il fatto che la mia bocca era completamente spalancata da ore per via del divaricatore.
Purtroppo la mia fama portava spesso a focalizzare le attenzioni su di me quando eravamo in più di uno schiavo. Gli altri due negli ultimi minuti li sentivo pochissimo e presupposi dato che su di me invece le frustate non cessavano e anzi erano in aumento che stessero testando il mio rinomato limite di sopportazione con le loro mani brandendo quelle fruste laceranti.
Sentivo ridere mentre i dolori sul mio corpo aumentavano di volta in volta. Percepivo dalle voci che a una frusta ci fosse Regina che riconoscevo già bene e spesso all’altra “Viola” che mi venne da soprannominarla così perché il primo momento in cui la focalizzai e fui in grado di isolarne la voce dalle altre le sentii pronunciare quella parola senza capirne assolutamente il contesto come di buona parte dei dialoghi in quelle ore intense, ma era l’unico elemento contraddistinto e glielo attribuì senza pensarci troppo.
A un certo punto si fermarono, sentii per un attimo del silenzio con solo pochi dialoghi appena percettibili e fecero una cosa che non mi aspettavo e che denotò un sadismo oltre i limiti di almeno alcune delle partecipanti.
In quanto dopo poco tra alcune risate sentii Viola dire “fallo!!” e subito dopo un fortissimo dolore anormale si sviluppò un po’ per volta sulle tante ferite che erano già di per se molto dolorose, provocandomi l’impossibilità di trattenere delle minime urla. Non urlavo di certo come i miei colleghi di quella sera ma era troppo il dolore da trattenere simultaneamente, in pratica mi versarono sulla schiena ovunque avessi i tagli e le escoriazioni provocate dalle fruste dell’alcol etilico che riconobbi dall’odore.
Mi dimenavo e non sapevo come fare a calmarlo, per loro dovevo essere uno spettacolo vedendomi soffrire in quella maniera disumana.
Ero devastato dal dolore ma riuscii a contenermi e ragionando pensai per la prima volta da quando facevo quel mestiere di usare il safe-life.
Non per il dolore che lentamente stava rientrando, in quanto dopo qualche minuto ero riuscito a tornare statuario e impassibile come sempre. Ma temevo che potessero arrivare a darmi fuoco specie accidentalmente considerando che ero cosparso di liquido altamente infiammabile.
Se avessero voluto uccidermi non ci sarebbe stato safe-life che tenesse in quel remoto angolo di mondo. Non temevo la volontarietà, ma piuttosto a un incidente dovuto alla loro mancanza di lucidità e che potesse diventarmi fatale.
Ma nonostante avessi giustamente quel timore ragionai prima di mettere in pratica un’azione che avrei evitato volentieri. E mi distolsi dall’idea di farlo per due cose che notai, cioè che non vidi candele prima di essere bendato e il fatto che non ci fossero fumatrici dal momento che il mio olfatto ormai l’avrebbe saputo considerando che erano cominciati i giochi nel dungeon da quasi un’ora.
Poi sentii Viola che mentre parlava si diresse verso il letto, ma usava un tono normale di voce e per la mia impossibilità di udire normalmente non era sufficiente il volume per poterne percepire il discorso. Ma pochi attimi dopo da quella zona del letto le sentii dire più distintamente:“…agli altri!!!” in un tono più stizzito a voler rimarcare qualcosa alzando al voce, ma senza contesto non riuscii a dargli un senso.
Ma nonostante non mi fosse chiara quella cosa da quel momento soprattutto con me si calmarono e ci fu meno accanimento focalizzato solo sul mio corpo. Tant’è che a un certo punto qualcuno mi rovesciò dell’acqua sulla schiena quasi ci fosse premura verso quel rischio che potessi diventare una torcia umana e lo apprezzai.
Non odiavo mai neppure le più cruenti dominatrici se riuscivano a fermarsi in tempo, erano comunque le clienti e le rispettavo nonostante molte di loro non ne avessero quasi mai verso di me e verso gran parte della razza umana in generale, ma anche se erano a volte eccessivamente sadiche erano comunque altrettanto dominanti, quindi da stimare per quella loro particolare mentalità molto rara da cui sempre ero attratto.
E poi sarebbe stato da ipocriti lamentarsi del dolore facendo questo mestiere che senza di loro non esisterebbe, quindi ci stavo e basta senza mai provare rancore verso nessuna di loro come da quando iniziai. Nonostante quella sera forse un minimo avrei meritato il diritto di provarlo per quegli eccessi di accanimento apparentemente ingiustificati.
Ma nonostante si fossero apparentemente calmate eravamo ancora dei loro oggetti e la loro voglia di dominazione non era ancora assolutamente appagata.
Mi aiutò a capire quante fossero nel momento in cui ci usarono per farsi venerare e sottometterci coi loro piedi.
Usarono presumibilmente gli sgabelli alti che vidi in precedenza, in quanto dalla posizione e inclinazione dei loro piedi sul mio viso capivo che erano con la seduta poco sopra dell’altezza in cui si trovava la mia testa.
