Tempo fa avevo scritto un articolo sulle caratteristiche del romanzo “poliziesco”, elencando alcuni dei suggerimenti che autori famosi avevano dato a chi volesse cimentarsi in questo genere.

Se è vero quello che sostiene wikipedia, e che cioè il noir non è altro che una variante della sottocategoria hard-boiled del genere poliziesco c’è veramente poco da dire: va bene tutto quello che si è detto sul giallo, sfrondiamolo di tutto quello che non appartiene all’hard-boiled, togliamo ancora qualcosa qui e là… e mettiamo tutto dentro a una scatoletta da riporre in archivio, perché i testi possibili sono praticamente tutti cloni di quelli dei fondatori in cui cambiano solo i protagonisti, l’ambientazione geografica (ma non l’ambiente) e qualcosa della trama, ma non molto.

In realtà, andando a vedere in che modo gli autori si sono cimentati nel genere si può verificare che sono più quelli che hanno stravolto questi cliché che quelli che li hanno seguiti pedissequamente, ed il motivo è evidente: non sono le classificazioni che fanno il romanzo (o la sceneggiatura) ma semmai è il contrario.

Riporto di seguito alcuni suggerimenti di autori famosi, da prendere più come spunto o curiosità che come regola, cominciando da Chandler:

1) Devono essere credibili sia la situazione iniziale che l’epilogo

2) Devono essere tecnicamente validi i metodi di omicidio e di indagine

3) Devono essere realistici i personaggi, l’ambientazione e l’atmosfera. La storia deve parlare di persone vere nel mondo reale

4) Ci deve essere “sostanza” al di là del puro intrigo. Ad esempio l’indagine stessa deve essere un’avventura che meriti di essere letta anche a prescindere dall’elemento “giallo”

5) La storia deve essere abbastanza semplice ed essenziale da poter essere raccontata facilmente

6) Deve saper confondere un lettore ragionevolmente intelligente

7) La soluzione deve sembrare inevitabile una volta rivelata

8) Non bisogna provare a fare tutto in una volta sola. Se la storia si muove in un’atmosfera equilibrata e piuttosto fredda, non può trasformarsi anche in un’avventura violenta o in una storia d’amore passionale

9) Il criminale deve essere punito in un modo o nell’altro, non necessariamente attraverso vie legali… Se il detective fallisce nella soluzione del caso, la storia rimane irrisolta e lascia irritazione dietro di sé

10) La storia deve essere onesta nei confronti del lettore

Questa come si vede è una interpretazione molto aderente al racconto poliziesco.

Più interessante (e moderno) è Elmore Leonard (uno scrittore che adoro):

1) Mai iniziare un libro parlando del tempo. Se è solo per creare atmosfera, e non una reazione del personaggio alle condizioni climatiche, non andrai molto lontano. Il lettore è pronto a saltare le pagine per cercare le persone. Ci sono alcune eccezioni. Se ti capita di essere Barry Lopez, che conosce più modi di un eschimese per descrivere il ghiaccio e la neve nel suo Sogni artici, allora puoi fare tutti i bollettini meteo che vuoi.

2) Evita i prologhi: possono irritare, soprattutto quelli che seguono un’introduzione che viene dopo una prefazione. Queste sono cose che di solito si trovano nella saggistica. In un romanzo, un prologo è un antefatto, e puoi metterlo dove ti pare. C’è un prologo in Quel fantastico giovedì di Steinbeck, ma va bene perché lì c’è un personaggio che centra esattamente ciò di cui parlo in queste regole. Dice: «Mi piacciono i dialoghi in un libro, e non mi piace che qualcuno mi dica com’è il tizio che parla. Voglio immaginarmelo dal modo in cui parla».

3) Nei dialoghi non usare altri verbi tranne «disse». La battuta appartiene al personaggio; il verbo è lo scrittore che ficca il naso. Almeno, «disse» non è invadente quanto «borbottò», «ansimò», «ammonì», «mentì». Una volta notai che Mary McCarthy aveva chiuso una battuta con «asserì» e dovetti smettere di leggere e andare a prendere un dizionario.

4) Non usare un avverbio per modificare il «disse», ammonì gravemente. Usarlo in questo modo (o in qualsiasi altro modo) è un peccato mortale. Così lo scrittore si espone troppo, usando una parola che distrae e che può interrompere il ritmo dello scambio. In uno dei miei libri si raccontava di un personaggio che era solito scrivere storie d’amore d’ambientazione storica «piene di stupri e avverbi».