La calma apparente si ritramutò presto in pratiche comunque dolorose e che mi fecero ribadire se mai ce ne fosse stato bisogno l’alto grado di sadismo profondamente radicato che avessero quelle ragazze o giovani donne.
Perché anche se impossibilitato nel vedere avevo in quei due anni sviluppato altri sensi per poter percepire abbastanza chiaramente con gli altri sensi l’età di una donna.
Nella bocca ma specialmente nella lingua avevo il migliore alleato nel raggiungere questo obiettivo e quando entrai in contatto con i loro piedi lo intuii facilmente. Dalla morbidezza o rugosità della pelle e sentendo con la lingua gli angoli del piede lo analizzavo mentalmente ed ero certo avessero tutte dai trenta ai trentacinque anni, che mi riportò subito alla mente Missy in quanto nella loro stessa fascia d’età, ma chiaramente lo escludevo a priori che fosse in quella situazione insieme a quelle dominatrici che erano assolutamente all’opposto di com’era lei.
Mentre cominciai a percepire i primi contatti con un piede sentii le voci che mi provenivano da davanti e ai due lati dove c’erano le altre due gogne e probabilmente ci stavano torturando tutti e tre contemporaneamente coi loro piedi.
Viola fu la prima a cui li odorai, tra l’altro me lo calcò più volte sul naso dandomene la possibilità, probabilmente credeva di provocarmi sofferenza mentre in realtà la stavo studiando tutt’altro che dispiaciuto.
Con la mia bocca spalancata dal divaricatore mi infilò il piede molto nel profondo arrivando con le unghie a piantarle sul fondo dove iniziava la gola causandomi più volte il senso di rigetto e qualche taglio in bocca, ma lo ritirava ai primi segnali di rigurgito facendomi espellere solo gemiti di soffocamento. Era molto abituata a queste pratiche, lo percepivo perché muoveva il piede molto disinvolta e sempre a voler provocare sofferenza e tortura, a volte usandoli spesso entrambi allo scopo di incrementare al meglio i dolori inflitti.
Passarono credo tutte dopo Viola, nel mezzo del gruppo ci fu Regina che nonostante anche lei fosse assolutamente un’esperta a dominare coi piedi era molto più per usarli a provocare solo dolore fisico che farseli adorare in piacevoli pratiche fetish.
E spesso mi calciava il volto infliggendomi anche forti calci sul viso. Infilava il piede con più irruenza delle altre arrivandomi a provocare molti più tagli di Viola anche sulle labbra e sulla la lingua.
Per fortuna non fu tra le più lunghe e smise velocemente, dalla consistenza del piede avrei detto che forse era la più giovane del gruppo, era molto morbido e con una pelle più liscia e da ragazzina che le altre.
In tutto ne contai cinque, e le altre tre le dimenticai quasi subito perché non mi lasciarono alcun segnale significativo. E dalle movenze notai più inesperienza rispetto a Regina e Viola.
Quest’ultima mi stupì perché alla fine del giro tornò da me e mi tolse il divaricatore in bocca.
Io ero estenuato e le ossa della mascella erano a dir poco doloranti e mi venne automatico chiudere la bocca per rilassarla, e lei mi appoggiò quasi subito il piede sulle labbra senza spingere. Era la prima volta in quelle ultime ore di dominazione che una pratica era poco cruenta e mi spiazzò.
Tornai a ragionare e feci quello che avrei dovuto fare di mestiere in quel tipo di situazione e li leccai. Specialmente passando la lingua tra le dita e succhiandogliele spesso anche insieme oltre che singolarmente. Andai avanti per una decina di minuti pensando al perché di quella vaga gentilezza mentre sui lati sentivo gli altri due slave subire pratiche molto più cruenti e sadiche.
Nel mentre leccavo con devozione pensai anche che non avevo inquadrato né più percepito il profumo di Fiore, ma forse la confusi tra le tre ragazze meno appariscenti e in tutto quindi probabilmente erano in cinque come dalle voci che ero riuscito a inquadrare e associare ad ognuna di loro.
L’ultima pratica a cui non rinunciarono fu quella con cui iniziò da sola ore prima Regina, il mio meno apprezzato ball-busting. E ripresero ad arrivare calci, questa volta da piedi scalzi ma decisi e comunque estremamente dolorosi. Viola ad un tratto si arrampicò sul mio corpo e si sedette sulla mia schiena reclinata dalla gogna standosene rannicchiata e appoggiando i piedi sul bordo del mio fondoschiena. Sentivo il contatto della sua pelle del sedere sulla schiena ma anche uno slip, forse era in costume da bagno ma non temette il contatto con le mie ferite aperte. Poi mentre Regina riprendeva su di me il discorso iniziato prima con le scarpe, mi diede alcuni colpi decisi sui testicoli che mi fecero abbastanza significativamente cedere le ginocchia già sollecitate sotto il peso comunque leggero ma non indifferente di Viola sulla schiena. In quel momento il peso dei nostri due corpi si concentrò sull’unico sostegno, il mio collo appoggiato sul legno della gogna. Mi partì un sussulto di dolore impossibile da trattenere e il mio corpo era in una posizione alquanto innaturale e se non fossi riuscito a reggere un minimo il peso con le gambe avrei potuto anche spezzarmi il collo.
Ma mentre non capii più nulla per via del dolore assoluto che provavo in quegli attimi una voce forse tra quelle che ormai avevo identificato disse qualcosa e Viola dapprima si sedette di lato sulla schiena facendo scendere le gambe e poi interamente tutto il corpo e si allontanò. Smise anche subito Regina di colpire e forse era stata lei ad aver detto qualcosa da fermare la situazione estrema che stava nuovamente degenerando, ma quella parola che udii era troppo indefinita in quegli attimi atroci per capire chi l’avesse pronunciata o cosa venne detto, ma funzionò e calmò le acque sin troppo burrascose fino a quel momento. Da quando smisero quell’ultimo devastante assalto per via di quell’inumane sforzo rimasi abbandonato sulla gogna come un pupazzo, non riuscivo più a reggermi e oltre a tutti i dolori che sentivo i miei arti adesso puntavano i bordi della struttura in legno dandomi fortissimi ulteriori malesseri. Non riuscii più a rialzarmi da poter ritrovare una posizione meno innaturale e fui abbandonato dalle dominatrici al mio stato cadaverico su cui non infierirono più.
Gli altri due slave che fino a quel momento avevano subito decisamente meno, o di sicuro torture meno intense, recuperarono con gli interessi subendo senza di me altre serie di calci, strap-on e diverse svariate forme di torture per alcuni minuti. E dopo circa un’altra ora in cui ogni tanto riuscii a udire qualche altro calcio mentre perlopiù chiacchieravano nelle zone intorno se ne andarono dalla stanza e probabilmente non sarebbero più tornate. E da lì ad ancora qualche ora avanti ,di cui non potevo sapere di preciso quante ne sarebbero passate, mi misi ad attendere il momento in cui me ne sarei andato finalmente anch’io.
Tornato il silenzio assoluto, smorzato solo a tratti da qualche gemito che sentivo alla mia destra dove uno dei due sventurati rimasti in mia compagnia aveva probabilmente subito colpi molto pesanti che stava ancora assestando, cercai di addormentarmi.
Ma il dolore era troppo e i miei arti continuavano a non reggermi, ed era ormai un dolore indefinito e mai provato in vita mia talmente era distribuito su ogni parte del corpo e provocato in maniera differente da ferite diverse l’una dall’altra.
Avevo già avuto esperienze di quel tipo ma effettivamente lo schiavo d’acciaio questa volta era stato testato a dovere e senza alcun scrupolo.
Erano passati almeno quindici o venti minuti da quando se ne erano andate dalla stanza che sentii un piccolo rumore che catturò la mia attenzione esausta.
Mi sembrò provenire da dietro di me dove c’era la porta ma poi più nulla.
Però mi accorsi che c’era qualcuno e che probabilmente il rumore era proprio la porta che si apriva ed era arrivato in soppiatto senza scarpe.
Riconobbi subito il profumo, era Fiore. Non potevo parlare anche se la mia bocca era libera, lei era una dominatrice e il mio ruolo era di subire in silenzio perché in un qualche modo stavo ancora lavorando, ma qualcosa avrei voluto dirlo perché lei si comportò diversamente da quello che mi sarei aspettato.
Mi posò il palmo della mano per alcuni secondi sulla guancia e lentamente la fece scivolare in un gesto quasi compassionevole di carezza.
Poi sentii il rumore dello sgabello che veniva spostato di poco come a trovare una determinata posizione e cominciai gradualmente a sentire un odore di piedi che quella sera ancora non avevo percepito. Sentii le sue dita appoggiarsi sul mio naso.
Non ero obbligato a sottomettermi visto lo stato comatoso in cui mi trovavo e avrei potuto tranquillamente fingere di essere svenuto anche se professionalmente avrei dovuto annusarli a priori. Ma in quel caso desiderai farlo proprio per mia volontà e li odorai al meglio che potessi usando le poche forze che mi rimanevano per focalizzare al meglio un profumo che sapevo mi avrebbe tormentato per molto tempo data l’anomala situazione in atto e ciò che provai in quella circostanza facendomi risentire finalmente dopo molto tempo per pochi istanti lo schiavo che avrei da sempre voluto essere. Rimase in quella posizione circa un minuto e poi se ne andò. Mentre la sentivo camminare allontanandosi perché adesso a passo più deciso la udivo anche se scalza, mi si strozzò in gola un nome che avrei voluto urlare, ma l’essere stremato, l’incertezza professionale e l’insicurezza di ciò che volevo dire mi fecero uscire solo un gemito apparentemente di dolore. Lei si fermò pochi istanti, forse si voltò, ma poi riprese il cammino e smisi presto di udire i suoi passi mentre se ne andava…