5) Tieni sotto controllo i punti esclamativi. Ti è permesso di usarne non più di due o tre ogni 100.000 parole. Se poi sei incline a giocare con i punti esclamativi come Tom Wolfe, allora puoi aggiungerne a manciate.

6) Non usare mai espressioni come «improvvisamente» o «s’è scatenato l’inferno». Questa regola non richiede una spiegazione. Ho notato che gli scrittori che usano «improvvisamente» tendono ad avere meno controllo nell’uso dei punti esclamativi.

7) Usa dialetti e slang con moderazione. Una volta che cominci a compitare foneticamente le parole nei dialoghi e a riempire le pagine di apostrofi, non sarai più in grado di fermarti. Nota come Annie Proulx cattura il sapore delle sonorità del Wyoming nella sua raccolta di racconti Distanza ravvicinata.

8) Evita descrizioni dettagliate dei personaggi, come faceva Steinbeck. In Colline come elefanti bianchi di Ernest Hemingway, come sono «l’americano e la ragazza che era con lui»? La ragazza «si era tolta il cappello e lo aveva messo sul tavolo». Nel racconto, questo è l’unico riferimento a una descrizione fisica.

9) Non fornire troppi dettagli descrivendo posti e cose, a meno che tu non sia Margaret Atwood e quindi in grado di dipingere con le parole. Non vuoi certo descrizioni che portino l’azione – il flusso della storia – a un punto morto…

10) Cerca di omettere le parti che i lettori tendono a saltare. Pensa a cosa salteresti leggendo un racconto: fitti paragrafi che trovi abbiano troppe parole.

Fantastico, vero? ma queste regole valgono per qualsiasi tipo di scrittura.

Più specifici sono i consigli raccolti da scrittori durante il Festival di Courmayeur (avete mai notato che i festival seguono le regole dei congressi medici? Ne avete mai visto uno tenuto a Busto Arsizio o a Vimercate? No, minimo Courmayeur, Sanremo, Venezia, Caraibi…):

1) Fregarsene di essere uno scrittore noir. In ogni storia, a partire dalle fiabe di quando si è bambini, ci sono sempre elementi misteriosi e oscuri. Occorre indagare, scavare per fare emergere proprio quelli.

2) Non dare troppe spiegazioni. Se qualcosa va specificato significa che non si era già stati sufficientemente chiari in precedenza: un ostacolo da evitare.

3) Non essere né immorali, né moralisti, ma amorali. La morale sarà poi ciascun lettore a stabilirla. Compito di chi scrive è semmai prenderlo per l’orecchio e tirarlo all’interno della storia.

4) Avere le palle. E saperle raccontare.

5) Non inseguire la cronaca, non appiattirsi sul presente. I fatti reali possono ispirare o rappresentare un punto di partenza, ma bisogna cercare di proiettare le vicende al di là del quotidiano.

6) Non snobbare la parola intrattenimento. Intesa come il piacere di scoprire come va a finire. Un piacere non fine a se stesso, ma un’urgenza di raccontare che sia in grado di lasciare un graffio nell’anima del lettore.

7) Non rinunciare a vivere per scrivere. Il racconto interessa agli altri nella misura in cui pulsa di vita propria ed è pervaso da un particolare sentimento del mondo. La vita nutre la scrittura.

8) Darsi una ferrea disciplina. La scrittura è per il 10% ispirazione e per il 90% traspirazione (fatica, sudore).

9) Avere il coraggio di guardare in faccia i lati tragici della realtà, di farsi risucchiare in una struttura a imbuto, in cui i personaggi vengono risucchiati in un vortice e trascinati giù, giù, sempre più giù. Saper essere cinici e pessimisti.

10) Non usare la tecnica. Come diceva un vecchio maestro di pugilato al suo allievo migliore prima dell’incontro decisivo: “ Se avrai usato la tecnica, avrai perso”. Pertanto non affidarsi ai codici di genere, ma piuttosto conoscere le regole al fine di sovvertirle.

Se dovessi aggiungerci qualcosa direi: scrivere storie. Rileggerle per verificare che abbiano ritmo, che scorrano bene, sia che si tratti di sequenze drammatiche o brillanti. Immaginarsi di essere il lettore e pensare al suo impatto con i nostri testi. Siamo sicuri che si sentirà coinvolto o forse lo annoieremo?

Ricordiamoci che a lui non interesserà mai sapere quanto siamo bravi (semmai gli darà fastidio), quindi teniamocelo per noi, ce ne sarà grato.